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Scandalo Don Uva/ Di Gioia a Rizzi: “Fatemi una statua”. Il telefonino bollente della Vasiljevic

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digioialello

Nell’operazione “Oro Pro Nobis” (titolo mai così azzeccato), emerge un sistema consolidato che vede legati a doppio filo il management dell’ente, professionisti e politici. Nell’ordinanza di quasi 600 pagine, spicca il rapporto tra Dario Rizzi, ex direttore del Don Uva a Foggia e il parlamentare di San Marco La Catola, Lello Di Gioia. Nessuno sembra muovere un muscolo a meno di tornaconti personali. Primo fra tutti proprio l’onorevole, deciso a sfruttare a pieno il suo ruolo di presidente della Commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, oltre che componente permanente della Commissione Bilancio e Tesoro della Camera dei Deputati.

Di Gioia a Rizzi: “Dovreste farmi una statua”

Dario Rizzi

Dario Rizzi

Stando alle carte di “Oro Pro Nobis”, Di Gioia avrebbe bloccato sul nascere l'iniziativa del commissario straordinario Bartolomeo Cozzoli tendente all'emanazione di un bando pubblico per l'acquisizione di tutti gli istituti Don Uva (su l’Immediato scrivemmo dell’interesse degli imprenditori foggiani Telesforo e Salatto), proponendo, in alternativa, un progetto di acquisizione della sola sede di Foggia da parte dell'INAIL che sarebbe stato oggetto di discussione in apposito incontro alla presenza del commissario straordinario e del direttore dello stesso ente previdenziale. Il progetto proposto dal politico, in sostanza, mirava a fare della sede di Foggia un centro di eccellenza nel meridione per la riabilitazione e, contestualmente, avrebbe salvaguardato la posizione di Rizzi, garantendogli un posto di direttore della nascente struttura che, a seguito dell'acquisizione di un soggetto pubblico, avrebbe cambiato la veste giuridica da privata a pubblica. Particolarmente significativa è l'enfasi con cui Di Gioia, per rincuorare Rizzi, preoccupato di perdere la sua posizione di comando, a fronte dell'interrogativo "E io che devo fare in questa cosa?", replica perentoriamente: “E tu fai il direttore! Che devi fare?!”, dando evidentemente per scontato che a Rizzi sarebbe stato assicurato un ruolo di comando nella nascente struttura. La telefonata - scrive il giudice nell'ordinanza - è interessante anche per un'altra ragione: Rizzi, consapevole di avere con l'onorevole un legame a tal punto indissolubile da poter fare sicuro affidamento sulla sua "copertura politica" in caso di necessità, lascia intendere, implicitamente, che questo "credito di riconoscenza" trae origine dai favori accordati al politico, tra cui sono sicuramente da annoverare l'assunzione e l'attribuzione dell'incentivo all'esodo alla figlia Silvia. Liquidazione dell'incentivo (7.500 euro) avvenuta successivamente all'avvio della procedura del concordato preventivo in violazione del principio della “par condicio creditorum”.

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Le pressioni dell’onorevole e l'SMS: "Faccio una brutta figura con mia figlia"

Sono continue le pressioni di Lello Di Gioia su Dario Rizzi. A ballare è la posizione della figlia del parlamentare, Silvia Di Gioia, anche lei indagata. In un momento nel quale si decide il licenziamento di numerosi dipendenti, l’onorevole spinge per il riconoscimento di 7.500 euro alla giovane, prima che quest’ultima parta per Londra. Rizzi si mostra disponibile ma dopo un lungo susseguirsi di telefonate con Di Gioia, finisce per sbottare: “Senti Lello, non mettermi fretta!”. Poi, parlando con Augusto Toscani, l’uomo che doveva sistemare la pratica, dice: “Di Gioia è diventato di una cosa che non capisco… Lo vuoi chiamare tu? Io non voglio neanche più sentirlo”. La storia si concluderà con il riconoscimento del denaro alla figlia del parlamentare, non prima di uno "struggente" SMS di quest'ultimo a Rizzi: "Caro Dario, penso di avere avuto con te e con la Casa un rapporto di correttezza e di piena disponibilità, mi dispiace questo vostro comportamento di continuo rinviare nonostante avessimo parlato io e te già da una settimana. Tuttavia devi sapere che la cosa che più mi da fastidio è di aver fatto una bruttissima figura con mia figlia e questo sinceramente avrei voluto evitarlo. Comunque mi fai la gentilezza di lasciar perdere perché Silvia oggi stesso consegnerà la lettera di licenziamento togliendo il disturbo".

Battibecco Rizzi-Di Gioia Battibecco Rizzi-Di Gioia 2 Il parlamentare mette fretta SMS di Lello Di Gioia

Telefono caldo

Adriana Vasiljevic

Adriana Vasiljevic

Di Adriana Vasiljevic abbiamo detto più o meno tutto. Compreso il suo tentativo di entrare in Consiglio comunale a Foggia per Forza italia alle Amministrative 2014. Ma non può passare in secondo piano uno dei tanti episodi di sperpero di denaro pubblico che vede la 29enne dell’Est Europa ancora protagonista. Per lei e l’amante Dario Rizzi, sull'ordinanza si parla "del medesimo disegno criminoso", atto a dissipare le risorse dell'Ente, già in condizione di profonda e conclamata crisi. La Vasiljevic si assentava sistematicamente dal posto di lavoro per esigenze personali di tipo voluttuario, contando sulla connivenza di altri dipendenti che timbravano il cartellino segnatempo al suo posto. Addirittura, mentre era in Serbia, risultava in ufficio al Don Uva grazie a qualcuno che marcava il suo badge. In pratica era "ubiqua". Inoltre, favorita dalla copertura di Rizzi, percepiva comunque gli emolumenti oltre alla fruizione anticipata di 32 giorni di ferie relative al successivo anno 2015. Ma non è tutto. Rizzi – scrive il giudice - concedeva alla Vasiljevic l'utilizzo di un’utenza cellulare intestata alla Casa divina Provvidenza, sebbene la donna non ne avesse alcuna necessità sul fronte lavorativo. La donna ha poi utilizzato quel telefono per scopi personali, cagionando all’Ente un danno di 5.544,23 euro, pari all'importo delle fatture addebitate all'Ente per i consumi effettuati dall'ottobre 2011 all'agosto 2012. Con l’aggravante, per Rizzi, di aver agito in danno dell'Ente anche allo scopo abietto di ottenere prestazioni sessuali dalla Vasiljevic, anche sodomitiche. Ma questa è una storia già raccontata.


“Macelleria” Don Uva, il “terremoto a Foggia” per coprire debiti e assumere raccomandati. Il sistema del “nano” Azzollini

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azzollinisuorcesarizzibelsito

"Privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite". La Procura di Trani non ha dubbi sul fine del decreto-legge numero 245 del 2002 ("Interventi urgenti a favore delle popolazioni colpite dalle calamità naturali) portato avanti dal senatore di Molfetta Antonio Azzollini per "scaricare" la massa di debiti sui cittadini contribuenti. Gli oltre 500 milioni di euro (in 10 anni) di buco, per gran parte caratterizzato dall'esposizione verso l'INPS, sono scaturiti da "assunzioni selvagge" gestite perlopiù dal politico di Molfetta e dal suo braccio destro, il biscegliese Angelo Belsito. Il fine era quello di garantirsi un "bacino politico-elettorale inesauribile", grazie ad un ente con oltre 2000 dipendenti (molti di più se si considerano i fornitori). "Una macelleria", così come l'ha definita l'ex direttore generale Dario Rizzi, preoccupato per il pericoloso abbassamento della qualità del personale scaturito dalle assunzioni clientelari a scapito della professionalità.

Assunzioni selvagge mentre si licenziava

La sede foggiana

La sede foggiana

Le dichiarazioni di Antonio Nicolino Lo Gatto, ex segretario generale, sono state decisive per ricostruire la "macelleria" Don Uva. "Avevano fatto assunzioni selvagge, ma questo era vero, era assolutamente vero, perché solo dal 2007 al 2010 hanno assunto 260 persone e poi ne hanno messe in mobilità 450. Cioè, voglio dire, non è che si erano limitati alla... a un numero diciamo così, che poteva essere accettabile, no? Tutti quelli che affluivano dal dottor Rizzi, Angelo Belsito e dal senatore Azzollini, venivano subito, come dire, accettati, assunti, venivano ossequiati perché erano imposti dal senatore...". Ad avere un ruolo decisivo nelle assunzioni, oltre a suor Cesa, Belsito e Azzollini, il management che si è susseguito in quegli anni: da Antonio Albano di Volturino a Giuseppe D'Alessandro di San Marco in Lamis, fino al lucerino Rizzi. Nel dettaglio, sotto la lente degli inquirenti sono finite: 46 assunzioni a Bisceglie durante la direzione di Albano, 23 (6 a Bisceglie, 8 a Foggia e 9 a Potenza) durante D'Alessandro e ben 197 (54 a Bisceglie, 48 a Foggia e 95 a Potenza) durante il "regno" di Rizzi, che assieme a suor Cesa (nel "gruppo di comando" figurava anche l'avvocato Antonio Battianteaveva messo le mani su Foggia e Potenza lasciando libero campo al duo Azzollini-Belsito su Bisceglie. Tra questi figurano i nomi "eccellenti" di Silvia Di Gioia (figlia di Lello), Francesco Coluccino (nipote di suor Marcella), Teresa Belsito (figlia di Angelo) e lo stuolo delle amanti (Vasiljevic legata e Rizzi e Rosalba di Pinto a Belsito). 

"Siffatte assunzioni - viene riferito nei capi d'accusa - in quanto ispirate da logiche clientelari e non rispondenti a reali esigenze occupazionali della CdP - che già nell'anno 2003 aveva proceduto al licenziamento collettivo di 624 dipendenti - contribuivano alla dissipazione delle risorse dell'Ente". Stessa logica nelle aziende fornitrici: c'è "un elenco di favori che sono stati fatti sempre a Belsito, nella sua rappresentanza al posto di Azzollini. Favori nel senso che lui si presentava, volta per volta, con dei biglietti, oppure con delle proposte tipo, per esempio, l'attività di qualche falegname, di qualche persona che doveva assumere, doveva far assumere presso l'Ambrosia Technologies e quindi voleva l'intermediazione della madre o del direttore generale perché si facessero interpreti della volontà del senatore...".

"Qua siamo tutti terremotati"

Il "nano" Antonio Azzollini

Il "nano" Antonio Azzollini

La sospensione degli oneri previdenziali (il vero bubbone del Don Uva) all'inizio per legge doveva essere per un anno. Poi le proroghe hanno permesso di reiterare il processo di "decozione" del carrozzone. Tutto grazie ad una norma dello Stato "ad personam" - destinata alle strutture sanitarie con più di 2mila dipendenti, e la CdP era l'unica nel Mezzogiorno - portata avanti dal "nano" (così lo chiama l'avvocato foggiano Antonio Battiante) Azzollini e cucita addosso all'Ente. "La Congregazione Ancelle della Divina Provvidenza - scrivono gli inquirenti - si è ripetutamente avvalsa di questa normativa, rinviando (e quindi omettendo) i pagamenti ad Equitalia Spa". Il presupposto è l'evento sismico del 2002 che ha colpito le province di Foggia e Campobasso (San Giuliano), e paradossalmente, dal 2004 in poi, i benefici sono stati "estesi" anziché essere limitati per ragioni oggettive. Per di più, il requisito territoriale avrebbe dovuto premiare i comuni a ridosso del Molise, e non certo la città di Foggia, sede dell'Ente, certamente non toccata dagli eventi sismici.

Persino il vincolo iniziale degli oltre 2mila dipendenti per poter accedere ai benefici, è stato ridotto fino al 2013 (1300 dipendenti) in ragione dei progressivi licenziamenti. L'obiettivo era quello di evitare che il Tribunale potesse avanzare la richiesta di fallimento, "congelando" per 3 anni la massa debitoria, silenziando persino le richieste creditorie dei fornitori: "Le tre ditte più grosse le controlliamo (compresa l'Ambrosia) - dice Belsito in una intercettazione - e non ci fanno la cosa per il fallimento". Le dichiarazioni rese al Pm danno il senso dell'operazione: "Ci fu il terremoto, non mi ricordo in che anno... che colpì anche Foggia. Per cui ogni qualvolta c'è un terremoto c'è la norma che sospende il pagamento dei contributi. E' accaduto varie volte. Allora il nostro semplice concetto fu: siccome siamo terremotati per natura, approfittiamo. Anziché limitare questo discorso a Foggia... che poi neanche Foggia aveva avuto tutti questi danni... dice (Azzollini, allora già presidente della Commissione Bilancio, NdR): non lo facciamo solo per Foggia, lo facciamo per tutta la Casa Divina Provvidenza". In questo modo il "bottino" portato a casa è stato calcolato in 20 milioni di euro ogni anno.

Rizzi-Vasiljevic come Bonnie e Clyde, volevano scappare col malloppo. Il Don Uva? “Salvadanaio di Battiante”

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rizzi vasiljevic e denaro

Erano pronti alla fuga Dario Rizzi e Adriana Vasiljevic, elementi centrali dell’inchiesta Don Uva. Non solo litigi e l’ossessiva gelosia dell’ex direttore generale ma anche il desiderio di scappare via dall’Italia una volta dissipato il patrimonio dell’Ente.

Rizzi, stanco delle bizze della 29enne serba, si lamentava dei continui ritardi sul posto di lavoro della Vasiljevic, ma soprattutto della sua relazione con un altro uomo. A quel punto la giovane, per frenare gli ardori del suo amante, gli ricordava l’idea di una fuga insieme.

Vasiljevic: Smettila di comportarti in questo modo perché non me lo merito. Io innanzi tutto non ti ho voluto prendere per il culo! Ho pensato che dicevi: cazzo! Meh! Proviamoci! Andiamocene insieme!

Rizzi: Io pensavo che stavi scherzando, che stavi scherzando.

Vasiljevic: Scherzando?

Rizzi: Meh! Meh!

Vasiljevic: Te l'ho detto a Roma. Te l'ho ripetuto a casa tua innanzi ad Antonio (Battiante, ndr) e mo' scherzo! Ti ho detto: ce ne andiamo insieme, tu ci devi essere.

Rizzi: Ma pensavo che, che Antonio tenesse, tenesse il gioco, che si stesse scherzando.

Vasiljevic: Ma si! Vabbè!

Rizzi: Perché no. Dice, dice, no! Quella dice sul serio...incomprensibile...

Vasiljevic: A parte che, a parte che pure tu, tu lo dicevi...

Rizzi: Ma di che cazzo stiamo parlando?

Vasiljevic: Ma tu pure lo dicevi con Antonio sto fatto eh!

La 29enne originaria di Belgrado appare spesso nelle quasi 600 pagine dell’ordinanza del giudice Rossella Volpe. Si parla soprattutto del suo lavoro svolto presso la Congregazione. Un incarico “inutile”. Per questa ragione sarebbe stata la prima ad essere licenziata a seguito della predisposizione del piano di rientro della posizione debitoria dell’Ente. Ovvero il piano da presentare al Tribunale Fallimentare per scongiurare il fallimento richiesto dalla Procura. Ma forte della sua relazione con il grande capo Rizzi, ha sempre salvato la sua scrivania anche grazie al ricatto.

La Vasiljevic era a conoscenza che Rizzi aveva preso soldi in nero, in contanti, dagli appaltatori della Congregazione. “Vediamo che cosa ne dicono gli altri di tutti i soldi che ti sei preso a nero per tanti di quegli appalti che non finiscono mai”. E ancora: “Io le tue palle ce le ho in mano”. Addirittura lo minaccia di mostrare carte compromettenti a un Procuratore della Repubblica e che il contenuto di quei documenti è talmente grave da mandarlo dritto in carcere. Era pronta anche a rovinare la sua vita privata. “Mi manca un’esperienza in carcere – dice Rizzi – e mi piacerebbe andarci a causa tua”. In una perquisizione dei carabinieri il 12 novembre 2012, il Nas di Bari fece visita al domicilio della Vasiljevic e nel suo ufficio recuperando quattro foto formato jpg che la ritraevano in atteggiamenti molto intimi con Rizzi. Secondo gli inquirenti, la donna aveva intenzione di mostrarle alla moglie del direttore generale in caso di licenziamento.

Di contro, il direttore generale la teneva sotto controllo anche attraverso una microspia, piazzata nell’auto della donna da un’agenzia di investigazioni.

Eloquente un’altra intercettazione nella quale l’ex direttore generale studia la maniera per confermare il posto di lavoro all’amante. Ne parla con l’avvocato foggiano, Antonio Battiante. La Vasiljevic, per oscure ragioni, viene chiamata “il papero”.

Battiante: Dario!

Rizzi: Antonio? Ti ho detto il fatto di quell'Amoruso?

Battiante: Eh! Rizzi: Eh! Potremmo sistemare il papero là.

Battiante: Alla contabilità?

Rizzi: Si

Battiante:  Che cazzo capisce di contabilità!

Rizzi: Ma forse quello capisce meno di lei.

Battiante: Ma non lo so. Non, non mi sembra l'ufficio adatto.

Rizzi: Ma così ce la scarichiamo capisci? La togliamo da là e si salva pure il culo.

Battiante: Non lo so. Boh! Queste sono cose...

Rizzi: La preparava lei la contabilità a quello eh!

Battiante: Sì ho capito! Ma quello poi...incomprensibile...quale altre attività eh!

Rizzi: E per quello proviamo a vedere no?

Battiante: Sì. Dobbiamo vedere quali erano le attività e le mansioni che faceva sto Amoruso.

Rizzi: È per quello, è per quello.

Battiante: E si!

Rizzi: Eh!

Per il ruolo della Vasiljevic sono indagati Rizzi e Rita Cesa (in religione suor Marcella) in quanto assunsero la giovane serba a tempo indeterminato quale collaboratrice amministrativa presso la sede di Foggia, per un compenso mensile lordo di 2.200 euro. Rizzi, dal 24 febbraio 2011, assegnò l’amante all'Ufficio Stampa e Relazioni Esterne, ripristinando appositamente l’ufficio dopo che, il 3 ottobre 2000, il Consiglio di Amministrazione ne aveva disposto la soppressione in quanto produttivo di spese inutili. Alla Vasiljevic era riconosciuta anche un'indennità dì "superminimo" dell'importo mensile di 350 euro per 13 mensilità, sebbene detto beneficio fosse stato revocato sempre il 3 ottobre del 2000. E ancora, Rizzi, il 10 settembre 2012 aveva piazzato la Vasiljevic alla Direzione Generale con il ruolo di collaboratrice, nonostante l'Ente avesse proceduto ad ulteriori licenziamenti e malgrado le gravi condotte infedeli della dipendente già raccontate da l’Immediato. In relazione all'attività di lavoratrice dipendente presso la Congregazione, la 29enne di Belgrado, nel periodo 2010-novembre 2013 ha percepito compensi, al lordo della ritenuta d'acconto del 20%, pari a complessivi 79.095,01 euro. 

L’esoso consulente foggiano Antonio Battiante. “Il Don Uva era il suo salvadanaio privato”

Sin dalla fine degli anni '90, i “condottieri” che si sono avvicendati alla guida della Congregazione erano pienamente consapevoli dello stato di grave dissesto in cui versava l’Ente ma nonostante questo hanno continuato a fare razzia delle sue risorse, nella evidente convinzione, da un lato, di restare impuniti in virtù delle 'coperture' acquisite presso una parte della classe politica locale, dall'altro, che la nave comunque non sarebbe affondata grazie ai trattamenti legislativi di favore di cui continuava a beneficiare. Azzollini docet.

E veniamo quindi a uno di questi “condottieri”, ovvero Antonio Battiante, avvocato, consulente e direttore generale (di fatto) del Don Uva a Foggia. Battiante, professionista foggiano, è centrale nell’inchiesta sulla Casa Divina Provvidenza. Era lui lo specialista dei pagamenti per prestazioni non documentate e inesistenti, tanto da aver contribuito pesantemente ad aggravare la situazione di dissesto dell’azienda.

Il professionista aveva un ruolo di spicco nell'attività illecita in quanto, agendo dietro le quinte, gestiva con lucida spregiudicatezza gli affari della Congregazione, ordendo le trame e concordando con Rizzi le strategie criminose dell'Ente. Battiante suggeriva gli espedienti tecnico/giuridici per eludere l'applicazione delle norme operanti durante il concordato preventivo e l'amministrazione straordinaria, partecipava alle riunioni del Consiglio generalizio deputate all'approvazione del bilancio, le cui poste sono state artatamente modificate su sua indicazione ed esercitava, pur in mancanza di una formale investitura, il ruolo di direttore generale di fatto dopo le dimissioni di Rizzi. “A riprova della disinvoltura con cui l'avvocato Battiante fa dell'Ente una sorta di salvadanaio privato – scrive il giudice nell’ordinanza cautelare -, vi è la conversazione telefonica in cui l'onorevole Lello Di Gioia (probabilmente informato di ciò dal commissario straordinario Cozzoli) riferisce che il professionista aveva inviato alla Congregazione una parcella monstre da cinque milioni di euro.

Conversazione del 14 febbraio 2014: Di Gioia dice a Rizzi: “Quell'avvocato ha mandato un'altra parcella di cinque milioni di euro!” Rizzi: “Ma quelli so' matti, sono! Sono matti!” Di Gioia: “No, no, l'avvocato, l'avvocato Battiante! Ha mandato una parcella...”

Significative – secondo il giudice - le parole che dirà in seguito Rizzi giustificando l'esosa parcella quale "reazione a non meglio precisate decisioni non condivise", prese dalla Congregazione nei confronti del super consulente. Una sorta di ripicca. In proposito, lo stesso Rizzi aggiunge che sarebbe opportuno "sedersi e ragionare", affermazione che trovava il consenso del politico Di Gioia. Secondo il giudice, non è da escludere, considerata l'indole dell'avvocato, che la parcella milionaria inviata alla Congregazione possa essere in tutto o in parte riferita a prestazioni inesistenti che non facevano altro che appesantire ulteriormente la posizione debitoria dell'Ente.

Ma non è tutto. Battiante intascò ben 317.520 euro che l'Ente gli riconobbe per prestazioni non documentate e/o inesistenti nell'ambito dell'attività professionale relativa alla procedura di concordato preventivo. Per l'avvocato foggiano, il Don Uva era un vero e proprio pozzo senza fondo.

Dio denaro/ Trenta milioni occultati e il pericolo di fuga in Perù, gli affari delle suore “svuota casse” del Don Uva

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suor cesa e soldi

Soldi, tanti soldi quelli manovrati, gestiti e spostati da Rita Cesa (suor Marcella, in foto) e Assunta Puzzello (suor Consolata). Secondo gli inquirenti, le due suore sono “promotori, costitutori e organizzatori” dell’associazione a delinquere assieme agli ex direttori generali Antonio Albano e Giuseppe D’Alessandro, all'ex numero uno della sede di Foggia, Dario Rizzi e all'avvocato dauno Antonio Battiante. Questi soggetti, secondo l’ordinanza del giudice, hanno concorso a determinarne la nascita dell'associazione, alimentandola in modo continuativo nel tempo, anche attraverso un’attività di coordinamento dell'attività dei sodali, al fine di rendere possibile l'attuazione del programma delinquenziale e di assicurare l'impiego razionale delle risorse umane e materiali del sodalizio.

Quasi 30 milioni di euro occultati

Suor Marcella e suor Consolata, finite ai domiciliari, hanno tenuto i fili della Casa Divina Provvidenza per molto tempo. “In concorso tra loro – si legge nel capo d’accusa - e con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, Cesa Rita in qualità di legale rappresentante e Puzzello Assunta in qualità di economa della CdP e di legale rappresentante della "Casa di Procura Istituto Ancelle della Divina Provvidenza", occultavano e/o dissimulavano le risorse della CdP per la complessiva somma di 28.374.095,64 euro traslando questo denaro dai conti correnti intestati alla Congregazione a quelli intestati a "Casa di Procura", ente fittizio istituito allo scopo di occultare ricchezza ai creditori della CdP, e intestavano al medesimo ente fittizio l'immobile di Guidonia (provincia di Roma), sequestrato nel giorno del blitz. Per entrambe c’è anche l'aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità. Accuse pesantissime, sottolineate anche dalla spregiudicatezza della Madre Generale suor Marcella, pizzicata più volte durante il lavoro di intercettazione.

Pericolo di fuga

donuva1Secondo gli inquirenti, l'esigenza cautelare per suor Marcella era necessaria in quanto la Congregazione dispone di altre sedi in Sudamerica (Argentina e Perù), perciò non può escludersi un concreto pericolo di fuga della Madre Generale (più o meno gli stessi piani della coppia Rizzi-Vasiljevic). Peraltro, presso le sedi estere, la suora disporrebbe anche di sufficienti risorse economiche, infatti, la Casa di Procura Istituto Suore Ancelle della Divina Provvidenza ha effettuato diversi bonifici in favore delle suore dislocate presso le sedi argentine e peruviane, per complessivi 346.615 euro utilizzando le provviste depositate su un conto corrente acceso presso lo I.O.R. e sottratte al patrimonio della Congregazione.

Concreto ed attuale pericolo di reiterazione criminosa sussiste anche in relazione alla figura di suor Consolata, protagonista principale del capitolo dell’ordinanza relativo all'occultamento del denaro in favore dei tre enti gemelli ("Casa di Procura Istituto Suore Ancelle della Divina Provvidenza", "Istituto Don Pasquale Uva - Casa Divina Provvidenza Onlus", "Istituto Don Uva"). La suora, rappresentante dell'ente parallelo, ma che vive e risiede nella sede di Bisceglie della Congregazione, ha posto in essere, unitamente a suor Marcella, le operazioni bancarie finalizzate all'occultamento delle risorse dell'Ente mediante la deviazione dei fondi della CdP su Casa di Procura, con grave danno per il ceto creditorio che si è visto sottrarre una ingente massa patrimoniale. Secondo il giudice, suor Consolata era pienamente consapevole delle finalità sottese al dirottamento del denaro da CdP a Casa Procura, in quanto titolare, peraltro, di posizioni bancarie di non modico valore.

Enti fittizi

Suor Consolata rivestiva il duplice ruolo di economa della Congregazione e di legale rappresentante del fittizio ente gemello Casa di Procura. In virtù di queste cariche, la suora ha personalmente assicurato al sodalizio un contributo concreto e perdurante nel tempo, assumendo il ruolo di principale attrice, insieme alla Madre Generale, in tutte le vicende che hanno determinato lo svuotamento delle casse della Congregazione in favore delle casse dei fittizi enti gemelli: Casa Procura per la complessiva somma di 28.374.095,64 euro e i due istituti "Don Uva" per la complessiva somma di 700.000 euro. Condotte di evidente gravità che si sono protratte per un lungo arco temporale (i primi passaggi di denaro accertati risalgono al 2004), perpetrate in maniera risoluta e senza sosta, con effetti enormemente dannosi per il ceto creditorio. L'opera di depauperamento del patrimonio mobiliare e immobiliare della CdP è stata sapientemente accompagnata dall'occultamento della documentazione bancaria costituente corpo del reato di bancarotta, documentazione che soltanto a seguito delle complesse e faticose indagini è venuta alla luce consentendo di ricostruire l'incessante flusso di denaro deviato dai conti correnti della CdP a quello degli enti fittizi.

Mentalità “laica”

Il "nano" Antonio Azzollini

Il "nano" Antonio Azzollini

Per il giudice che firma l’ordinanza, desta scalpore l'atteggiamento assunto da suor Marcella all’indomani della decisione di commissariare l’Ente. “Pur essendo una religiosa – si legge -, si interessa fattivamente di questioni terrene e lo fa con la mentalità propria dei laici che governano l'Ente. La suora, da un punto di vista tecnico, non conosce l'istituto dell'amministrazione straordinaria e non sa quali implicazioni questa procedura potrà avere sulla vita dell'Ente, tuttavia, non si perde d'animo ed arriva dritta al punto: le nomine dei commissari avvengono a livello governativo. Quindi è bene interessare al più presto il solito referente politico della Congregazione, il senatore Antonio Azzollini perché, dice la suora in una intercettazione, "è lui che deve vedere per i nomi", e ciò all'evidente scopo di evitare che l'Ente finisca nelle mani di soggetti avulsi dal grumo di potere che imperversa sulla Casa Divina Provvidenza e che, come più volte ribadito, faceva capo al senatore.

Scandalo Don Uva, i fornitori foggiani “privilegiati” e i fitti d’oro di Zanasi e Moschella

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Don Uva con facce

Nel sistema Don Uva, favoritismi e clientele erano le uniche linee guida per l’individuazione dei fornitori con cui avviare rapporti commerciali e rinnovare i contratti. In buona sostanza lo stesso discorso che veniva fatto per dipendenti e consulenti da trattenere in servizio o mandare via.

Stavolta puntiamo l’attenzione sui fornitori foggiani che, stando alle intercettazioni e a quanto sostiene il giudice, erano “privilegiati nei pagamenti”. “Quelli del Foggiano venivano pagati più spesso rispetto agli altri”, si legge sull’ordinanza. “Quelli che invece venivano pagati meno erano i fornitori di medicinali, quasi tutte ditte del nord”.

Nel corso degli incontri tra i membri dell’associazione a delinquere, il senatore Antonio Azzollini, al vertice del sistema, dava indicazioni sui fornitori con i quali l'Ente doveva continuare a intrattenere rapporti economici e quelli con cui, invece, bisognava chiuderli. In particolare, la Ambrosia Technologies s.r.l. (di cui Luciano Di Vincenzo, citato nella conversazione sotto, è il responsabile) avrebbe dovuto continuare a fornire i servizi alla Congregazione, mentre la New Logos Assistenza Soc. coop. a r.l. di Apricena di Antonio Pertosa (amico di Rizzi) doveva essere, verosimilmente, il fornitore con il quale chiudere le relazioni economiche. Nell'occasione, il senatore avrebbe confermato la sua piena fiducia in Dario Rizzi, direttore generale del Don Uva a Foggia e condiviso il "piano" ipotizzato dall'avvocato foggiano Antonio Battiante, per salvare l'Ente dal fallimento.

Dei fornitori da privilegiare e di quelli da tagliare, ne parlano in un’intercettazione, Rizzi e l’amante Adriana Vasiljevic, coinvolta in tutte le operazioni più importanti dell’Ente. Eccola di seguito.

Intercettazione Rizzi-Vasiljevic, pag 1 Intercettazione Rizzi-Vasiljevic, pag 2

I mega contratti tra enti fittizi e la ditta Zanasi&Moschella

Eliseo Zanasi

Eliseo Zanasi

È emerso che suor Marcella e suor Consolata traslavano ingenti somme dalla Divina Provvidenza alla Casa di Procura, un ente fittizio istituito allo scopo di occultare ricchezza ai creditori della Congregazione. Traslazioni avvenute con operazioni bancarie prive di giustificazione e con dubbio riscontro in contabilità. Le suore devono infatti rispondere di “bancarotta documentale” perché hanno reso impossibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento di affari relativamente alle operazioni di trasferimento della complessiva somma di 28.374.095,64 euro dai conti correnti della Congregazione all’ente fittizio Casa di Procura.

Nel contratto con l’ente fittizio, la Congregazione aveva concesso in locazione alla Casa di Procura la palazzina situata all'interno della sua struttura ospedaliera di Foggia denominata Ospedale S. Maria Bambina e la palazzina all'interno dell'altra sua struttura Ospedaliera di Bisceglie denominata Ospedale Ancelle della Divina Provvidenza.

Grazie a questo contratto, la Casa di Procura ha preso in locazione queste due palazzine per adibirle esclusivamente ad abitazione delle suore. La Casa di Procura negli anni 2004-2009 aveva anticipato, per conto della "Congregazione Ancelle della Divina Provvidenza", 1.427.800 euro per l'edificazione della Casa Suore di Foggia, 440.000 euro per l’Hospice foggiano e 2.200.009,91 euro per l'edificazione del reparto Hospice di Bisceglie, somme portate dalle fatture emesse dalle ditte appaltatrici Zanasi e Moschella per la prima (gli stessi tirati in ballo nell'"affittopoli" all'Asl di Foggia per la struttura della riabilitazione al Villaggio Artigiani), Ciuffreda per il secondo e Di Liddo per il terzo.

La Divina Provvidenza, pertanto, era obbligata a restituire all’ente fittizio Casa di Procura tutte queste somme. La durata della locazione era fissata in otto anni, dal 4 gennaio 2008 al 31 dicembre 2015, con possibilità di rinnovo di otto anni in otto anni in mancanza di disdetta dopo il primo quadriennio. Il canone mensile pattuito era di 12.000 euro, denaro compensato man mano con la maggiore somma che la Divina Provvidenza doveva alla Casa di Procura.

Le anomalie

Un contratto, quello tra Divina Provvidenza e l'ente fittizio Casa di Procura, pieno di anomalie perché, sebbene recante la data di sottoscrizione del 4 gennaio 2008, era stato registrato cinque anni dopo, ossia il 19 marzo 2013, tre giorni prima del deposito della proposta ai creditori e del relativo piano di soluzione della crisi. Sebbene datato 4 gennaio 2008, si fa riferimento a somme anticipate dalla Casa di Procura in favore della Congregazione anche nel successivo anno 2009. Il contratto non prevedeva l'epoca in cui la fantomatica compensazione avrebbe dovuto cessare né prevedeva la regolamentazione del pagamento della somma residua da parte della Congregazione in caso di rilascio degli immobili. La durata contrattuale (otto anni prorogabili) era del tutto sproporzionata per difetto rispetto al tempo necessario per estinguere il credito vantato da Casa di Procura in quanto, secondo la clausola di compensazione prevista nel contratto e dividendo il presunto credito vantato dalla Casa di Procura (4.067.809,91 euro) per il canone mensile pattuito (12.00 euro), il debito si sarebbe dovuto estinguere in circa 32 anni a fronte di una durata contrattuale di appena otto anni rinnovabili.

HOSPICE-DON-UVA

L'Hospice di Foggia

Dal contenuto del contratto pareva quindi emergere che la "Congregazione Ancelle della Divina Provvidenza" fosse "debitrice" dell'importo complessivo di 4.067.809,91 euro nei confronti della "Casa di Procura", somme queste che la Casa di Procura pareva avesse "anticipato" alla Congregazione per consentire l'edificazione della Casa Suore di Foggia, del reparto Hospice di Foggia e del reparto Hospice di Bisceglie. È sorto quindi il "sospetto", se non la "certezza", della nullità del contratto. Infatti gli inquirenti hanno chiesto alla Congregazione l'esibizione della documentazione amministrativo-contabile comprovante sia il debito complessivo contratto dalla Congregazione per la costruzione degli immobili sopra citati, sia il credito rinveniente dall'affitto degli stessi locali da compensare con il debito citato. Ma suor Marcella, Madre Generale della Congregazione, non è stata in grado di fornire alcuna documentazione relativa alle operazioni economico-finanziarie descritte nel contratto di locazione, documentazione che invece è stata rinvenuta da Marcello Paduanelli, direttore amministrativo della sede di Bisceglie della Congregazione che, a seguito di autonome ricerche, ha esibito alla Guardia di Finanza le 12 fatture emesse da "ZANASI & MOSCHELLA S.n.c." di Foggia nei confronti della Casa di Procura riferite al periodo 15 ottobre 2002 – 15 settembre 2004 per l'importo complessivo, I.V.A. inclusa, di 1.083.299.80 euro.

6 fatture emesse da "PASQUALE CIUFFREDA & FIGLI S.r.l." di Foggia nei confronti della Casa di Procura riferite al periodo 10 febbraio 2006 – 2 gennaio 2007 per l'importo complessivo, I.V.A. inclusa, di 440.000 euro. E 19 fatture dalla "EREDI DI LIDDO S.a.s." di Bisceglie. Documentazione che, come precisato da Paduanelli, era nella disponibilità di suor Consolata, rappresentante legale della Casa di Procura.

I contratti di appalto con le imprese costruttrici erano stati sottoscritti proprio dalla Casa di Procura, ente che dunque non si era limitato ad elargire un prestito alla Congregazione e, dunque, a "finanziare" le costruzioni anticipando il denaro alla Congregazione, ma che invece aveva commissionato le opere alle imprese costruttrici, che  avevano a loro volta emesso le fatture non in favore della Congregazione ma  in favore della Casa di Procura. Per il giudice, “tale peculiare "vicenda contrattuale" dei rapporti fra la Casa di Procura e la Congregazione assume particolare importanza -sotto il profilo temporale- in relazione alla procedura di concordato preventivo instaurata dalla "Congregazione Ancelle della Divina Provvidenza" presso il Tribunale di Trani”.

I nuovi capi della mafia sul Gargano e l’asse con la “Società foggiana”. Scalata al potere dopo “Cintaridd”

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cc vieste

I Raduano, costola del clan Notarangelo, provano la scalata al potere a Vieste. Obiettivo primeggiare nel racket delle estorsioni e nel traffico di droga. Anche grazie all’alleanza con i clan foggiani della “Società”. Questo in sintesi, il nuovo corso della criminalità sul Gargano dopo la morte, il gennaio scorso, di Angelo “cintaridd” Notarangelo, storico capo del clan omonimo. Alla luce del maxi ritrovamento dell’arsenale della mafia garganica, sorvegliato da un serpente razza “Boa Constrictor”, tornano ad accendersi i riflettori sull’organizzazione criminale del promontorio. Nonostante l’impegno lodevole dell’Antiracket cittadino e le denunce di alcuni imprenditori locali durante il processo Medioevo, i mafiosi si riorganizzano. Persone collegate a Marco Raduano, storico braccio destro di Notarangelo, lavorano per prendersi il controllo del territorio. Soprattutto puntando alle richieste estorsive, così da tenere sotto scacco l’imprenditoria locale.

Serpente ViestePiù o meno quello che faceva lo stesso Raduano, detto “Pallone”, assieme a “Cintaridd”. I due, infatti, solo fino a pochi anni fa, stando alla denuncia di Vincenzo Troia, imprenditore nel settore giochi e videogiochi di Vieste, si facevano consegnare circa 1000 euro al mese da numerosi operatori economici della zona. “Si, ma non te ne uscire con pochi soldi. Fai conto che metti un guardiano e stai tranquillo, tanto pagheranno tutti a Vieste”. Questa una delle tanti frasi pronunciate dal tandem di criminali. Non solo richieste estorsive ma anche assunzioni imposte. Ignazio Rollo, titolare di un villaggio turistico della zona raccontò agli inquirenti: “Incontrai per caso Angelo Notarangelo, il quale mi disse che dovevo mettere un guardiano al villaggio. Poi mi chiese 4mila euro. La stessa richiesta la fece a mio fratello, ma era sempre rivolta a me. Tutto ciò che di losco avveniva a Vieste, Notarangelo lo sapeva”, aggiunse l’imprenditore.

Oggi, con Notarangelo al cimitero e Raduano in carcere, qualcun altro avrebbe preso in mano il business del racket e quello della droga. Probabilmente qualcuno che era stufo del ruolo troppo accentratore di “Cintaridd”, almeno stando a quanto filtra dagli ambienti investigativi. E per rafforzare la presenza criminale sul territorio, le nuove leve viestane sarebbero sostenute dalla mala foggiana, soprattutto per gli affari nel traffico di droga, lungo il canale Vieste-Foggia-Marocco. L’operazione “Gotha” svelò, infatti, un traffico internazionale tra Capitanata e nord Africa.

L’asse Gargano-Foggia

Franco Libergolis

Franco Libergolis

D’altronde non è una novità la collaborazione tra malavita foggiana e garganica. I Sinesi/Francavilla, una delle batterie della “Società”, in passato favorirono la latitanza di Franco Libergolis, capo dell’omonima organizzazione, arrestato a Monte Sant’Angelo il 26 settembre 2010 dal Ros e dal Nucleo Investigativo dei carabinieri di Foggia. E anche più recentemente, Pasquale Moretti, della batteria Moretti/Pellegrino, trovò rifugio proprio tra i boschi della Montagna Sacra.

Libergolis, nato a San Giovanni Rotondo l'11 novembre 1978, figlio di Pasquale, era tra i 30 latitanti più pericolosi d’Italia quando venne pizzicato. Condannato all'ergastolo il 7 marzo 2009, nell'ambito del maxi processo alla faida del Gargano, si era dato alla macchia fino al settembre 2010. Il clan dei montanari, praticamente azzerato dopo l’arresto di Franco Libergolis, l’uccisione di Ciccillo Libergolis e la cattura di Giuseppe Pacilli, avrebbe perso la sua forza impattante sul territorio, forse proprio a favore dell’organizzazione criminale viestana, nuovo alleato forte della “Società”.

Infiltrazioni mafiose, lo scenario dopo Monte. In Capitanata solo 10 comuni su 61 si “tutelano”

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appalti pubblici

Ne dicono un gran bene, la snobbano, ignorano che da settembre, salvo proroghe, sarà un obbligo di legge per i Comuni non capoluogo aggregarsi o scegliere la Sua, stazione unica appaltante istituita presso palazzo Dogana a febbraio del 2013. In pratica, si tratta di una centrale di competenza, istituita al fine di "assicurare la trasparenza, la regolarità e l'economicità della gestione dei contratti pubblici e di prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose. Anche per evitare situazioni come quella di Monte Sant'Angelo. Su 61 Comuni della Capitanata solo 10 hanno stipulato la convenzione. Altri (Serracapriola, Apricena e Lesina, per esempio) si sono aggregati fra loro, qualcuno ha deliberato in consiglio comunale senza procedere all’atto successivo. 

La legge sugli appalti di gennaio (l’entrata in vigore è stata prorogata ad aprile e poi a settembre) prevede una “generale centralizzazione degli acquisti”, si tratta di capire come si muoveranno i comuni, anche quelli super attrezzati nel settore che finora hanno giocato in casa. Il motivo più in voga al sostegno del “no” riguarda la procedura che “rallenterebbe” o la dismissione dell’ente provincia. 

I paesi della Capitanata che hanno aderito alla Sua, una stazione supportata dal protocollo di legalità stipulato dal prefetto con regole più stringenti di quelle in vigore sono: dal Gargano, Poggio Imperiale, Sannicandro, Rignano, San Marco in Lamis e Vico. Sui Monti Dauni, Roseto Valfortore e Alberona, nell’Alto tavoliere San Severo e Torremaggiore, a pochi chilometri da Foggia c’è Lucera.

Come dicevamo, il capoluogo non è obbligato all’adesione anche se una dura polemica è scoppiata fra Giuseppe Mainiero e la sua maggioranza perché il consigliere di Fdi ha sollecitato in più occasioni la stipula.

Fra i centri con circa 60mila abitanti, i maggiori della provincia di Foggia dopo Lucera, opta per la stazione unica degli appalti San Severo. Fanno un’altra scelta Manfredonia e Cerignola. 

Le ragioni del “no” e del “sì”- a parte gli obblighi di legge per il momento prorogati- le abbiamo ascoltate da alcuni sindaci o amministratori locali. Argomenti spesso oggetto di consigli comunali monotematici, di frizioni fra maggioranza e opposizione (anche a Foggia alcuni consiglieri di centrosinistra con Mainiero sembrerebbero propensi a sostenere il passo). 

“Il Comune di Foggia non è contrario- secondo Ciccio D’Emilio, assessore all’urbanistica-  ma è la Provincia che è in fase di dismissione. Noi non stiamo cercando di centralizzare gli appalti ma di aderire a un codice. La Sua va bene per le grandi opere ma non è che per le piccole opere si fa tutto questo ambaradàn. Ne stiamo discutendo, va definito un programma e verificato il percorso”. 

Le ragioni del no

Franco Metta

Franco Metta

Il sindaco di Cerignola Franco Metta si è insediato a giugno: “Sono in carica da soli due mesi, ho trovato una città senza regole, senza carte, con immondizia per strada, non faccio miracoli. Per il momento non ho nulla da appaltare”. 

Riccardi posa con la fascia

Angelo Riccardi

Angelo Riccardi, sindaco di Manfredonia, è al suo secondo mandato: “Non siamo obbligati, abbiamo una struttura che funziona che è in grado di fare appalti da sola. Con la stazione unica appaltante si allungano i tempi, è il solito modo per dare una risposta sbagliata. Va bene per i piccoli comuni, non per un comune come il nostro, non so quanto potrebbe durare una gara se tutti si aggregassero. Perché ci dobbiamo complicare la vita? Il dato si può cogliere alla fine del percorso”.  

Le ragioni del sì

Michele Sementino

Michele Sementino

Il Comune di Vico con il sindaco Michele Sementino ha mantenuto la decisione, presa dal commissario Daniela Aponte, della Sua: “Potevamo revocarla ma l’abbiamo mantenuta, ritengo che sia un ottimo strumento, con le ristrettezze di personale che abbiamo riusciamo ad espletare le gare con velocità. E’ garanzia dell’ente che la gara sia svolta da un ente lontano dal territorio, è uno ‘scaccia procure’. Noi sindaci rischiamo la pelle, in modo un po’ egoistico dico che sarebbe meglio non arrivare a 61 Comuni aderenti alla Stazione unica”.

Francesco Miglio

Francesco Miglio

In campagna elettorale l’aveva preannunciato. San Severo è l’unico fra i Comuni più grandi della Capitanata ad aver aderito.  Francesco Miglio, sindaco di San Severo e presidente della Provincia, riteneva che le procedure potessero essere più snelle e lo conferma: “Fu una scelta felice, posso dire che siamo soddisfatti perché è una struttura di alto profilo, anche se non si è registrata una grande adesione da parte dei Comuni. Rappresenta una garanzia di correttezza della procedura”.

Terre avvelenate, immagini choc da Giardinetto (Foggia). Ma per sindaco e produttori “nessun allarme”

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reportage giardinetto - rifiuti bruciati

Cumuli di rifiuti e cenere. Il day after di Giardinetto è un paesaggio lunare, reso ancor più alieno dai resti dell'incendio di sabato scorso. Le fiamme hanno bruciato per diverse ore, proprio a ridosso dei rifiuti pericolosi (fanghi industriali provenienti da mezza Europa) della famigerata discarica, ormai depositati da 16 anni senza che nessuno abbia provveduto alla bonifica. I Vigili del fuoco - nonostante le nostre ripetute richieste - non hanno rilasciato una dichiarazione ufficiale sull'accaduto e, tanto meno, hanno trasmesso alcuni passaggi salienti della relazione.

una zona incendiata rifiuti di ogni genere nell'ex fornace reportage giardinetto reportage giardinetto 4 reportage giardinetto 3 reportage giardinetto 2 reportage giardinetto - ancora rifiuti reportage giardinetto - a due passi dalla fornace dei veleni nei capannoni i rifiuti fiamme tra i capannoni gli effetti dell'incendio cumuli di rifiuti e cenere

"Inutili allarmismi" per il sindaco

Se non è stato possibile leggere la relazione, è pur vero che si è assistito alla corsa alle dichiarazioni. A cominciare dal sindaco, Leonardo Cavalieri. Su quali elementi si è basato il primo cittadino? "Appena ho letto l'articolo, ho mandato i vigili urbani a fare tutte le fotografie, e non è risultato nulla. Quello che mi hanno riferito e che si sono accese le stoppie e da lì il costone dell'ex fornace, fino alla montagnetta dove c'era lo scavo. Però per ciò che riguarda il capannone e dove sono stoccati i rifiuti pericolosi non è successo nulla, è tutto integro". Poi, prosegue segnalando la preoccupazione per la mancata bonifica: "C'è anche un'altra questione da dirimere: la bonifica la deve fare obbligatoriamente la ditta che era proprietaria del sito, come disposto dal giudice. Ma dalle ultime notizie che ho sarebbe stata messa in liquidazione, quindi mi sa che dovremo presentare un progetto per intervenire. Tuttavia, fino a quando non verrà dichiarata cessata, noi istituzioni abbiamo le mani legate". Ecco il risultato del "sopralluogo" dei vigili urbani:

sopralluogo vigili 1 sopralluogo vigili 3 sopralluogo vigili 4 sopralluogo vigili

"Nessuna puzza, i rifiuti non sono stati toccati"

"Se alzate un po' il sedere, come faccio io, vi rendereste conto della verità". Giorgio Mercuri, presidente della coop "Giardinetto", colosso con 150 soci e 1500 ettari coltivati, non ci sta. Sul sito internet della società si garantisce il "controllo totale della filiera per fornire un prodotto sano, ottenuto con l'utilizzo di tecniche eco-compatibili". Anche per questo "è opportuno stabilire la verità delle cose", precisa. "I vigili del fuoco si sono fermati a circa un chilometro dalla zona - chiosa a l'Immediato -, non c'era nessun cattivo odore, anche perché io abito a due passi. Che è stato appiccato il fuoco di proposito da qualcuno è vero, interessando diversi ettari per circa due ore (dalle 23 alle 2 di notte). Ma nessuno è passato da quelle parti durante questo lasso di tempo...". "I rifiuti sono dalla parte del cancello - precisa -, mentre il fuoco è divampato dalla parte opposta. Bisogna conoscerle le cose prima di parlare". Anche Mercuri dichiara di non aver letto la relazione dei Vigili del fuoco. 

Veleni dal 1999

Un processo e decine di inchieste giornalistiche. Ma nulla è cambiato nell'area sequestrata nel 1999, ormai abbandonata e colma di rifiuti che possono disperdersi nell'area, anche senza incendi. L'industria Iao avrebbe dovuto recuperare e smaltire i rifiuti tossici provenienti da gran parte del mondo, Germania, Usa e Canada. Alcuni di questi sarebbero stati interrati. Insomma, una vera e propria "bomba ecologica", lambita dalle fiamme sulle quali bisognerà fare chiarezza. Intanto, proprio oggi a Troia, alcuni attivisti e cittadini, assieme al consigliere regionale del Movimento 5 Stelle, Rosa Barone, hanno incontrato l'assessore comunale all'ambiente, Antonietta Capozzo, per promuovere la bonifica del sito. "Ci hanno assicurato che il Comune si sta muovendo, il nostro ruolo in Regione - ha promesso il consigliere foggiano a via Capruzzi - sarà fondamentale: ho chiesto anche di prendere parte agli incontri della commissione comunale che hanno creato per questo problema, e quindi sarò all'interno per agire ancora meglio". (foto reportage di Carlo Colantuono)

nell'ex fornace 1 nell'ex fornace 2 nell'ex fornace 3 nell'ex fornace 4 nell'ex fornace 5 nell'ex fornace 6 nell'ex fornace 7 nell'ex fornace 8 nell'ex fornace 9

Il clan Pacilli “governava” sul Comune di Monte Sant’Angelo. Ecco i motivi dello scioglimento per mafia

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centro storico MonteSantAngelo

Concessione di terreni, appalti, servizi, strade, cimitero, parcheggi. Una lista lunghissima di vicende oscure che negli ultimi anni hanno gravato su Monte Sant’Angelo a tal punto da arrivare allo scioglimento del Comune per mafia.

Le motivazioni fornite dal Governo, con nomi censurati, danno uno spaccato chiaro di come funzionavano le cose nella città dell’Arcangelo. Ad emergere è soprattutto la contiguità tra esponenti politici e funzionari amministrativi con ambienti della criminalità locale. In particolare con i protagonisti dell’operazione “Rinascimento”, processo a carico di 13 imputati per estorsioni e favoreggiamento della latitanza del boss Giuseppe Pacilli, detto “Peppe u Montanar”. Una grande operazione, quella del 2012, quando la DDA di Bari pizzicò gran parte dei fiancheggiatori di Pacilli, un tempo vicino a Libergolis.

L'arresto di Giuseppe Pacilli detto “Peppe u’ Montanar”

L'arresto di Giuseppe Pacilli detto “Peppe u’ Montanar”

Nella relazione del ministro dell’Interno al presidente della Repubblica si legge che nel comune di Monte Sant’Angelo “sono state riscontrate forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata che hanno compromesso la libera determinazione e imparzialità degli organi eletti a maggio 2012 nonché il buon andamento dell’amministrazione e il funzionamento dei servizi”. Numerosi i collegamenti tra sodalizi criminali locali e alcune ditte utilizzate dal comune, tutti denunciati in forma anonima tra il luglio 2013 e il marzo 2014. Per non parlare della lunga lista di minacce ed episodi di danneggiamento ad amministratori e dirigenti dell’apparato burocratico.

Sulla relazione si spiega che sono emersi “collegamenti diretti e indiretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata di tipo mafioso e forme di condizionamento”. E ancora: “Uso distorto della cosa pubblica in favore di soggetti o imprese collegati a gruppi malavitosi”. Il tutto favorito dall’assoluta continuità tra le ultime amministrazioni, quella di Andrea Ciliberti prima e di Antonio Di Iasio poi, e dalla presenza in consiglio comunale sempre degli stessi soggetti.

A fine settembre 2014 si insediò la Commissione per l'accesso agli atti che, su disposizione della Prefettura di Foggia, doveva verificare l’esistenza di infiltrazioni mafiose nell'amministrazione comunale di Monte Sant'Angelo. Proprio dopo l’arrivo della Commissione, giunsero le dimissioni di due assessori, Mazzamurro e Totaro. Sulla relazione leggiamo ancora: “Assumono valore indiziante i legami, documentati dalle forze di polizia, di uno degli assessori dimissionari con la locale consorteria – legami che in nessun modo possono essere ritenuti occasionali, attestati dalla partecipazione dell’amministratore ad una ricorrenza personale celebrata da un noto esponente malavitoso”.

I protagonisti dell'operazione "Rinascimento"

I protagonisti dell'operazione "Rinascimento"

Pacilli power

Nella relazione non mancano cenni storici al “Clan dei Montanari”, da Ciccillo Libergolis fino a Peppe u Montanar, protagonista dell’operazione “Rinascimento” sulla quale sono fortemente puntati gli occhi del Governo. Soprattutto sulla latitanza del super boss Pacilli, all’epoca considerato tra i latitanti più pericolosi d’Italia e arrestato nel 2013 mentre si nascondeva nei boschi del Gargano.

“Le indagini hanno disvelato l'intricato reticolo di rapporti e di connivenze – spiega il ministro -, di chiara matrice mafiosa e fanno luce sulle attività estorsive, associate alla commissione di altri reati, poste in essere per il mantenimento del controllo territoriale e per il reperimento di risorse economiche per sostenere i costi della latitanza di Pacilli.

Nell'ambito dell'operazione “Rinascimento” sono state coinvolte anche tre persone, aventi un rapporto diretto con il Comune. Tra questi Michele Murgo, dipendente di una società partecipata dal Comune di Monte, e condannato per estorsione in concorso a 4 anni e 8 mesi di reclusione (ora in stato di libertà ed in attesa del ricorso in Cassazione).

Gli arrestati nell’operazione Rinascimento

CIOCIOLA Michele, classe 55, CIOCIOLA Raffaele, classe 29, D’ERRICO Francesco, classe 70, FACCIORUSSO Matteo, classe 71, FACCIORUSSO Nicola, classe 81, FERRANDINO Salvatore, classe 31, FERRANTINO Domenico, classe 53, GABRIELE Carlo, classe 60, LA TORRE Giuseppe, classe 62, MIUCCI Enzo, classe 1983, MURGO Michele, classe 61, PACILLI Concetta, classe 75, PACILLI Tommaso, classe 71, PETTINICCHIO Matteo, classe 85, PRENCIPE Pietro, classe 59, SILVESTRI Giuseppe, classe 73, STARACE Pasquale, classe 69, TOTARO Giovanni, classe 66.

Le pene

CIOCIOLA MICHELE, accusato di favoreggiamento personale mesi 10 e giorni 20 di reclusione, pena sospesa (il Pm aveva chiesto anni 2 e mesi 6 di reclusione).
D’ERRICO FRANCESCO accusato di favoreggiamento personale mesi 10 e giorni 20 di reclusione (il Pm aveva chiesto anni 2 e mesi 6 di reclusione).
FACCIORUSSO MATTEO accusato di estorsione in concorso aggravata dall’art. 7 l. 203/91 (metodo mafioso) anni 1 mesi 1, giorni 10 di reclusione ed euro 1400 di multa, pena sospesa e remissione in libertà (il Pm aveva chiesto anni 3 e mesi 3 di reclusione).
FACCIORUSSO NICOLA accusato di estorsione in concorso aggravata dall’art. 7 l. 203/91 (metodo mafioso) anni 3 mesi 4 di reclusione ed euro 2000 di multa, interdizione dai pubblici uffici per anni 5 (il Pm aveva chiesto anni 5 di reclusione).

FERRANTINO DOMENICO accusato di favoreggiamento personale anni 1 di reclusione, pena sospesa (il Pm aveva chiesto anni 2 e mesi 8 di reclusione).
GABRIELE CARLO accusato di estorsione in concorso aggravata dall’art. 7 l. 203/91 (metodo mafioso) anni 4 di reclusione ed euro 4000 di multa, interdizione dai pubblici uffici per anni 5 (il Pm aveva chiesto anni 5 di reclusione).
LA TORRE GIUSEPPE accusato di favoreggiamento personale aggravato dall’art. 7 L. 203/91 (agevolazione mafiosa) e peculato di beni di proprietà dell’esercito italiano anni 2, mesi 4 e giorni 20 di reclusione (il Pm aveva chiesto anni 4 e mesi 6 di reclusione).

MIUCCI ENZO accusato di più estorsioni aggravate dall’art. 7 l. 203/91 (metodo mafioso) anni 8 di reclusione ed euro 8000 di multa , interdizione legale e dai pubblici uffici perpetua (il Pm aveva chiesto anni 12 di reclusione).
MURGO MICHELE accusato di estorsione in concorso aggravata dall’art. 7 l. 203/91 (metodo mafioso) anni 4 mesi 8 di reclusione ed euro 8000 di multa, interdizione dai pubblici uffici per anni 5 (il Pm aveva chiesto anni 6 di reclusione).
PACILLI CONCETTA accusata di estorsione in concorso aggravata dall’art. 7 l. 203/91 (metodo mafioso) anni 4 mesi 8 di reclusione ed euro 6000 di multa, interdizione dai pubblici uffici per anni 5 (il Pm aveva chiesto anni 6 di reclusione).
PACILLI TOMMASO accusato di estorsione in concorso aggravata dall’art. 7 l. 203/91 (metodo mafioso) anni 6 mesi 6 di reclusione ed euro 6000 di multa, interdizione interdizione legale e interdizione perpetua dai pubblici uffici (il Pm aveva chiesto anni 10 di reclusione).

PRENCIPE PIETRO accusato di favoreggiamento personale anni 1 di reclusione, pena sospesa (il Pm aveva chiesto anni 3 e mesi 6 di reclusione).
TOTARO GIOVANNI accusato di estorsione in concorso aggravata dall’art. 7 l. 203/91 (metodo mafioso) anni 5 mesi 4 di reclusione ed euro 6000 di multa, interdizione legale e interdizione perpetua dai pubblici uffici (il Pm aveva chiesto anni 7 e mesi 6 di reclusione).

Cornuti e scambisti, Foggia capoluogo dell’infedeltà. Svelati i dati del portale per traditori “Ashley Madison”

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ashley madison

Milioni di traditori “traditi”. Gli hacker hanno scoperchiato tutti i segreti del portale Ashley Madison, il sito per chi è in cerca di storie extraconiugali. Svelati gli intrecci più piccanti e le tresche con gli amanti di personaggi noti ma anche di semplici cittadini.

L'infedeltà di circa 32 milioni di utenti è stata buttata in pasto all'intera rete. Sul web è presente la mappa completa che svela la distribuzione geografica degli iscritti che, prima dell’hackeraggio, erano a caccia di storie romantiche e sessuali all’insaputa di mariti o mogli. L'Italia risulta fra i Paesi più attivi, con una particolare concentrazione di uomini, l’85% della popolazione del sito è di sesso maschile.

infedelta-coniugale

Focalizzando l’attenzione sulla nostra provincia, scopriamo subito che il capoluogo dauno è di gran lunga il centro dove l’adulterio è di casa. Ben 2112 sono gli iscritti sul portale Ashley Madison a Foggia, 387 a San Severo, 306 a Cerignola, 269 a Manfredonia, 143 a Lucera. A San Giovanni Rotondo 128 mentre sul Gargano spicca Cagnano Varano con 103 iscritti. Molto staccate tutte le altre.

Scena tratta dal film di Woody Allen, "Matchpoint"

Scena tratta dal film di Woody Allen, "Matchpoint"

Foggia comanda nettamente la classifica con l’1,44% di abitanti iscritti, seguita da Cagnano (1,39%) e Lesina (1,13%). Dei 2112 presenti sul sito, il 91,29% è composto da uomini, il restante 8,71% da donne. Ma a Lucera la percentuale di donne è più alta, 9,79% su 143 iscritti. A San Nicandro Garganico, invece, il dato delle “quote rosa” tocca addirittura il 18,52% ma gli iscritti sono appena 27.

Nel resto della Puglia spiccano i 6654 iscritti a Bari. 2807 a Taranto, 2685 a Lecce e 1294 a Brindisi. Solo 658 a Barletta, 449 ad Andria e 387 a Trani. L’85% degli iscritti uomini e l’83% delle donne hanno dichiarato di essere “alla ricerca di una relazione a breve termine”. Inoltre emerge che sono sposati il 92% degli uomini iscritti. 81% il dato delle donne sposate.

Che la perversione fosse di casa a Foggia lo si era intuito già nel settembre 2014, quando “Dagospia” pubblicò i dati di “Mayasex”, un sito con la mappa degli scambisti in Italia. Numerosi i luoghi del capoluogo dauno dedicati alla trasgressione (ecco qui l'articolo su Foggia perversa): porta Manfredonia, Salice Vecchio, zona Figc, viale degli Aviatori, viale Fortore ma anche Siponto.

Monte, i rapporti pericolosi tra amministratori e cosche locali. L’assessore amico dei “Macchiaioli”

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Il Comune di Monte alle spalle di Ricucci e Totaro

Il Comune di Monte alle spalle di Ricucci e Totaro

Le vicende esaminate e riferite nella relazione del Prefetto svelano una serie di condizionamenti nell'amministrazione comunale di Monte Sant'Angelo, volti a perseguire fini diversi da quelli istituzionali. “Condizionamenti – si legge - che determinano lo svilimento e la perdita di credibilità dell'istituzione locale, nonchè il pregiudizio degli interessi della collettività, rendendo necessario l'intervento dello Stato per assicurare il risanamento dell'ente”. L’intervento dello Stato scaturisce essenzialmente dalla miriade di episodi oscuri che per anni hanno caratterizzato la città dell’Arcangelo. Dalla lunga relazione in nostro possesso, ne abbiamo estrapolati alcuni.

Il controllo sui parcheggi

Gli arrestati in "Rinascimento", operazione alla quale fa più volte riferimento la relazione visti i legami tra gli arrestati e la politica locale

Gli arrestati in "Rinascimento", operazione alla quale fa più volte riferimento la relazione del Prefetto visti i legami tra questi soggetti e la politica locale

Significativa è la vicenda relativa alla gestione di una vasta area di proprietà comunale adibita a parcheggio. Nel 2008, l'amministrazione comunale ha indetto una gara con procedura negoziata, senza pubblicare il relativo bando, asserendo motivi di urgenza ed invitando alcune imprese - tra cui una cooperativa - i cui amministratori sono collegati con esponenti di spicco della locale consorteria (il 13 agosto scorso abbiamo scritto del ruolo del clan Pacilli). Il servizio è stato affidato, in via definitiva ed in assenza di un’apparente ragione, alla cooperativa in questione, classificata seconda nella procedura concorsuale, che ha operato - a far data dalla scadenza contrattuale del 17 luglio 2009 - in regime di proroga, fino a che il comune, con delibera di giunta del 14 settembre 2012, ha indetto una nuova gara di appalto, con procedura ad evidenza pubblica, ritenendo necessario assegnare la gestione degli spazi ad un operatore qualificato e specializzato nel settore.

La stessa cooperativa, che aveva in precedenza gestito il servizio, è risultata vincitrice della gara. Successivamente, la giunta municipale, con delibera del 24 maggio 2013, ancora una volta invasiva delle competenze gestionali, ha affidato alla stessa cooperativa, in base ad una mera richiesta del titolare e al fine di fronteggiare una situazione di grave disagio dei soggetti titolari, la gestione di un ulteriore servizio relativo alla gestione del traffico di una porzione del territorio comunale e dei connessi problemi.

La mafia degli alberi

Con altra procedura, che il Prefetto definisce emblematica del modus operandi ben consolidato a Monte Sant'Angelo, la giunta comunale ha individuato le modalità di affidamento - attingendo da un elenco di imprese, con il criterio della rotazione - nonchè la ditta alla quale assegnare il diradamento selettivo di alberi, ai fini del rimboschimento, su alcune particelle di proprietà comunale.

In particolare, l'organo di indirizzo politico in carica nel 2011 - i cui componenti ricoprono ancora ruoli istituzionali nell'attuale giunta (almeno fino allo scioglimento per mafia) - esercitando compiti gestionali, ha affidato il lavoro ad una cooperativa agricola, il cui presidente è legato da vincoli di parentela con un esponente malavitoso.

Nel 2002, l'amministrazione comunale aveva concesso in fitto ad una società, per un periodo di 5 anni rinnovabili, una cava sita su un terreno di proprietà comunale. Sulla base di una richiesta di proroga avanzata dal titolare della società stessa, il consiglio comunale dell'ente, con delibera del 26 novembre 2012, adottata dopo la scadenza del contratto, ha autorizzato la prosecuzione dell'attività estrattiva, senza tener conto della circostanza che il prolungamento della coltivazione della cava non poteva prescindere da una rinnovata valutazione di impatto ambientale (VIA) da parte della Regione Puglia, la quale in precedenza aveva fissato in un quinquennio il limite della coltivazione della cava.

Ricucci-PasqualeNel 2013, l'assetto societario è stato modificato, con il subentro di due nuovi soggetti, contigui al clan egemone e, nell'occasione, il comune, pur a conoscenza dei rapporti dei nuovi soci con la criminalità organizzata, non ha opposto le dovute cautele per impedire la prosecuzione del rapporto.

La cava in questione è stata oggetto di interventi di risanamento, di rilevante importo, affidati ad una ditta a seguito di gara pubblica. In relazione a tale vicenda, secondo quanto emerge dall'ordinanza di misura cautelare emessa dal Tribunale di Foggia il 29 giugno 2015, il predetto presidente delle due cooperative di servizi interessate all'assegnazione dell'appalto relativo ai servizi cimiteriali, arrestato il 30 giugno 2015, ha effettuato minacce finalizzate a bloccare i predetti lavori, per farli eseguire da una ditta diversa da quella che si era aggiudicata l'appalto.

L’assessore vicino ai “Macchiaioli”

Vincenzo Totaro

Vincenzo Totaro

Tra i vari “omissis” della relazione spicca quello (già svelato nell’articolo del 13 agosto scorso) dell’ex assessore ai Lavori pubblici Vincenzo Totaro dimessosi dopo l'insediamento della Commissione di accesso e direttore del Parco Nazionale del Gargano. Nella relazione si ricorda una vicenda giudiziaria (finita con la riabilitazione di Totaro) che lo vide condannato a 8 mesi di reclusione, con beneficio della condizionale, per i reati di falsità ideologica commessa dal privato in atti pubblici, falsità ideologica commessa da P.U. in atti pubblici, uso di atto falso. Totaro viene ritenuto – si legge nella relazione - persona legata da rapporti d'amicizia con i “Macchiaioli”, in particolare con gli esponenti della famiglia Ricucci. A conferma di tale vicinanza si segnala che nel marzo 2014, pochi giorni dopo l'omicidio di Ivan Rosa (soggetto già implicato nell'atto intimidatorio contro il dirigente dell'Ufficio tecnico comunale Giampiero Bisceglia), nel corso delle conseguenti indagini, venne acquisito il filmato di un circuito di videosorveglianza dove si era appena svolta una festa della famiglia di Pasquale Ricucci, ritenuto esponente di spicco della batteria “Macchia”. Dalla visione del filmato si nota inequivocabilmente la presenza di Totaro che si avvicina salutando Ricucci in maniera affettuosa e confidenziale.

Mafia a Monte Sant’Angelo, le compagne dei boss assunte in clinica. Decisiva la parentela con l’ex assessore

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Da sinistra, Enzo Miucci, Damiano Totaro e Matteo Pettinicchio

Da sinistra, Enzo Miucci, Damiano Totaro e Matteo Pettinicchio

Sullo scandalo mafioso che ha travolto Monte Sant’Angelo non potevano mancare le assunzioni sospette di parenti e amanti dei criminali del posto. È il caso della RSSA Villa Santa Maria di Pulsano, residenza per anziani presente tra i vari “omissis” della relazione del prefetto. Mafia, clientele e politica sembrano le uniche chiavi di accesso per un posto al sole. Ed è qui che si incastrano le storie del consigliere comunale Damiano Totaro (ex assessore eletto nel 2012 col centrodestra) e del cugino Matteo Pettinicchio, figlio di Antonio Pettinicchio, anche quest’ultimo consigliere comunale.   

“Matteo Pettinicchio – si legge sulla relazione - è ritenuto contiguo al contesto criminale del "Clan dei Montanari", riconducibile alla famiglia Libergolis, come si desume anche dalle sue pregresse frequentazioni, risultanti da diversi controlli di polizia, che vanno dal 2003 al 2008, tra cui elementi di spicco nell'ambito delle consorterie mafiose. Più volte tratto in arresto, Pettinicchio ha diversi pregiudizi per reati gravi come le estorsioni. È stato coinvolto anche nell'operazione “Rinascimento” (già citata dalla nostra testata) e sottoposto in tale ambito a fermo di indiziato di delitto emesso dalla DDA di Bari - convalidato dal giudice per le indagini preliminari con contestuale applicazione di misura cautelare - insieme ad altre 17 persone, per reati di estorsione, porto e detenzione abusiva di armi, favoreggiamento della latitanza del boss Giuseppe Pacilli detto "Peppe u' montanar", procurata inosservanza di pena ed altri gravi reati.

Suo cugino Damiano Totaro (con interessi nel Monte Calcio e consigliere direttivo del Parco del Gargano) gestisce la RSSA che, stando alla relazione, è stata oggetto di atti di intimidazione già poche settimane dopo il rilascio dell'autorizzazione al funzionamento. Dagli accertamenti effettuati dall'organo ispettivo è emerso che tra i dipendenti della residenza per anziani ci sono le compagne di Matteo Pettinicchio e di Enzo Miucci, anche quest’ultimo esponente di spicco della criminalità organizzata. Uomo di fiducia del clan Libergolis, Miucci è definito uomo dal “notevole spessore criminale” già sottoposto nel 2008 a sorveglianza speciale per due anni. Il giovane, detto “u' creatur” perché all’interno dell’organizzazione fin da adolescente, è uno degli “astri nascenti” del clan, importante nel favorire la latitanza del boss Pacilli (infatti è tra i coinvolti nell’operazione “Rinascimento”) e fondamentale nell’alleanza con la "Società foggiana". Uno che con gli affari ci sa fare.

Suo padre Antonio venne ucciso il 14 agosto del 1993 nell’ambito della faida garganica tra le famiglie Libergolis e Primosa-Basta-Alfieri. Enzo Miucci, più volte tratto in arresto, braccio destro di Franco Libergolis, risulta gravato da pregiudizi penali e di polizia e da sentenze di condanna per gravi delitti. Con sentenza del GUP di Bari del 19 marzo 2013, (Operazione “Rinascimento” relativa ai fiancheggiatori della latitanza di Giuseppe Pacilli), è stato condannato alla pena di 8 anni di reclusione e 8mila euro di multa.

Stando alla relazione del prefetto, le assunzioni delle compagne di Miucci e Pettinicchio sono apparse come “non casuali” e legate ai rapporti parentali esistenti tra Damiano Totaro e il cugino Matteo Pettinicchio. Tali circostanze appaiono significative potendo ragionevolmente trarsene se non la contiguità, la “permeabilità” dei titolari della struttura - tra i quali figura il consigliere di maggioranza, già assessore - da parte di questi soggetti (di cui uno a lui legato da vincoli di parentela), il cui spessore criminale, almeno per quanto riguarda Pettinicchio, non poteva essere ignorato dal politico.

Tumori a Foggia e provincia, “tasso di mortalità in eccesso”. Dati superiori alla media regionale

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Sono davvero poco confortanti i i dati sui tumori in provincia di Foggia. Le voci che finora hanno preoccupato le popolazioni soprattutto in alcune città e distretti, cominciano a trovare conferma nel registro regionale. L'analisi, svolta a livello territoriale dall'ufficio statistica dell'Asl di Foggia guidato da Fernando Palma, nel periodo di riferimento 2006-2013 evidenzia un "tasso di mortalità in eccesso, rispetto all'analogo dato regionale, in entrambi i sessi per traumatismi, avvelenamenti, tumore maligno del colon retto, malattie del sistema circolatorio e disturbi circolatori dell'encefalo". Nel dettaglio, c'è una distinzione tra i sessi: nelle donne preoccupano i picchi delle neoplasie al sistema nervoso centrale, mentre negli uomini ad essere colpiti con maggiore frequenza sono lo stomaco e la laringe (eccessive anche le neoplasie immunoproliferative, le leucemie mieloidi e le malattie dell'apparato digerente e le nefrosi). 

Le aree più a rischio

L'Asl foggiana ha fatto registrare tassi di ospedalizzazione più alti della media regionale, un dato che da solo farebbe scattare l'allarme. E se è vero che in Capitanata ci si rivolge - tendenzialmente - con maggiore facilità ai nosocomi, non si può sottovalutare l'aumento di alcune patologie in determinati territori. Accade così che nel distretto di San Severo si assiste ad un eccesso di tumori alla laringe per gli uomini e ad un alto tasso di mortalità per le malattie del sistema circolatorio, digerente, avvelenamenti, traumi e tumore all'esofago nelle donne. Nell'area di San Marco in Lamis preoccupano, invece, i disturbi circolatori dell'encefalo negli uomini e le malattie respiratorie acute nelle donne. L'analisi dell'ospedalizzazione a Manfredonia, caratterizzata dai noti problemi ambientali per l'ex Enichem, preoccupa per l'"eccesso significativo di tutti i tumori, tumori della pelle (melanomi e non), malattie polmonari cronico-ostruttive, malattie dell'apparato digerente e urinario, per entrambi i sessi".

Stesso discorso vale per Cerignola, dove a raggiungere picchi importanti sono: il diabete mellito, le malattie ipertensive e dell'apparato respiratorio, le malattie polmonari croniche negli uomini; il tumore alla mammella e al polmone nelle donne (il dato è superiore persino alla media nella provincia di Foggia). Non sta messo meglio il distretto di Foggia, anch'esso al di là della media provinciale per tutti i tipi di tumore. Nell'area di Troia, dove insiste peraltro una discarica mai bonificata (Giardinetto), ad essere colpiti sono il colon-retto l'esofago, il sistema immunitario e cardio circolatorio. 

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Nuova mappa della mafia nel Foggiano, rapporti privilegiati con camorra e imprenditoria locale

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Si torna a parlare della mafia a Foggia e provincia. E puntuale riecco la relazione semestrale (luglio-dicembre 2014) della Direzione investigativa antimafia. Pubblicata anche la mappa aggiornata dei clan presenti in Capitanata, dopo quella uscita su l’Immediato a ottobre dello scorso anno.

“In provincia di Foggia – si legge -, l'indole spesso violenta delle manifestazioni criminali, le cui caratteristiche le distinguono profondamente dalle altre presenti sul territorio pugliese, ha reso il quadro di situazione complessivo molto allarmante. I numerosi fatti di sangue verificatisi, specie nelle zone rurali, sono sintomatici di un fragile equilibrio tra i clan mafiosi che, alla costante ricerca di affermazione, sono spesso agevolati nella loro impunità da una omertà diffusa. È di tutta evidenza, al riguardo, la carenza di collaboratori di giustizia e l'elevato numero di omicidi, molti dei quali, ad oggi, irrisolti”.

Gli affari della mala

dda-dia-antimafiaTra le attività illecite perseguite dalle formazioni criminali pugliesi, i settori del traffico e dello spaccio di stupefacenti, dell'usura e delle estorsioni restano fondamentali per il controllo del territorio. Attraverso queste attività delittuose i clan esercitano difatti una forte intimidazione sull'ambiente circostante tale da permettere la loro affermazione e garantirsi sicuri e stabili guadagni, parte dei quali impiegati per il mantenimento delle famiglie dei detenuti e per la distribuzione dei proventi fra i componenti del gruppo criminoso. Usura ed estorsioni permettono inoltre la sempre più capillare infiltrazione nelle attività economiche produttive, confermando il salto di qualità dei locali sodalizi mafiosi, molti dei quali orientati verso il modello più redditizio di silente mafia degli affari.

Il narcotraffico costituisce tuttora la principale attività perseguita dalle organizzazioni criminali pugliesi, che spesso si approvvigionano nei paesi dell'area balcanica. Per la favorevole posizione geografica la Puglia si conferma una testa di ponte per i traffici di eroina e marijuana dall'Albania, diventando così a livello nazionale un punto di riferimento per le altre mafie. Sul punto basta osservare che, anche statisticamente, i sequestri di marijuana ed eroina effettuati tra Manfredonia, Bari ed il Salento, sono in senso assoluto i più consistenti a livello nazionale, insieme a quelli avvenuti nelle Marche e nel Veneto (a dimostrazione che questo tipo di narcotico proviene attraverso il canale adriatico).

L’asse col Gargano

Nella Capitanata convivono società foggiana e mafia garganica, difficili da distinguere l'una dall'altra. In passato sono emersi anche rapporti di collaborazione, come nel favorire le latitanze dei boss. Nel settore degli stupefacenti la criminalità foggiana intrattiene rapporti privilegiati con la camorra napoletana, con la quale vanta rapporti consolidati. Nell'area metropolitana alcune figure emergenti si sono ritagliate spazi autonomi, andando così ad assumere una posizione di supremazia nei vari settori dell'illecito. Preoccupano, invece, le dimensioni raggiunte dall'elevato numero di attentati dinamitardi o incendiari agli esercizi commerciali.

Gli imprenditori collusi

Da qualche tempo è sempre più radicato il fenomeno di assoggettamento ed anche contiguità tra la locale imprenditoria e la criminalità mafiosa. L'infiltrazione nel tessuto economico avviene, essenzialmente, attraverso l'usura, che consente ai gruppi criminali - mai in crisi di liquidità - di diventare soci, anche occulti, di soggetti economici "salvati" dai loro finanziamenti. Oppure attraverso l'attività estorsiva, qui attuata anche mediante l'imposizione di assunzioni.

Inoltre, la scarsa rete informativa anche a livello confidenziale è dovuta sostanzialmente all'atteggiamento "omertoso" da parte delle vittime della criminalità. Tuttavia, a Foggia, le Istituzioni hanno dato un segnale positivo con l'apertura del primo presidio antiracket della provincia, l’associazione intitolata a Panunzio.

Calo degli omicidi

Il giorno dell'arresto di Antonello Francavilla

Il giorno dell'arresto di Antonello Francavilla

Una situazione di sostanziale “pax criminale”, come anticipato tempo fa su l’Immediato, significa anche un calo del numero di omicidi. Nella città di Foggia, teatro di episodi di criminalità organizzata, da circa un biennio, come ciclicamente già verificatosi nel passato, si è registrato un calo. Ciò nonostante, l'equilibrio esistente potrebbe essere messo in crisi dalla recente scarcerazione di alcuni degli esponenti più carismatici dei sodalizi Trisciuoglio-Prencipe-Tolonese, Sinesi-Francavilla e Pellegrino-Moretti. Ciò anche in considerazione della nota contesa fra gli ultimi due clan citati ai quale, in passato, sono da ricollegare diversi omicidi e tentati omicidi.

Nell'intento di scongiurare una nuova stagione di violenza, mirate indagini hanno consentito di accertare che i boss del clan Pellegrino-Moretti, acquisita la libertà, non hanno esitato a riorganizzare l'omonimo sodalizio con lo scopo anche di garantirsi la latitanza alla luce delle imminenti possibili loro condanne processuali.

Potenziali ripercussioni sullo stato di pacificazione esistente potrebbero derivare anche dalla decisione di Sabrina Campaniello, ex coniuge del noto capo del sodalizio Francavilla (Emiliano Francavilla) di collaborare con la giustizia.

Resto della provincia

Nella provincia dauna le presenze malavitose più significative, quanto al numero degli affiliati, si concentrano nei comuni più popolosi di Foggia, Cerignola, Stornara, Lucera, San Severo, Torremaggiore, Manfredonia, Mattinata e Vieste.

Raduano e Notarangelo

Raduano e Notarangelo

Episodi criminali vessano il resto della provincia, in particolar modo i comuni di San Giovanni Rotondo, Torremaggiore, Cerignola, Ortanova, San Severo, Ascoli Satriano e Apricena, dove permane alta la preoccupazione derivante dai diffusi e, di evidente matrice intimidatoria/estorsiva, attentati incendiari e dinamitardi, consumati non solo in danno di esercizi commerciali, ma anche di abitazioni e veicoli riconducibili a imprenditori, esponenti politici ed istituzionali e rappresentanti della locale vita pubblica. In Resta alto anche il pericolo di "infiltrazione mafiosa" nel tessuto socio-economico e degli appalti pubblici.

A Vieste, invece, preoccupava la scarcerazione del boss Angelo Notarangelo (morto a gennaio di quest’anno), capo indiscusso del clan Frattaruolo-Notarangelo confederato al clan montanaro dei Libergolis. La sua morte ha già dato seguito ad alcune importanti operazioni di polizia, soprattutto contro Marco Raduano, un tempo braccio destro del boss e oggi intenzionato a scalare i vertici del crimine sul Gargano.

Il caso Cerignola

La città di Cerignola si conferma il crocevia del traffico di stupefacenti, grazie ai legami interregionali realizzati con esponenti della criminalità autoctona stanziati da decenni nel nord-ltalia, e di reati di natura predatoria che vengono consumati, perlopiù, in forma "pendolare" lungo tutto il territorio nazionale. L'area territoriale che comprende diversi piccoli comuni risente dell'influenza criminale cerignolana, generando in alcuni di questi, come a Stornara con il clan Masciavè, gruppi criminali che tenderebbero a controllare e gestire in maniera autonoma le attività illecite.

Esamopoli Don Uva, presunti favori per superare prove all’Università di Foggia. Rispunta la bella Vasiljevic

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Adriana Vasiljevic

La procura di Trani passa a Foggia lo stralcio dell'indagine sulla presunta "esamopoli" che coinvolgerebbe alcuni dipendenti della Casa Divina Provvidenza. Una parte del mega fascicolo di oltre 5mila pagine dell'inchiesta madre riguarderebbe, infatti, alcuni favori concessi per sostenere esami all'università degli studi di Foggia. Le situazioni segnalate emergono dalle complesse indagini a carico di alcune persone indagate per il crac dell’ente, finito in amministrazione straordinaria a fine dicembre 2013. Il nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Bari ha indagato sulla possibilità che alcuni dipendenti fossero stati raccomandati palesemente per superare alcuni esami universitari, ovvero che conoscessero in anticipo le domande di esame. Agli atti anche riscontri informatici, come email e file (audio e messaggi) che farebbero sospettare dell’esistenza di “aiuti” per superare gli esami.

Nelle carte dell'indagine che ha portato a 9 arresti il 10 giugno scorso, si fa riferimento in più di una occasione al percorso di studi di una dei personaggi chiave delle vicende, Adriana Vasiljevic, da tempo alle prese con il corso di studi triennale in Amministrazione delle Aziende-Management & Marketing, che non avrebbe ancora concluso.

Dario Rizzi

Dario Rizzi

Nei dialoghi già diramati tra gli indagati, è emersa in più di un'occasione la necessità di ricollocare la "responsabile Don Uva" (così si definisce su LinkedIn, il social delle professioni), spostandola dall'inutile e sulla carta soppresso ufficio stampa agli uffici amministrativi di Bisceglie. Un passaggio necessario per evitare di rimanere senza lavoro durante la fase dei tagli imposti dalla procedura concausale scaturita dal debito monstre di 500 milioni di euro. 

Adriana Vasiljevic, già dipendente della Congregazione, il 24 febbraio 2011 venne assegnata all’Ufficio Stampa e Relazioni Esterne ripristinato appositamente dal direttore generale e suo amante Dario Rizzi dopo la soppressione decisa dal CdA il 3 ottobre 2000. Assunzione definita dagli inquirenti “inutile e dannosa”. Conosciuta da Rizzi in un night club di Roma dove la Vasiljevic si esibiva, l'ormai ex dg del Don Uva se ne innamorò alla follia tanto da portarla a Foggia e piazzarla nella struttura di via Lucera con tanto di privilegi.

La sede del Don Uva in via Lucera a Foggia

La sede del Don Uva in via Lucera a Foggia

In uno degli scambi nelle intercettazioni tra Dario Rizzi - che è appena tornato in libertà dopo essere stato licenziato dall'Ente - e la ragazza serba, si fa riferimento ai continui ritardi nell'arrivare in ufficio al mattino:

Rizzi: E quando si dice di fare in un certo modo si fa in quel modo

Vasiljevic: Perfetto!

R: Ah!

V: Se dovessi avere un pensiero prima di agire ne parlo con te

R: Ma sicuramente!

V: Va bene?

R: Non è che si fanno le... incomprensibile... di cazzi, di quello e di quell'altro, poi si fanno le otto della mattina e si dorme! Vabbè?

V: Eh?

R: Non si massaggia la notte! Si dorme la notte!

V: E secondo te io che cosa faccio la notte?

R: Ma che ne so! Sì... perché a... alle nove, alle, alle dieci ancora non riesci ad andare al lavoro! Significa che non dormi la notte!

V: Significa che non dormo perché forse sto studiando!

R: E va bene, ià! Sono tre anni che studi, dai!

V: O forse per... semplicemente sono talmente giovane che alle 11 io non ci riesco ad andare a letto

In un'altra circostanza riferisce di doversi assentare per una settimana, parlando con il suo amico Matteo Armillotta.

Armillotta: Pronto?

Vasiljevic: Meh! Di' che c'è di così grave?

A: No. Non è una cosa grave.

V: Ah!

A: Ma dove stai? Stai in ufficio? Stai a casa?

V: No, io sto a casa. Questa settimana non lavoro perché sto preparando gli esami.

LE CARTE DELL'INCHIESTA

"Non dormo..." "Me la vedo io, stai sereno" "Non lavoro, sto preparando gli esami"

Sangue e racket a San Severo, dove si ammazza per niente. Le forze dell’ordine: “Troppi cani sciolti e pochi agenti”

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Tre omicidi negli ultimi sei mesi. L’altro giorno, in una lite per un box occupato, ci è scappato il morto, un pregiudicato con 20 anni di galera alle spalle. San Severo si è spesso svegliata con le bombe lanciate contro i portoni o indignata per l’aggressione ai vigili urbani dei mesi scorsi, in pieno assessorato di Michele Emiliano che riunì ad un tavolo i rappresentati della sicurezza cittadina e lanciò la campagna sul casco. Se ti sequestrano il motorino paghi la multa e poi te ne regalano uno. Quella campagna, che esortò anche il sindaco Landella ad imitare, non è mai partita in quanto la delibera non è mai passata in consiglio comunale. Serve un “impegno di spesa”, può darsi che ritorni in aula con il neoassessore alla sicurezza Antonio Cicerale subentrato da due settimane al neogovernatore nella delega alla sicurezza urbana.  

D’Angelo: “Prevenire, non contare i morti

Tonino D'Angelo

Tonino D'Angelo

Si sono riunite qualche giorno fa le associazioni che sono impegnate sul versante sicurezza e legalità. Il programma, la tabella di marcia verso un’organizzazione dell’ordine pubblico è in fieri, i vigili urbani sono parte integrante del progetto cui non fanno cenno.

Fra queste associazioni c’è Libera di Tonino D’Angelo, con il suo approccio molto “sociale” al problema della delinquenza giovanile nei quartieri e della “rete di poteri” che sarebbe alla base di episodi di violenza. D’Angelo dice, con un piglio arrabbiato: “Ma non facciamo falsa cronaca, intorno all’occupazione di case c’è un coacervo di interessi, quello dell’altro giorno è solo la punta di un iceberg di poteri che ruotano intorno al business delle case. Dobbiamo investire sul reddito di cittadinanza o di dignità e su tutti i temi dei diritti, compreso quello alla casa perché è sul terreno della precarizzazione di tutti che si sviluppa la criminalità. Facciamo campagne per la prevenzione, non per contare i morti”.

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“La criminalità dei cani sciolti”

omicidio-palumbo-san-severo2Le forze dell’ordine, come quelle dei vigili urbani, girano per il paese nella solita esiguità di numeri: “Se ne fossimo il doppio potremmo assicurare almeno due volanti o anche di più”. Lo sostiene un rappresentante delle forze dell’ordine da vent’anni a San Severo: “Il paese è rimasto sempre lo stesso ma è cambiata la mentalità criminale. Degli ultimi due omicidi solo nel primo caso si tratta di un regolamento di conti fra malavitosi, il secondo è avvenuto a causa di una lite in cui è morto un pregiudicato di livello medio-alto. Prima c’era una gerarchia, ora sono tutti cani sciolti e i capi hanno cose più importanti a cui pensare. Riguardo alle estorsioni e alle bombe spesso si tratta di regolamenti di conti fra ambienti sospetti. In ogni caso sono contrario all’arrivo dell’esercito che è stato paventato qualche mese fa, va potenziato il servizio ordinario. C’è l’omertà in molti quartieri ma la gente di San Severo collabora. Circa le armi a disposizione non è difficile procurarsele sul mercato nero”.  

“Lucera più a rischio”

Dagli stessi ambienti arriva una netta smentita sul quadro di ‘San Severo far west’. “Questo fa solo il gioco dei delinquenti. Se ogni giorno mettiamo la gente in galera e togliamo la mela marcia alla fine non resta più nessuno, il sindaco e l’amministrazione possono sollecitare l’arrivo di altre forze ma non fanno gli sceriffi. Piuttosto guardiamo Lucera, un paese considerato fino a qualche tempo fa un’oasi felice e che ora rivela uno spaccato di criminalità molto più articolata di quanto pensiamo. La mafia a San Severo non c’è mai stata se non con collegamenti esterni, foggiani”.

Per quanto riguarda l’ordine pubblico, sfrecciare col motorino senza casco e senza targa a San Severo resta una modalità molto diffusa. Partono da tutta la città, in particolare da alcuni quartieri densamente popolati e a rischio come Luisa Fantasia, non un “ghetto” perché intorno sono sorte villette e palazzi dove abitano professionisti ma una zona ben nota alle forze dell’ordine. Qui è avvenuto l’omicidio di Giuseppe Bonaventura il 20 settembre scorso.

I vigili urbani

Ciro Sacco, comandante dei vigili urbani, li sintetizza così: “Su questi motorini passano tutti i pusher che distribuiscono droga, è la droga che pregiudica molti comportamenti. Ci stiamo organizzando sulle modalità operative ma se nel 1983 ne eravamo 74 oggi ne siamo 50 di cui 15-16 unità che non posso essere utilizzate all’esterno e restano in ufficio”. Lavora sul territorio da 32 anni, gli hanno bruciato quattro macchine e ha subito alcuni attentati con bottiglie incendiarie: “Se hai paura non fai questo mestiere, stiamo lavorando per arginare il fenomeno, si deve combattere facendo appello alle famiglie di questi giovani e a livello istituzionale”. 

Le mani della mafia foggiana sulla differenziata, Molise “terra di conquista” per camorra e Società

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Gli appalti milionari sulla raccolta differenziata fanno gola alla Società foggiana e alla camorra napoletana. Il settore rifiuti “piace” sempre più alla criminalità e dalle discariche allo smaltimento, fino alla differenziata, il cumulo di interessi cresce a dismisura, soprattutto lungo l’asse Puglia-Molise-Campania.

Sarebbe il Molise la terra di conquista delle mafie locali, almeno stando alle ultime indagini di magistrati e forze dell'ordine. Ad attirare l’attenzione dei clan ci sarebbero gli appalti milionari che nei prossimi mesi saranno affidati per la raccolta differenziata. Ma nessuna guerra è prevista all’orizzonte. Le organizzazioni si spartiscono i territori e collaborano, un po’ come i clan romani ai tempi della Banda della Magliana. Come già scritto su questa testata, Società foggiana e camorra sono buoni alleati e intrattengono affari soprattutto per il controllo di droga e rifiuti, circostanza evidenziata anche nell’ultima relazione Antimafia. I clan – stando a quanto scrivono sul giornale molisano primonumero - vogliono fare un salto di qualità e gestire non soltanto lo smaltimento ma, direttamente, tutto il ciclo produttivo della monnezza. La camorra con il compito del trasporto e dello smaltimento, mentre la Società impegnata ad infiltrarsi negli appalti attraverso prestanome.

Le mani sugli appalti

rifiuti okNella provincia di Foggia dovrebbe partire la raccolta differenziata. Ma il nodo da sciogliere, stando a quanto riferito dalle forze dell'ordine locali, è quello legato alle possibili infiltrazioni criminose nelle gare d'appalto. In particolare nel distretto di San Severo. Sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti c’è il clan della Società Sinesi-Francavilla, batteria storica nel capoluogo dauno assieme ai Moretti-Pellegrino e ai Trisciuoglio-Mansueto-Tolonese. Droga, estorsioni, racket e rifiuti le loro specializzazioni. Secondo un'inchiesta di primonumero, proprio i Sinesi-Francavilla sarebbero ritenuti dagli investigatori già con le mani sulla raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, attraverso la gestione (tramite prestanome) di una delle ditte predisposte per il controllo della monnezza.
Negli ultimi mesi cassonetti bruciati, discariche in fiamme ed altri atti intimidatori hanno acceso l'allarme sulla questione. Inoltre il clan avrebbe lasciato tracce importanti del proprio operato nel basso Abruzzo, in particolare nella zona del vastese, così come è evidenziato in alcuni documenti giudiziari.  

Ditte “piemontesi” legate alle famiglie mafiose

Oggi nel basso Molise è attiva la discarica Guglionesi ma dovrebbe essere sostituita a breve. La nuova discarica dovrebbe diventare l'unico centro di raccolta regionale. Un business importante che fa gola, come detto, alla mafia, pronta ad aggiudicarsi la gara attraverso ditte prestanome per poi cedere il servizio a terzi (ditte vicine alla camorra). Segnali in tal senso arrivano dai nuclei investigativi dalla Guardia di Finanza sia di San Severo che di Campobasso – scrivono su primonumero -, che confermano come siano state già individuate ditte, in particolare provenienti dal Piemonte (ma che piemontesi non sono) legate a famiglie mafiose. Prestanome che vorrebbero accedere ai vari bandi che saranno indetti nella regione nei prossimi mesi facendo offerte a prezzi bassissimi per sbaragliare la concorrenza. Una volta "preso il lavoro" il ricavo arriverebbe dallo smaltimento dei rifiuti pericolosi extra-regionali e dall'impiego a basso costo della manovalanza.

Omicidi e faide tra boss foggiani, si riapre la guerra di mafia? I clan della Società di nuovo ai ferri corti

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Rocco Moretti durante il pedinamento della polizia

“Gli incontri segreti tra “il porco” e i suoi compari. Il clan Moretti-Pellegrino voleva riprendersi Foggia”. Così titolammo su questa testata a luglio di quest’anno. Rocco Moretti, storico boss foggiano, detto appunto “Il porco”, stava studiando la maniera per rimettere insieme le fila dell’organizzazione assieme ad Antonio Vincenzo Pellegrino detto “Capantica”, anche lui pezzo da novanta della “Società”. Nell'agosto 2014 sono stati registrati serrati contatti tra pregiudicati foggiani, ritenuti finalizzati alla riorganizzazione del sodalizio mafioso di cui Pellegrino fu promotore. Il 9 agosto 2014 Pellegrino (sottoposto all'epoca alla libertà vigilata con divieto di frequentare pregiudicati) “fu sorpreso nell'abitazione di Rocco Moretti in compagnia oltre che di quest'ultimo, di altri tre foggiani”. Il 16 agosto la squadra mobile assistette ad un nuovo incontro tra Pellegrino, Rocco Moretti e altri foggiani. Sono stati monitorati contatti di Moretti anche con altri due malavitosi ritenuti affiliati al suo gruppo. Tutto questo emerge dall’analisi dei giudici del riesame. “Non sembra privo di significato – scrissero gli inquirenti - che in pochi giorni dopo la scarcerazione di Rocco Moretti, una lunga schiera di pregiudicati si sia recata a casa sua, intrattenendosi all'esterno dell'abitazione per brevi colloqui, alcuni riservati come quello tra Moretti e Pellegrino. Se ne deve dunque desumere la sussistenza del pericolo di recidivazione”.

Mimmo Falco vicino ai Moretti-Pellegrino, specialità armi e rapine

moretti e pellegrinoQuestioni che oggi tornano di fresca attualità, alla luce dei recenti agguati avvenuti a Foggia nelle ultime settimane. Tra le vittime, tutte gravemente ferite ma non in pericolo di vita, Mario Piscopia, Vito Bruno Lanza e Mimmo Falco. Tutti e tre vicini, guarda caso, ai Moretti-Pellegrino. Il nome di Mimmo Falco, l'ultimo a finire all'ospedale, è presente anche nella super ordinanza "Corona", incasellato in questa batteria e definito "partecipe stabilmente del sodalizio dal quale percepiva con regolare cadenza periodica il mantenimento economico, nonchè con il compito di curare il settore delle rapine e delle armi". In "Corona", però, la sua posizione venne archiviata. Riguardo ai recenti agguati, solo per quello a Lanza gli inquirenti hanno arrestato i responsabili, ovvero Luigi Biscotti e Ciro Spinelli, esponenti di spicco del clan rivale dei Sinesi-Francavilla.

L’intenzione del Porco e di Capantica di “riprendersi Foggia” potrebbe aver innescato una reazione violenta da parte della batteria opposta? La pista non è da escludere. Inoltre i due boss, oggi, sono più forti dopo l’annullamento delle condanne nell’ambito dell’operazione Cronos, una delle più importanti contro la mafia foggiana. Solo poche settimane fa, infatti, la Cassazione ha spedito la questione nuovamente in Corte d’Appello dove si terrà un’altra celebrazione del processo. Un annullamento con rinvio (si attende il deposito delle motivazioni, ndr) che potrebbe rappresentare l’anticamera per l’assoluzione degli imputati, vista la debolezza - finora - del materiale probatorio. In pratica mancano le basi per attestare la presenza di un'associazione a delinquere e accertare la mafiosità dei personaggi coinvolti (il famoso 416 bis). 

I pesci piccoli pagano

mafia foggia pax criminaleNel frattempo, a pagare sono i soldati più deboli della mafia foggiana, oggi rappresentati da Lanza, Falco e Piscopia. Ma negli ultimi anni tanti “pesci piccoli” sono caduti nella guerra di mafia. Dal 2003 ad oggi si sono alternati momenti di pace sociale ad altri contrassegnati dal sangue. Era il 13 agosto del 2003 quando a Borgo Celano venne ucciso il giovane Leonardo Soccio. Quella sera nella frazione di San Marco in Lamis, era appena terminato un concerto e Leonardo era seduto su una panchina davanti al bar del corso principale del Borgo, quando da una station wagon grigia partirono colpi di fucile che uccisero l’allora 23enne. Insieme a lui c’era lo zio Michele Soccio che venne ferito di striscio alla spalla.

Leonardo era nato a San Marco in Lamis, ma da alcuni anni viveva con i suoi genitori a Foggia. Dopo i primi mesi di indagini vennero subito esclusi i legami con la faida garganica al quale era stato inizialmente ed erroneamente collegato, e venne battuta la pista dei rapporti che il 23enne di origini sammarchesi aveva con la criminalità foggiana. Nel suo passato c’erano furti e tentativi di aggressione, ma mai era stato indagato per fatti connessi alla mafia. Tra le sue frequentazioni però, c'erano alcuni dei più noti esponenti del clan Sinesi-Francavilla, che in quegli anni si trovavano in carcere, dopo la famosa inchiesta ‘Araba Fenice’. Su quell’omicidio non si è mai fatta luce. 

morte soccio

La morte di Spiritoso

Ma che si fosse riacutizzata la conflittualità tra i clan storici era apparso ben chiaro agli investigatori nel 2007, con l'uccisione di Franco Spiritoso detto Capone, considerato uno dei massimi esponenti della criminalità organizzata foggiana. L'uccisione di Capone fu considerata dagli investigatori "un segnale forte ed inequivocabile che qualcosa all'interno della "Società" si era rotto e questo non preludeva "a nulla di buono". Solo poco più di un mese prima, il 6 maggio 2007, un altro segnale inequivocabile: il ferimento di Capantica, ovvero Antonio Vincenzo Pellegrino.

L’ascesa del nipote di Roberto Sinesi

SinesiDietro tutti questi episodi emerge sempre la rivalità tra i Moretti-Pellegrino e i Sinesi-Francavilla. Sarà quest’ultimo clan a subire un duro colpo nel febbraio 2011. Grazie all’operazione “Scarface” condotta dai carabinieri del comando di Foggia, finì in manette il Tony Montana di Capitanata, Cosimo Damiano Sinesi, nipote del boss Roberto Sinesi. Con lui vennero arrestate altre 8 persone con l’accusa di acquisto, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. A gestire il traffico era proprio il nipote 25enne del boss, che dopo l’arresto dei capi clan, compreso il figlio stesso di Francesco Sinesi, aveva ereditato gli affari di famiglia pur essendo giovanissimo.

Le indagini partirono nel settembre del 2008, quando i clan malavitosi di Foggia tornarono ad impugnare le armi riaprendo la guerra di mafia. Il 27 settembre del 2008 si consumò il tentato omicidio nei confronti di Claudio Russo, appartenente al clan Moretti-Pellegrino. Quel tentato omicidio riaprì ufficialmente la guerra. Fu allora che la Dda di Bari iniziò un’indagine approfondita su tutti gli appartenenti ai due clan. Dopo l’arresto di Francesco Sinesi nel 2009 per il tentato omicidio di Capantica, tutto passò nelle mani di Cosimo Damiano, rimasto l’unico esponente maschile del clan. Negli ultimi anni, attorno al 25enne si creò una rete di acquisto e vendita di sostanze stupefacenti, soprattutto marijuana, hashish ed eroina. Il Tony Montana della Capitanata era riuscito a creare una struttura su due livelli, grazie ad un’ascesa avvenuta sia perché rimasto l’unico esponente, sia perché investito direttamente dal clan Sinesi-Francavilla.

La tregua

Il 13 aprile 2011, la guerra si rianimò con l’assassinio di Claudio Soccio (vicino ai Sinesi-Francavilla) in via Lucera, eliminato per questioni legate al controllo del territorio e, probabilmente, per aver avvicinato persone storicamente vicine al clan rivale. Ma dopo l’uccisione di Claudio Soccio, i boss trovarono nuovi accordi. Basta sangue, nel luglio del 2011 scoppiò la tregua. Le due batterie placarono le ire nel nome del dio denaro. Ma quattro anni più tardi, la “pax criminale” stipulata dopo la morte di Soccio sembra già finita.

Dai sospetti sull’assunzione a capo assoluto, De Leo nuovo direttore generale della De Piccolellis di Foggia

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La sede della De Piccolellis

La sede della De Piccolellis

Non ci ha pensato due volte Antonio Tulino a ripresentarsi come candidato alla poltrona di direttore generale della Asp De Piccolellis. Proprio lui che era stato commissariato dalla Regione Puglia per le anomalie sulle assunzioni e sulla gestione di una srl controllata. Nella procedura portata avanti dal commissario Stefano Catapano, conclusasi qualche giorno fa, si sono presentati in cinque per il posto da 42mila euro l'anno: l'avvocato Immacolata Panettieri, Luigi Ucci, Alessandro Roccia, Tulino appunto e Maria De Leo. A spuntarla è stata quest'ultima, più volte tirata in ballo nel "tengo famiglia" di viale degli Aviatori per via del suo percorso professionale: entrata nel 2008 con contratto a tempo determinato nell'ex Ipab (con molti dubbi sulla pubblicizzazione della selezione), viene stabilizzata nel 2009 nella Asp (ente pubblico).

Maria De Leo

Maria De Leo

Proprio questa procedura divenne oggetto di verifica da Bari - assieme ad altre situazioni poco chiare - e comportò il commissariamento dell'azienda di servizi alla persona. Da allora, nessuno si è degnato di far sapere il risultato di quella "verifica". Anzi, con la delibera di nomina (numero 53 del 24 novembre 2015), si precisa che a pesare nella scelta sarebbe stata "la pregressa e continuativa esperienza professionale-lavorativa, le abilitazioni e la formazione di studi possedute, la natura fiduciaria dell’incarico, e l’assenza di qualsivoglia causa ostativa all’affidamento dell’incarico". Dunque, dagli atti si intuisce che quella procedura di controllo è stata chiusa, ma nessuno sembra sapere in che modo.

E se uno dei candidati è stato escluso perché non iscritto all'albo dei direttori generali Asp Puglia, la De Leo è riuscita nell'impresa grazie a quel contratto dubbio, che adesso le ha permesso di fare addirittura il salto di qualità: da dipendente amministrativa a capo assoluto.

Auto e opere d’arte, la Chiesa chiede soldi ai fedeli per i regali ai vescovi. Alla faccia di papa Francesco

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Felice Di Molfetta e papa Francesco

Felice Di Molfetta e papa Francesco

Soldi e regali ai vescovi. Il "contributo omaggio" nella diocesi di Cerignola – Ascoli Satriano sta scatenando polemiche in provincia di Foggia tanto da interessare anche Il Fatto Quotidiano. Stiamo parlando della lettera che la curia ha inviato alle parrocchie con la cifra da erogare in favore dei prelati. Servono 20mila euro e così don Carmine Ladogana, delegato dell’amministratore apostolico della diocesi, attraverso una mail ha contattato le strutture della curia per informare riguardo ai doni per il vescovo uscente, Sua Eminenza monsignor Felice Di Molfetta (un trittico iconografico) e per il nuovo arrivato, Sua Eminenza monsignor Luigi Renna (una bella auto Opel Astra)

Luigi Renna

Luigi Renna

La lettera va a calcolare parrocchia per parrocchia la quota "regalo" in base al bacino d’utenza di ogni determinata chiesa. Il tutto poco in linea, anzi per niente, con quanto detto più volte da papa Francesco che predica una "Chiesa povera e per i poveri"“Per tutti vi sarà una quota fissa di 300 euro, alla quale si sommerà una quota pro-capite fidelium – si legge nella missiva – di 150 euro per quei parroci all’interno di parrocchie da 1 a 2000 fedeli; 250 euro per ciascuna Chiesa con un numero di credenti che va da 2001 a 4000; 350 euro per quelle parrocchie da 4001 a 8000 fedeli”. Le chiese col maggior bacino d'utenza e che quindi dovranno sborsare più soldi sono Cristo Re, Spirito Santo e San Leonardo (650 euro ciascuna). 

Secondo ambienti vicini alla curia sarebbe tutto regolare visto l'impegno del vescovo Di Molfetta a cui si deve l'impegno per la nascita del museo diocesano, proprio a lui intitolato nonostante sia ancora in vita. 15 anni di "onorata carriera" da premiare con una bella opera d'arte. E la macchina al monsignore Luigi Renna? Questioni di necessità anche se non è ancora chiaro se sarà utilizzata o meno dal nuovo vescovo o da qualche collaboratore. Intanto però, i fedeli sono chiamati ad acquistarla.

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