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“Mafia foggiana metafora di una lunga e diffusa storia d’Italia”. Bindi: “Criminali si sentono onnipotenti e impuniti”

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“Il caso della criminalità foggiana, impostosi con forza alle cronache di mafia nel corso della legislatura 2013-2018, appare questione che, nonostante il ruolo periferico della città e del suo hinterland nel sistema criminale nazionale, non può essere considerata secondaria”. Ad affermarlo la Commissione parlamentare antimafia presieduta da Rosy Bindi (foto sopra). Nel documento di 653 pagine pubblicato nelle scorse ore, è dedicato un intero capitolo al “fenomeno Foggia” che assume un “rilievo esemplare – si legge -, giocando un ruolo di metafora proprio su di un piano generale. Il primo dato di riferimento è costituito dal fatto che la criminalità organizzata ha, a Foggia, una storia incostante e carsica, del tutto al di sotto di quella delle maggiori organizzazioni nazionali. Ha conosciuto qualche fasto provvisorio tra la fine degli anni Settanta e i primissimi anni Ottanta, quando Raffaele Cutolo cercò di espandere il suo regno dalla Campania verso sud, partendo dalla prima provincia confinante della Puglia e dando vita alla “Società Foggiana”, una sorta di cartello criminale pulviscolare. Tentativo che naufragò presto, insieme con le fortune della sua creatura, la “Nuova camorra organizzata”, che aspirava a diventare in Puglia forza colonizzatrice”.

Da sx, Raffaele Cutolo e Giosuè Rizzi, il “papa di Foggia” morto ammazzato nel 2012

La Commissione ricorda “il periodo di egemonia della Sacra corona unita, quando il baricentro territoriale di questa consorteria fu, fondamentalmente, il sud della regione, tra Brindisi e Lecce, sulle ali degli sbarchi albanesi e dai traffici con i clan montenegrini”. In quello scenario “Foggia non giocò ruoli di rilievo, rimanendo sullo sfondo con i suoi gruppi malavitosi, costretti in un ruolo locale e gregario, e caratterizzati, dicono le ricerche, da un elevato livello di dispersione. Stride, dunque, il confronto tra uno Stato dotato di professionalità adeguate, forze dell’ordine e magistratura annoverati come i più attrezzati professionalmente in tutta Europa, contro una criminalità precaria. Da qui le domande. Come è stato possibile che in una Puglia, in gran parte bonificata – sin dagli anni 2000 – nei suoi principali “distretti criminali” brindisini e salentini, sin dagli anni 2000, si presentassero sulla scena dall’altra parte della regione, quasi indisturbate, nuove organizzazioni, sia pure come sviluppo di nuclei precedenti? Perché una criminalità discontinua e dotata di modesto retroterra sociale ha potuto impunemente crescere in un capoluogo di provincia e in una delle più pregiate aree turistiche del Paese? Addirittura presentandosi in due versioni, quella foggiana e quella garganica, a conferma di come essa non possegga una unitaria (e dunque più temibile) identità? Bisognerebbe dedurne che chi doveva generare l’allarme sia rimasto vittima del classico e disastroso pregiudizio secondo cui “qui la mafia non esiste”. Che sia prevalsa un’inclinazione collettiva al quieto vivere”.

Secondo quanto emerso dalla relazione, “la rivitalizzazione della criminalità foggiana dopo 35 anni appare, in realtà, un atto d’accusa oggettivo verso la mentalità e gli atteggiamenti degli apparati del law enforcement e non solo loro. Torna la questione della distanza tra le capacità professionali dei reparti speciali e quelle dei reparti deputati al normale, ordinario lavoro di controllo del territorio, di prevenzione e arginamento delle pulsioni criminali provenienti “dal basso”. Se un’organizzazione giunge, come è successo a Foggia nel giugno del 2014 (assalto alla NP Service, ndr), a bloccare sei accessi alla città con propri mezzi pesanti per effettuare una rapina, o giunge a trasformare una ex caserma dell’esercito (il noto “ex distretto”) in un fortino criminale, vuol dire che essa si sente onnipotente e impunita, in grado di andare sfrontatamente allo scontro con le forze dell’ordine. Atteggiamento tipico, di fronte a uno Stato incerto, delle organizzazioni senza storia, spesso incapaci di un’amministrazione “saggia” della violenza, e che infatti ha caratterizzato anche la Sacra corona unita alla fine del secolo scorso. È in questo senso che Foggia diventa dunque metafora di una lunga e diffusa storia d’Italia”.

La strage di San Marco in Lamis; ANSA/CAUTILLO

E ancora: “Storia di cessione di spazi, di sottovalutazione, di rimozione, d’incapacità di contestare in tempo reale la pretesa accampata da associazioni criminali di esercitare una giurisdizione territoriale alternativa. C’è voluto l’assassinio feroce, dopo un incredibile inseguimento, dei due contadini innocenti testimoni dell’ennesimo delitto nell’agosto del 2017, con il conseguente arrivo in città del Ministro dell’interno perché, dopo anni di basso profilo, la questione foggiana diventasse questione primaria. Ed è anzi significativo in proposito che un’associazione della società civile come Libera abbia deciso di celebrare proprio a Foggia la giornata della memoria e dell’impegno contro la mafia (riconosciuta con legge 8 marzo 2017, n. 20) nel 2018. Per sottolineare che da sola non bastano le pur importanti visite di esponenti delle istituzioni per stroncare quel che si è lasciato crescere negli anni. E che occorre invece, per riuscirvi, un impegno corale e sistematico, ormai necessariamente di lungo periodo. Foggia non è solo una metafora, Foggia è un banco di prova“.

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