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“Mafia foggiana va lasciata in mutande”: parla Trocchia, giornalista di Nemo aggredito sul Gargano

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di FRANCESCO PESANTE

È tornato oggi in provincia di Foggia, Nello Trocchia, giornalista di Nemo (Rai 2), aggredito questa estate a Vieste mentre era impegnato a svolgere un’inchiesta sulla mafia garganica. Occasione della visita, il corso di formazione “I Cento Passi”, organizzato da Ufficio Scuola dell’Arcidiocesi di Foggia-Bovino, Cidi e Libera. L’appuntamento si è tenuto nell’Aula Magna dell’Istituto Einaudi di via Napoli a Foggia, dove oltre al giornalista sono intervenuti il prete anticamorra della Terra dei Fuochi, don Maurizio Patriciello e il procuratore Domenico Seccia. Prima dell’evento, Trocchia ha rilasciato alcune dichiarazioni a l’Immediato.

“Ciò che più mi ha colpito della mafia garganica è la ferocia – ha esordito -. Un vero e proprio tratto distintivo che si va ad aggiungere ai rapporti con imprenditoria e pezzi di politica. Non è un caso lo scioglimento di alcuni comuni (Monte Sant’Angelo, ndr) e del rischio scioglimento per quello di Mattinata dove si attende l’esito del lavoro della Commissione d’accesso agli atti. Il fatto che l’80% degli omicidi degli ultimi 30 anni non abbia trovato colpevoli è un dato emblematico. L’omertà si edifica in quelle realtà dove i poteri istituzionali non sono ben identificabili e forti. Questo spiega anche il silenzio di numerosi imprenditori durante i processi”.

Da agosto scorso, il ministro Minniti ha potenziato la presenza di forze dell’ordine. Ma bastano i militari o sarebbe necessario istituire una sezione della DDA? Trocchia risponde così: “I militari sono importanti. La gente notando la loro presenza percepisce l’impegno dello Stato. Ma serve anche altro. La DDA a Foggia rappresenta un tema. Troppe province sono prive di organismi di contrasto preparati a certi fenomeni. È successo a Latina e succede a Foggia”.

Un’ultima battuta sulla visibilità, adeguata o meno, che la criminalità locale sta ottenendo a livello nazionale. Troppo spesso, infatti, la mafia foggiana è sempre stata percepita come mafia di Serie B. “Su questo punto voglio ricordare l’audizione dell’ex questore Silvis quando dichiarò che non si possono aspettare vittime illustri e innocenti prima di agire. Abbiamo sicuramente sbagliato, noi come organi di stampa nazionale. Serve concentrarsi di più. Le sporadiche inchieste non bastano. Accade la strage di San Marco in Lamis ma se ne parla per due mesi. Ostia? Se ne parla per altri due mesi. Dobbiamo capire che il contrasto alle organizzazioni criminali deve essere prioritario per questo Paese. Bisogna lasciare in mutande mafiosi e impreditori collusi – ha concluso il giornalista -. Solo così debelleremo realtà come la Società Foggiana e la mafia dei montanari”.


Boss del Gargano, stangata finale della Cassazione. La vittoria della procura foggiana

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di F.P.

La sentenza della Corte di Cassazione (numero 31334, 16 maggio 2017) ha confermato le responsabilità dei maggiori boss del Gargano arrestati nell’operazione “Ariete”. Occhi puntati soprattutto su Francesco Scirpoli, Mario Luciano Romito (quest’ultimo ucciso nella strage di San Marco in Lamis), Francesco Pio “passaguai” Gentile e Antonio “Baffino” Quitadamo, ideatori dell’assalto al portavalori IVRI tra Mattinata e Vieste. La Cassazione ha rigettato, ritenendolo inammissibile, il ricorso dei legali. Inizialmente, infatti, il Tribunale di Bari ritenne che la data prescelta per commettere la rapina non fosse quella del 30 novembre 2015 (data della cattura) “e che gli atti preparatori monitorati dalla P.G. e pacificamente attribuibili a tutti gli indagati (ad eccezione di Iannoli) – si legge sulla sentenza – non avessero ancora raggiunto la soglia del tentativo punibile”.

A Francesco Scirpoli era stata applicata la misura cautelare per il reato di tentata rapina di cui agli artt.56, 110, 628 co.3 c.p. ai danni del furgone portavalori della ditta IVRI. All’uomo, che per gli inquirenti ricoprirebbe il ruolo di luogotenente del clan Romito a Mattinata, sarebbe attribuita tutta l’organizzazione di quell’assalto, poi fallito grazie al lavoro dei carabinieri. Scirpoli si sarebbe occupato dell’individuazione del tratto di strada di passaggio del furgone portavalori, e del luogo per l’appostamento. Inoltre si sarebbe occupato dell’approvvigionamento di una pala gommata (con la quale erano state effettuate anche le prove di sfondamento su altro furgoncino), dell’attività volta a bonificare i veicoli, dell’ideazione e approntamento di metodiche d’assalto nonché di quelle relative alla fuga e al depistaggio, dell’approvvigionamento di armi anche da guerra e di maschere per occultare i volti e, infine, dell’individuazione di un nutrito gruppo di persone da impiegare nelle fasi esecutive (undici da impiegare suddivise in due gruppi).

Ma per il Tribunale di Bari era solo un progetto, lontano dall’essere portato a compimento: “Attività preparatoria non tale da assurgere a livello di tentativo punibile”. Ma il ricorso del Procuratore della Repubblica contro questo provvedimento ha trovato riscontro dai giudici della Cassazione. Inutile il tentativo del difensore dell’indagato (avvocato Berardino Arena) che inviò a mezzo posta elettronica certificata, il 15 maggio scorso, presso la Suprema Corte una memoria difensiva chiedendo il rigetto del ricorso. La Corte di Cassazione ha rilevato inammissibile la memoria difensiva inviata a mezzo PEC, “dando seguito – si legge ancora – al condivisibile orientamento secondo cui è inammissibile la presentazione di memorie, in sede di legittimità, mediante l’uso della posta elettronica certificata (PEC)”. Secondo la Cassazione, Romito, Scirpoli e gli altri erano ormai pronti a colpire. Tutto già definito e concordato. Solo l’attività investigativa sventò quel colpo milionario. E ora, gli uomini coinvolti in “Ariete” sono in attesa di conoscere le sentenze di condanna. I giudici della Cassazione hanno così attestato la vittoria della procura foggiana ed in particolare del pm, Rosa Pensa, da anni impegnata nella lotta ai clan garganici.

QUI LA SENTENZA INTEGRALE, CLICCA E SCARICA ➡️ SENTENZA CASSAZIONE

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Guardia giurata suicida. “Mesi senza stipendio, società segnalate continuano a operare…”

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di FRANCESCO PESANTE

“La guardia giurata 43enne suicidatasi a Foggia, è l’ultimo episodio di una serie ormai preoccupante di suicidi che hanno riguardato i vigilantes”. Lo afferma Vincenzo Del Vicario, segretario nazionale del Sindacato autonomo vigilanza privata (Savip) a poche ore dalla tragedia avvenuta in un’abitazione del capoluogo dauno. “Le cause di certi gesti non si possono sempre nascondere dietro alle verifiche psico-fisiche delle guardie – continua Del Vicario -, ma si dovrebbero ricercare nelle condizioni di lavoro che le stesse sono costrette a subire, stipendi non pagati per mesi, passaggi da una società all’altra che invece di migliorare la situazione la aggravano la aggravano aggiungendo ulteriori mesi senza stipendio e pagamento del T.F.R.. Su questo si dovrebbe indagare e fare chiarezza, su società già segnalate alle Autorità competenti che continuano ad operare indisturbate in modo illecito e fraudolento sfruttando le guardie, gettandole nello sconforto e nella disperazione.

Da anni rendiamo note le condizioni difficili di lavoro, il mancato rispetto di molte garanzie contrattuali e l’assoluta assenza di controlli da parte delle Autorità di Pubblica Sicurezza sull’operato degli istituti di vigilanza privata. È forse questa assoluta carenza dei controlli la causa principale dell’incessante numero di suicidi ed “incidenti” che occorrono alle guardie giurate. Il SAVIP è vicino alla famiglia della guardia giurata – conclude – e richiama l’attenzione della Magistratura e dell’Autorità di P.S. sulla estrema frequenza con la quale lo stress del lavoro delle guardie giurate, continua a mietere vittime tra quanti svolgono il nostro difficile mestiere”.

Un quadro drammatico

A Foggia sono numerose le guardie giurate senza stipendio da mesi. Tra TFR e mensilità c’è anche chi vanta crediti per 50mila euro. Difficoltà – delle quali l’Immediato si è già occupato in passato – si riscontrano in numerosi istituti locali. D’altronde la storia della vigilanza foggiana conta già il fallimento della SOS prima e della Black Security poi. “Negli anni scorsi, gli amministratori di queste due società (per un periodo affiliate) ebbero anche guai giudiziari – ci ricordano ex dipendenti – mentre i lavoratori penarono non poco per ottenere gli stipendi, recuperati grazie al fondo di garanzia Inps. Ma ci sono persone ancora in causa per non aver recuperato l’interezza delle somme”.

Ma Roberto Annarelli, ex amministratore Black Security ha voluto dire la sua alla nostra testata: “Ho perso 2,5 milioni di euro di crediti certi ed esigibili. Anche per via del fallimento di alcune aziende che erano mie clienti. Ho perso tutto e non mi sono arricchito. Non ho più la società e oggi faccio altro nella vita. I dipendenti hanno recuperato l’80% degli stipendi dal fondo di garanzia mentre io ho perso l’istituto. Su di me si sono dette tante sciocchezze”.

Casalino (Confcommercio): “Comparto in forti difficoltà”

Stipendi da fame, ritardi nei pagamenti, mezzi obsoleti, giubbotti antiproiettile scaduti: queste le maggiori problematiche che piegano il settore della vigilanza non solo in provincia di Foggia. Del caso se ne occupò anche la trasmissione Rai, “Presa Diretta”. Sulla crisi che attanaglia il settore, abbiamo sentito Claudio Casalino, fresco di elezione a presidente del sindacato Confcommercio. Proprio nelle scorse ore, infatti, è stata ricostituita a Foggia l’organizzazione provinciale di rappresentanza degli Istituti di Vigilanza privati.

“Sull’episodio dell’altro giorno preferisco non esprimermi in quanto le reali motivazioni non si conoscono. Di certo un problema nel comparto c’è ed è ben attenzionato dagli organi competenti. Adesso andremo a delineare gli argomenti principali. I temi sono tanti – aggiunge a l’Immediato -. Organizzeremo incontri mirati con organi competenti per delineare il quadro di tutta la situazione. Questa provincia è vittima di una serie di situazioni legate alla crisi economica”. Nel Foggiano non mancano i casi ma Casalino assicura: “Prefettura e questura hanno svolto un ottimo lavoro in questi anni. Sono state revocate molte licenze a società che non operavano secondo il decreto Maroni. Certo, i tempi sono lunghi ma i risultati arrivano. Confido nel lavoro degli organismi competenti. Dal canto nostro continueremo a porre le criticità collaborando maggiormente con gli organismi competenti per portare alla luce altre situazioni”. Secondo il Savip il fenomeno suicidi sarebbe sempre più preoccupante: “Situazioni di esasperazione ce ne sono tante e sono attenzionate – le parole di Casalino -. Si spera prima o poi che vengano sistemate definitivamente. Il nostro comparto è veramente in crisi e ci sono forti difficoltà anche nel percepire le spettanze dai clienti”.

Viaggi della speranza e “turni massacranti” del personale, sanità pubblica in ginocchio in provincia di Foggia

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di MICHELE IULA

Personale all’osso e viaggi della speranza continuano ad essere il campanello d’allarme della sanità in Capitanata. Nei bilanci di previsione dell’Asl e degli Ospedali Riuniti di Foggia, depositati il 30 novembre scorso, c’è la mappa delle difficoltà nella tenuta del sistema. Gli ospedali territoriali (Manfredonia, Cerignola, San Severo e Lucera) continuano ad essere poco appetibili, mentre il policlinico di riferimento del nord della Puglia sconta ritardi clamorosi con il sistema sistema privato (Casa Sollievo della sofferenza). In attesa del completamento dei percorsi di assunzione di nuovo personale e degli investimenti sul territorio, si registrano contrazioni alla spesa farmaceutica (su precise direttive del governo regionale guidato da Michele Emiliano) e delle forniture di materiale protesico. Ma continua ad essere invariato il costo per le prestazioni acquistate fuori regione (più di 65 milioni di euro), dato confermato come previsione per il 2018. In linea con le performance negative della Puglia (è quart’ultima in Italia), i pazienti foggiani continuano ad andare fuori regione in cerca di prestazioni migliori e, spesso, per evitare le lunghissime liste d’attesa per diverse prenotazioni di esami. 

Va detto che entrambe le aziende sono in attivo, ma solo in virtù dei tagli imposti dal Piano di rientro. Queste contrazioni, tuttavia, hanno comportato effetti negativi sui servizi, come ammesso dagli stessi manager nelle relazioni di accompagnamento. “Le restrizioni imposte alla sanità pubblica – fanno sapere da viale Pinto -, hanno contribuito a contenere in maniera significativa la spesa sanitaria (fino a qualche anno fa si registravano disavanzi importanti, NdR), producendo tuttavia conseguenze allarmanti sul funzionamento dei servizi e sull’assistenza erogata ai cittadini. Si ritiene – precisano – che il sistema non sia in grado di sopportare ulteriori restrizioni finanziarie, pena un successivo aggravamento della risposta ai bisogni di salute dei cittadini e un peggioramento delle condizioni di lavoro degli operatori”. Persino i fondi destinati al protocollo tra gli OO.RR. e la facoltà di medicina dell’Unifg sono stati ridotti di 4,5 milioni di euro. Complessivamente, la contrazione delle risorse al policlinico è di 11 milioni di euro.

 

La risposta di breve periodo è stata quella dei sacrifici richiesti al personale sempre esiguo, con “turni massacranti” e con il “largo impiego del precariato”. Per di più, il tanto agognato salto di qualità del Dea di secondo livello al momento risulta impossibile perché “non è possibile dare piena attuazione al Protocollo d’Intesa”, unica strada per migliorare l’offerta assistenziale, partendo dall’attivazione di due specialità: la Cardiochirurgia e la Chirurgia vascolare. Sulla prima, nei mesi scorsi si è scatenato un ampio dibattito che ha contrapposto l’ospedale di Foggia a Casa Sollievo della Sofferenza. Eppure, stando alle previsioni, proprio questa sarebbe la risposta più importante per arginare l’emorragia dei viaggi della speranza. “Sulla Cardiochirurgia – fanno sapere dai Riuniti – si registrano dati di produzione regionali che renderebbero estremamente urgente tale attivazione anche nell’ottica di una migliore distribuzione dell’offerta sul territorio e in riferimento a potenziali attrazioni extraregionali nei confronti delle regioni confinanti con la provincia di Foggia”. Detto in altri termini, il saldo migliorato dalla mobilità attiva potrebbe permettere nuovi investimenti in salute capaci di potenziare l’assistenza in Capitanata. 

Solo la Cardiochirurgia “vale” in Puglia 65 milioni di euro, con uno sbilanciamento verso il privato che assorbe il 72 per cento delle prestazioni ed una concentrazione nei centri dell’area centro-sud della regione (se si esclude l’ospedale di San Giovanni Rotondo). Ora la palla passa al governatore e assessore alla sanità Emiliano, l’unico in grado di evitare il de profundis della sanità pubblica già dal 2018.

Foggia Calcio, quanti dubbi sui Follieri. E Casillo intanto replica ai tifosi: “Tranquilli, non torno”

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Casillo e i Follieri

di FRANCESCO PESANTE

Il Foggia a stelle e strisce resta avvolto dallo scetticismo. Un po’ per i trascorsi del nuovo socio Raffaello Follieri, condannato nel 2008 negli USA a 4 anni e 6 mesi per associazione a delinquere finalizzata alla truffa, trasferimento illecito di denaro e riciclaggio e un po’ anche per il nome di Pasquale Casillo, spuntato dalle carte “inglesi” delle società riconducibili ai Follieri. Ma andiamo con ordine. Innanzitutto c’è lui, Raffaello, un tempo fidanzato con l’attrice Anne Hathaway che lo sbolognò appena intuì i suoi magheggi poco limpidi. “L’unica cosa che mi resta di lui è il cane che comprammo assieme”, disse poi la diva de “Il diavolo veste Prada”. Il faccendiere foggiano (per gli americani un businessman) raggirò star, cardinali e finanzieri millantando contatti molto in alto, persino in Vaticano. “Solo in America sono riuscito a fare apprezzare il mio talento”, spiegava Follieri, che si atteggiava a grande finanziere mentre in Italia non aveva neanche completato gli studi in Legge – scrissero su Repubblica dopo il suo arresto.

L’FBI scoperchiò ben presto il suo sistema nel quale – raccontò Repubblica – Follieri proponeva agli investitori di affidarsi al suo gruppo per operazioni sul patrimonio immobiliare della chiesa cattolica americana costretta a vendere, anche sotto costo, per affrontare i mega-risarcimenti dei processi ai preti pedofili. Per avvalorare il trucco, il giovane pugliese si vantava di rapporti ad alto livello con il Vaticano, facendo capire di essere negli Stati Uniti per incarico di Angelo Sodano, l’ex-segretario di Stato della Santa Sede, di cui conosceva bene il nipote Andrea. In alcuni casi si faceva anche passare come il direttore finanziario-ombra del Vaticano.

Ma in fondo è un bravo ragazzo – pensa oggi qualcuno – e i suoi guai con la giustizia li ha ormai saldati. Purtroppo, però, altre opacità emergerebbero dalle società messe in piedi negli anni successivi col padre Pasquale detto “Paqui”.

FHolding e Cheleb Resources Limited

Due le società riconducibili ai Follieri con sede nel Regno Unito, la FHolding e la Cheleb Resources Limited. Ultime tracce di vita delle due attività risalgono a metà 2016. Per entrambe si legge: “Il cancelliere della società comunica che, salvo diversa indicazione, al termine di 2 mesi dalla data di cui sopra, il nome di FHolding (stesso discorso per la Cheleb, ndr) sarà cancellato dal registro e la società verrà sciolta. Dopo lo scioglimento, tutte le proprietà e i diritti acquisiti o ritenuti di fiducia, sono considerati bona vacantia e, di conseguenza, apparterranno alla corona”. Raffaello Follieri cessò la sua attività di director nel giugno del 2013, sostituito da tale Robert Shafran che a sua volta terminò la sua attività dopo pochi mesi, sempre nel 2013, in un vero e proprio cambio vorticoso nelle cariche societarie. Peter Bayard, invece, restò in sella dal febbraio 2014 al gennaio 2016. Infine tutte le cariche cessarono, comprese quelle di Pasquale Follieri, Paolo Tolla e altri. Con, nel frattempo, ben 5 cambi di sede/address.

Curiosità non da poco riguarda la Cheleb per la quale, il 12 febbraio 2014, fu nominato direttore il vecchio patron del Foggia Calcio, Pasquale Casillo. I tifosi, annusati i legami tra Casillo e i Follieri, hanno anche esposto uno striscione chiedendo all’ex “re del grano” di tenersi lontano dal Foggia.

Così Casillo alla nostra testata: “Le recenti notizie dell’interessamento di potenziali acquirenti di partecipazioni nel Foggia Calcio hanno scatenato l’ennesimo attacco dei tifosi nei miei confronti, a suon di striscioni minacciosi ed offensivi. Forse interessa a pochi conoscere l’amarezza di chi ha tentato di ripetere un sogno che la prima volta fu rubato a tutti noi, la seconda volta è naufragato tra gli inganni di cui siamo stati vittime, prima io e, poi, i tifosi. Certamente può interessare a molti che, dopo tutto quello che ho passato, non ho più alcuna intenzione di dedicare il mio “tempo” al calcio di questa città. Voglio dire, perciò, a chi si affanna a scrivere questi striscioni, di non perdere il suo tempo: non c’è più alcun rischio che Pasquale Casillo possa far parte di “cordate” o di “gruppi” interessati al calcio nella città di Foggia. C’è un tempo per ogni cosa e quel tempo è definitivamente passato!”

L’intervista a Di Marzio

Nonostante i dubbi sulla solidità dei Follieri e sulla consistenza della loro FHolding, un ambizioso Raffaello ha raccontato a gianlucadimarzio.com che “il nostro fondo (la FHolding, appunto) si adopera per risanare aziende nell’agroalimentare” (da qui probabilmente il contatto coi Sannella). E sul Foggia Calcio ha aggiunto: “È stato un colpo di fulmine. Spero nella promozione in Serie A nel giro di 3 anni al massimo. Non ci interessa avere la maggioranza, preferiamo la condivisione – ha poi dichiarato -. Puntiamo ad una gestione di stile anglosassone”. Nessun mistero sui nomi dietro la cordata: “Oltre alla mia famiglia, ci sono Ron Burkle che nello sport ha vinto tutto quel che poteva nell’hockey con i Pittsburgh Penguins, Tony Podesta e l’avvocato Martin Edelman che è nel board del Manchester City. E spero che per qualche giovane talento in prestito magari possa metterci una buona parola con Guardiola“. Follieri ha concluso con un sogno: “Mi piacerebbe adeguare e rimodernare lo Zaccheria, creare uno show prima e dopo le partite come in America. Valorizzare sempre di più il nome di Foggia: il territorio ha potenzialità incredibili, noi vogliamo esserne attori principali. Iniziando dal calcio”. Ma la sfida vera è cancellare lo scetticismo che lo pervade. Ci riuscirà?

Viaggio nel quartiere ferrovia, in crisi pure “Nerone”. “Clienti in calo, la gente ha paura”

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di ANTONELLA SOCCIO

“L’ordinanza potrebbe rivelarsi una goccia nel mare, non dico che sia troppo tardi, ma se non ci diamo una mossa, la zona sarà persa per sempre”. Il giovane barista e titolare della Caffetteria Italiana, Alessio Bredice, vuole ardentemente essere ottimista sull’ordinanza antibivacco nel Quartiere Ferrovia del sindaco Franco Landella, ma, nonostante tutti gli interventi, la percezione di degrado e di abbandono nell’area resta forte. E non solo nella famigerata Via Podgora o sul Viale della Stazione. Come spiega la commerciante del negozio di fiori “Petali”, i punti vendita italiani sono ormai pochissimi.

Alessio Bredice

Sarà per la pressione salviniana in Consiglio comunale da un lato e per le elezioni politiche alle porte dall’altro, ma l’atto del primo cittadino appare finalmente una risposta legalitaria ai disagi dei residenti e commercianti che “resistono” all’imbarbarimento della convivenza civile tra italiani e comunità straniere.

“Ho aperto circa un anno fa, sin dall’inizio ho fatto vedere di non avere paura, per fortuna ho una bella clientela selezionata, le persone ubriache stanno distanti dal mio esercizio”, continua Alessio. La sua è stata una scommessa, racconta, ha aperto nel Quartiere Ferrovia perché credeva e in parte crede ancora che la zona possa avere delle chance di ripresa. “I costi degli affitti sono più bassi, il locale era ben messo e ci sono ancora, nonostante tutto, tanti studi professionali di proprietà. Quando ho aperto ero molto fiducioso, ma mi sto ricredendo. È come se lo Stato voglia abbandonare il fenomeno migratorio, è come se per loro il problema non esista o forse fanno finta di non vedere. Posso pensare che forse a loro fa comodo, perché anche quando chi delinque viene arrestato non riescono a mandarli via, restano col foglio di via in tasca. A cosa serve? Dovrebbero accompagnarli all’aeroporto e portarli a casa”.

“La zona è inquinata dal bivacco e dalla permanenza di gente che non ha gli elementi educativi per comportarsi come ci aspettiamo noi, ma i clienti cerchiamo di trattenerli grazie a TripAdvisor e al buon trattamento, con la continuità a lavorare per bene”, spiega il ristoratore Torquato Lo Mele de L’Osteria del Grano Arso. Da qualche tempo ha anche investito in un gioco di carte, che ha fatto stampare in Francia e vende online. Ma il ristorante resta il suo core business. Il sabato è pieno. “Alcuni pensano che la zona è malfamata, ma fortunatamente i clienti non si sono persi. C’è sempre ricambio, siamo aperti anche a pranzo, facciamo un menu idoneo per chi lavora a 12 euro. Questo ci aiuta a tenere in piedi l’attività”. A suo avviso, è difficile dare suggerimenti all’amministrazione, perché l’interlocutore pubblico “non è molto presente”. “Qui serve anzitutto la segnaletica stradale: gli incidenti sono all’ordine del giorno. Poi servirebbe un po’ di verde, eliminando le situazioni di bivacco, che portano aspetti negativi”. Non ha mai pensato di trasferirsi? “Alla fine se uno opera bene, in qualsiasi zona va ad inserirsi dovrebbe avere un riscontro positivo, per ora non sento la necessità di spostarmi”, la sua risposta.

Chi ritiene di aver perso molta clientela sono le sorelle Cataldo della storica pizzeria Nerone in Via Fiume. Alessandra è schietta. Le sue parole sono acuminate, come una lama nella schiena: “Pur essendo lontani dalla zona calda, per arrivare in pizzeria devi passare per quelle vie e quindi vedere il bivacco e le persone che girano. Spesso si prova paura, perché non sai mai se sono drogati, se sono alcolizzati, comunque non sembrano avere buone intenzioni. La gente preferisce spostarsi in altre zone. Grazie a Dio, noi abbiamo un nome e riusciamo a lavorare il sabato, quando escono tutti. Ma in settimana il degrado è imbarazzante. Molti miei clienti che vivono qui da tanti anni hanno le case in vendita, di un certo valore, ma non riescono a vendere. Chi compra più un immobile al Quartiere Ferrovia? È un rischio”.

Si sente razzista? Quale sentimento prova di fronte a questa accusa che spesso viene rivolta ai residenti? “Io sono dell’opinione che non si tratta di essere razzisti: la nostra è una intolleranza verso tutto questo. Siamo stanchi, perché già la crisi c’è. Non è che non vogliamo aiutare i migranti, ma non vengono a portare un valore aggiunto al nostro lavoro, vengono a togliere non il lavoro, ma l’immagine. Anche loro hanno diritto ad una vita dignitosa, ma quella che conducono non è vita. Questo non è razzismo, è solo intolleranza. Non possiamo girare più tranquilli per strada, i nostri figli devono assistere a persone ubriache, che fanno i loro bisogni davanti alle attività, che dormono davanti alle attività, che rovistano nei cassetti dell’immondizia. Ai nostri figli cosa dobbiamo spiegare? Cosa dobbiamo rispondere quando ci chiedono: mamma perché quell’uomo sta facendo la cacca in mezzo alla strada?”.

Donne reclutate a Foggia per finte nozze, ecco il sistema dei matrimoni fittizi in Marocco

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Nubili e a disposizione dell’organizzazione criminale per matrimoni fittizi tra Foggia e Marocco. I carabinieri hanno scoperchiato un sistema collaudato tra Nord Africa e Capitanata per far sì che cittadini marocchini ottenessero il permesso di soggiorno in Italia. Giro d’affari tra 7mila e 10mila euro a matrimonio. Circa 2mila euro destinati all’italiano che si metteva a disposizione per le nozze. Anche di più (2500, 3mila) se si trattava di una donna.

Nelle carte dell’operazione “Casablanca” (145 pagine di ordinanza) si parla di “favoreggiamento illegale dell’immigrazione anche con riferimento a ingressi nel territorio dello Stato dello straniero per finalità diverse da quelle in relazione alle quali quest’ultimo abbia presentato richiesta di visto, mediante false attestazioni o producendo documentazione falsa relativa agli effettivi motivi del soggiorno in Italia”. Grande capo del gruppo, Moustafa Boughazi alias Bruno, nato in Marocco nel 1984. Lui e i suoi complici connazionali, Azeddine Khnifri alias Andrea, classe ’87 e Rachid Elaissaoui alias Marco, classe ’82 contattavano a Foggia delle donne nubili alle quali proponevano del denaro per contrarre matrimonio con dei soggetti marocchini in modo da consentire il rilascio del permesso di soggiorno. 19 gli arrestati in “Casablanca”, come raccontato dagli uomini dell’Arma in conferenza stampa. In manette anche alcuni “finti sposi”.

Genesi dell’indagine

Tutto nacque in seguito ad una nota dell’Ambasciata di Rabat pervenuta presso la Procura nella quale si segnalava che una cittadina italiana, di Manfredonia, Elisabetta S., aveva richiesto, in Marocco, un certificato di idoneità matrimoniale di un cittadino marocchino Yassine Bichri mostrando una busta paga apparentemente non veritiera. Episodio che consentì agli inquirenti di ritenere che si trattava di un matrimonio “di comodo”. Al fine di chiarire la vicenda, pertanto, fu ascoltata la donna che confermò di essersi recata in Marocco, nell’aprile 2015, al fine di contrarre matrimonio con un cittadino marocchino.

La manfredoniana fornì una versione dei fatti inizialmente reticente per poi chiarire di essersi recata nel paese africano in quanto le era stata offerta la somma di 2.500 euro per contrarre matrimonio con un cittadino marocchino con il quale si era sentita telefonicamente ma che non aveva mai visto. Elisabetta S. precisò che tale proposta era stata avanzata da Leonardo Rodriquens, suo conoscente, che si era recato presso la sua abitazione e le aveva proposto di contrarre matrimonio col marocchino al fine di consentirgli di acquisire il permesso di soggiorno e permanere in Italia. Rodriquens precisò che si sarebbe occupato lui di ogni incombenza insieme alla sorella Antonella (agli arresti così come il fratello, ndr).

Subito dopo la donna iniziò a ricevere messaggi da tale Larbi che si trovava in Marocco e, inoltre, insieme a Rodriguens si recò a Foggia dove incontrò un cittadino marocchino, che parlava bene l’italiano e che si presentava con il nome di Bruno. Elisabetta S. precisò che Bruno parlava con lei ma che in alcune occasioni si era appartato con Rodriquens con il quale aveva scambiato delle parole in privato. Elisabetta S. iniziò ad avere contatti telefonici anche con Bruno e la settimana successiva si recò a Foggia per firmare dei documenti necessari al rilascio di alcuni certificati utili per recarsi in Marocco ed ottenere i permessi e, in particolare, i suoi certificati anagrafici. La donna, subito dopo, si procurò il passaporto con il denaro che le era stato consegnato da Bruno. Ritirato il passaporto Elisabetta S. ne diede conferma sia a Rodriquens che a Bruno e, pertanto, ricevette il biglietto per recarsi, il 4 maggio 2016, a Casablanca da Napoli. Il giorno prima della partenza la donna incontrò Bruno a Foggia e dall’uomo ottenne una busta con dei documenti, l’originale del biglietto aereo e i soldi necessari per recarsi da Foggia fino a Napoli.

La donna precisò che anche un’altra sua conoscenza, Pina P., sempre di Manfredonia, si era mostrata favorevole a sposarsi con uno sconosciuto di nazionalità marocchina al fine di consentirgli di ottenere il permesso di soggiorno.

Durante il soggiorno in Marocco Elisabetta S. fu ospite di Albi e della sorella ed incontrò un altro cittadino italiano di San Severo, Claudio De Gelidi, che era lì per lo stesso motivo e con le medesime conoscenze. Elisabetta S. si recò in ambasciata a Rabat insieme al ragazzo con il quale doveva contrarre matrimonio ma gli addetti dell’ambasciata accortisi che i documenti erano falsi, rifiutarono il rilascio dei documenti richiesti. La donna precisò di aver consegnato la busta datale il giorno prima da Bruno all’Ambasciata e di non sapere cosa vi fosse al suo interno. In seguito a tali problemi il ragazzo marocchino di nome Larbi pretese di cancellare le foto ed i messaggi occorsi tra loro e, solo in seguito, dopo qualche giorno in Marocco la ragazza fece rientro in Italia con un biglietto pagato proprio dalla sorella di Larbi. Elisabetta S. tornò a Napoli e fece rientro a Manfredonia accompagnata da Matteo P. Subito dopo la donna contattò Bruno pretendendo il recupero del denaro speso per far rientro a Manfredonia, ma quest’ultimo le intimò di non dire nulla e di non parlare e, quindi, di non occuparsi più di tale vicenda.

Al fine di comprovare quanto raccontato da Elisabetta S. venne estrapolata la copia forense del suo cellulare che consentì di individuare le telefonate e le chat intrattenute con i soggetti indagati nei giorni indicati e in tal modo, si ebbe un riscontro oggettivo a quanto dalla donna raccontato.

Accertata la falsità dei documenti prodotti in Ambasciata dalla donna e, in particolare, la busta paga del tutto falsificata, iniziò a profilarsi la possibilità che vi fosse un gruppo di soggetti, a Foggia, i quali contattavano delle donne nubili alle quali proponevano del denaro per contrarre matrimonio con dei soggetti marocchini in modo da consentire il rilascio del permesso di soggiorno.

La conferenza stampa per l’operazione “Casablanca”

Il ruolo dei fratelli Rodriquens

Leonardo e Antonella Rodriquens “si sono dimostrati – scrive il pm Laura Simeone – i più fidati collaboratori dei cittadini stranieri per reperire, sul territorio di Manfredonia, cittadini italiani disposti a contrarre matriminio dietro compenso di denaro. Essi infatti reclutavano le donne italiane e incontrandosi con Boughazi o con Khnifre fornivano aiuto nel reperire i documenti necessari e nell’organizzare i viaggi, oltre che nel convincere gli italiani a contrarre matrimonio dietro il pagamento di una parte del compenso che, come emerge dalle intercettazioni, essi concordavano con Boughazi”.

“Non ricordo la data del mio matrimonio”

Durante le indagini, venne pizzicato anche il sanseverese Giuliano Paglialonga, 30enne (tra coloro finiti ai domiciliari). Nel verbale delle spontanee dichiarazioni rese alla Polizia Municipale il 18 giugno 2016 da Paglialonga, l’uomo, dopo avere risposto di essere disoccupato e di vivere con i suoi genitori, alla domanda se fosse sposato rispose: “Si, sono sposato con Latifa Himmi, mi sono sposato in Marocco, e non ricordo la data del mio matrimonio”.

Fidanzata vera e moglie falsa

Tra gli arrestati anche il cerignolano Matteo Stranisci, classe ’66. L’uomo accettò, su proposta di Bruno, di fare una residenza fittizia assieme alla marocchina Mina, in maniera da agevolarla nell’ottenimento del permesso di soggiorno. Bruno disse che in un paio di mesi avrebbero risolto tutto e consigliò a Stranisci di scegliere una casa fuori da Foggia e di affacciarsi ogni tanto, quando era libero. Sempre il marocchino aggiunse di non preoccuparsi per i soldi del fitto perché avrebbero pagato tutto “loro”, anche i biglietti del treno per raggiungere casa. Stranisci, però, disse che preferiva portarsi la residenza in un appartamento a Foggia perché aveva già una relazione con un’altra donna foggiana, prima ancora che iniziasse l’affare del matrimonio con Mina.

La cattiva reputazione di “Bruno”

Stranisci raccontò a Bruno che stava avendo dei problemi con il proprietario di casa che non voleva Mina nell’appartamento. Il cerignolano aggiunse che il proprietario di casa era a conoscenza del fatto che Mina si trovava nell’appartamento in quanto c’era Bruno di mezzo e, conoscendolo, non voleva avere “certa gente” a casa sua. Bruno allora gli rispose che doveva resistere un altro po’ e poi gli chiese se Mina gli avesse dato altri soldi. L’italiano rispose che la donna non aveva più pagato nulla e Bruno lo rassicurò dicendo che avrebbe parlato con lei. Stranisci, però, era preoccupato sia perché stava per arrivare la sua vera compagna e non voleva che le due donne stessero assieme, e sia perché, con i problemi che il proprietario di casa gli stava creando, non voleva rimanere ancora una volta senza una casa e senza un lavoro. Per non perdere tutto ciò era disposto anche a rinunciare al resto del compenso pattuito.

Finte convivenze in caso di controlli 

In ognuno dei casi accertati dagli investigatori è emersa “la consapevolezza della simulazione del matrimonio da parte degli indagati”. I soggetti arrestati si contattavano per organizzarsi “in caso di controlli delle forze dell’ordine circa l’effettiva condizione di convivenza che non era mai reale e, soprattutto, parlavano esclusivamente e in modo chiaro del compenso pattuito e delle sue modalità di versamento e divisione dello stesso, dimostrando la sussistenza del fine di lucro”.

Per gli inquirenti, “il fulcro di tali attività erano i tre marocchini ai quali tutti si rivolgevano anche per risolvere le questioni attinenti la locazione degli immobili o i documenti. Faccende che venivano risolte dagli stranieri stessi che contattavano direttamente i Comuni competenti”.

Bella vita e contatti con la Banda della Magliana, le avventure di Olinto Bonalumi

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di F.P.

Ennesimo colpo alla rete di Olinto Bonalumi, il “Lupin foggiano”. Ieri il sequestro da 1,5 milioni della Guardia di Finanza che ha dato l’ennesima mazzata al noto rapinatore. Una vita “da film” quella del 58enne Olinto, in passato invischiato in numerosi fatti di cronaca. Su tutti, il colpo in stile “Ocean’s eleven” al caveau della NP Service l’1 maggio 2009. Bottino 5 milioni di euro. Dopo quella rapina, però, non gli si presentarono alla porta George Clooney e Brad Pitt, bensì i grandi capi della “Società Foggiana”, Tolonese, Mansueto, Soldo, Russo, Corvino, Ariostini, Francavilla, i tre Lanza e Di Brita. Bonalumi agì senza il consenso dei boss e per questo versò una tangente di 500mila euro per dormire tranquillo. Quel giorno il bottino, in contanti, venne portato via senza lasciare tracce, senza far scattare nessun allarme e con i monitor dei vigilantes che durante la rapina non avevano trasmesso nulla di strano. La banda di Bonalumi acquistò della sofisticatissima strumentazione elettronica e manuali per aprire camere di sicurezza in diversi paesi d’Europa (soprattutto Germania) e in America.

Eppure almeno fino al 2012, Bonalumi non godeva di un tenore di vita particolarmente elevato. Nel gennaio di quell’anno, il criminale foggiano rimproverò il figlio Fabrizio durante una conversazione in carcere dove il giovane era detenuto per una rapina. Una tirata d’orecchie per la mancata restituzione di appena 300 euro che l’uomo aveva prestato al giovane e che quest’ultimo aveva diviso con i complici della rapina. Ma ad aprile dello stesso anno, Bonalumi era il ritratto della felicità. Al figlio regalò una nuova Vespa, vestiti per 3800 euro e una Mercedes SL a due posti (costo superiore ai 90mila euro). Poi ulteriori 2500 euro versati sul libretto di Fabrizio, tappeti nuovi, ancora vestiti e scarpe. Inoltre Patrizia Di Biase, moglie di Bonalumi, acquistò appartamenti a Vico del Gargano (compreso un palazzotto signorile) tramite versamento di numerosi assegni da 5 e 10mila euro. Edifici poi sequestrati dalla Guardia di Finanza.

L’uomo, secondo gli inquirenti, stravolse la sua vita dopo il colpo al Banco di Napoli in Piazza Puglia a Foggia nel marzo 2012 (Operazione Goldfinger). La sua banda svaligiò 165 cassette sulle 500 presenti nell’istituto. Bottino 15 milioni. Lui e i suoi soci, tra cui Stefano Virgili, “il mago delle vedove”, grande amico del “Nero” Massimo Carminati, boss della Banda della Magliana arrestato in “Mafia Capitale”, spiccarono letteralmente il volo.

Privè e champagne a Barcellona

Anche il braccio destro di Bonalumi, Federico De Matteis cominciò a disporre di grandi disponibilità economiche nonostante un passato da nullafacente. L’uomo acquistò una Toyota Yaris di 12.400 euro ed era interessato all’acquisto di un’unità immobiliare di Foggia, all’interno di un complesso residenziale di pregio ed elevato valore economico, probabilmente a nome della madre. Fino alla fine del 2011, De Matteis abitava con la famiglia in una baracca all’estrema periferia di Foggia.

Ad aprile 2012, poche settimane dopo il colpo in banca, De Matteis si recò a Barcellona in aereo assieme a Venturo Ricchiuti e Giovanni Maffei, membri della banda arrestati in “Goldfinger”. In Spagna fu festa grande. I tre malviventi impegnarono un privè in un rinomato locale della città catalana al costo di 10mila euro, spassandosela a bere champagne. Poi, al ritorno in Italia, nel maggio dello stesso anno, De Matteis acquistò un’Audi A5 cabriolet, ultimo modello, valore 50mila euro, importata direttamente dalla Germania. Anche Domenico Di Sapio, guardia giurata e complice della banda, cambiò il tenore di vita affittando una casa al mare e concedendosi un viaggio nel Regno Unito.

Durante l’intercettazione di una conversazione in carcere tra il detenuto Fabrizio Bonalumi, il padre Olinto e la madre Patrizia Di Biase, il giovane chiese al genitore del furto al “caveau” (parola che il giovane pronunciò distintamente nel corso della conversazione) e se vi avesse preso parte anche De Matteis. Una domanda “scomoda” visto che papà Bonalumi rispose seccato: “Non sono affari tuoi”. Tornato calmo, il capo della banda rivelò al figlio che De Matteis gli aveva comprato un paio di Burberry. “Quelle estive di tela… Ti vanno bene?” “Aivoglia!” rispose eccitato Fabrizio. “Ma sono quelle della pubblicità?” “Si, si. Proprio quelle”. Un’intercettazione che rese ancora più evidente il rapporto tra De Matteis e la famiglia Bonalumi, protagonisti negli ultimi anni di una vita da film.

Nel mirino della banda anche “Sarni Oro”

La polizia stanò l’organizzazione criminale nel 2015, dopo quasi tre anni di indagini. Gli agenti ricostruirono le dinamiche di un inedito sodalizio, quello tra la malavita foggiana e quella romana. Oltre al furto al caveau del Banco di Napoli ci fu anche il tentato colpo alle due gioiellerie “Sarni Oro” della “Mongolfiera” a Foggia ad agosto del 2012. Un tentato furto emerso durante le indagini, realizzate attraverso servizi di pedinamento e intercettazioni telefoniche (come si vede nel video in alto con le conversazioni tra Bonalumi e De Matteis e Bonalumi e Virgili).

Ed è in quell’occasione che venne fuori Stefano Virgili, esperto nel violare anche i sistemi di allarme più complicati, vicino in passato alla “Banda della Magliana” e coinvolto nel clamoroso furto al caveau del Palazzo di Giustizia di Milano compiuto nel luglio del 1999 assieme proprio a Massimo Carminati. I foggiani Bonalumi, De Matteis e Ricchiuti furono accusati di aver tentato il furto alle gioiellerie Sarni assieme a Virgili, Izzi, Vincenzo Facchini (romano del ’53), Ruggero Racano (foggiano del ’65), Franco Papa (romano del ’53) e Gianluca Contini (foggiano del ’74 detto “u bell fat”). Accusati di aver riciclato il denaro preso dal caveau Ricchiuti, Antonio Caputo di Cerignola (classe ’65) e Patrizia Di Biase. Un altro arrestato, il foggiano Corrado Folchino del ’61, fu invece accusato di aver ricettato altro materiale proveniente dal furto. Gli inquirenti ricostruirono tutto il mosaico dopo tre anni di indagini fino ad identificare un totale di quindici persone.


Ricercatori licenziati a Foggia: buco da 17 milioni per “gioiello” dell’agroalimentare pugliese

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di ANTONELLA SOCCIO

Non è passata inosservata la denuncia dei docenti del Dipartimento di Agraria Safe, Sandro Del Nobile e Diego Centonze, titolari di alcuni finanziamenti Miur, presentata in Procura della Repubblica a Foggia (dottoressa Alessandra Fini) per falso in atto pubblico e frode. Gli strascichi delle vicende potranno infatti avere conseguenze su uno dei pilastri della ricerca pugliese, il Distretto tecnologico agroalimentare regionale. La professoressa vicerettora Milena Sinigaglia e presidente del D.A.Re., in uno degli ultimi verbali, ha rilevato “che la situazione è diventata grave e delicata in considerazione della pubblicazione di alcune notizie diffamatorie su alcuni organi di stampa, anche nazionali, che possono incidere negativamente sui rapporti con il MIUR e sugli interessi economici di questa Università”.
È proprio qui che casca l’asino. Quell’esposto dei due docenti sarebbe tra le cause di un non meglio identificato buco milionario finanziario al D.A.Re (Distretto Agroalimentare Regionale), che ha già provocato dal primo novembre scorso le dimissioni del direttore Antonio Pepe e il licenziamento di 4 ricercatori su 12, alcuni dei quali impugnati con un ricorso in Tribunale. Un buco finanziario che potrebbe avvicinarsi ai 17 milioni di euro e che starebbe imbarazzando non poco la Regione Puglia, che ha tra i suoi super dirigenti, all’assessorato all’Agricoltura, l’ex presidente del DA.Re., il professore Gianluca Nardone.
Ma andiamo con ordine.

Un “gioiello” in crisi 

Tra i soci del DA.Re. ci sono alcune Università ed Enti di ricerca. Non solo l’Unifg, ma anche l’Università del Salento, l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, il Politecnico di Bari, il CNR – Consiglio Nazionale delle Ricerche e con loro l’IZS – Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata, il Centro di ricerca e sperimentazione in Agricoltura Basile Caramia, I.A.M.B., Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari, C.I.N.M.P.I.S – Consorzio Interuniversitario Nazionale Metodologie e Processi Innovativi di Sintesi” e una flotta importante di aziende regionali. Da Farmalabor al Casillo Group, solo per citare i nomi più altisonanti.

Proprio le imprese, molte delle quali associate a Confindustria, che ha sempre avuto la vicepresidenza del distretto, prima con l’edile Eliseo Zanasi ed ora con Leonardo Boschetti del Bonassisa Lab, sono tra le realtà che oggi presentano le maggiori critiche alla governance di quello che avrebbe dovuto essere il gioiello dell’agroalimentare del territorio regionale. Le imprese infatti ad oggi, fatta eccezione per il surplus politico e relazionale dato dall’esser socio di un contenitore scientifico, hanno ottenuto poco o nulla dal D.A.Re., che nasce per fare trasferimento tecnologico.

Le risposte della presidente 

L’Immediato ha cercato di vederci più chiaro e ha chiesto conto alla presidente Milena Sinigaglia, che non si è sottratta alle domande. Non so quale sia la vulgata che circola, conosco invece ​i ​fatti e non ​le ​indiscrezioni. E i fatti sono che il D.A.Re. è stato soggetto attuatore di 5 progetti di ricerca, presentati nel marzo 2011 in risposta all’avviso del MIUR (D.D. 29 ottobre 2010, prot. n. 713/Ric), nonché soggetto beneficiario dei relativi contributi concessi con appositi decreti ministeriali. Nell’ambito dei progetti gestiti dal D.A.Re., in termini di trasferimento tecnologico, i risultati sono ​stati ​i seguenti: 3 prototipi; 18 protocolli innovativi; 19 processi innovativi; 20 prodotti innovativi; 16 metodiche analitiche rapide. Gli stessi​​ progetti hanno consentito, inoltre, la formazione di tecnici/ricercatori altamente specializzati. In particolare 10 ricercatori industriali; 9 dottorandi; 10 tecnici esperti di sicurezza alimentare e 11 tecnici esperti di alimenti funzionali. Se questi risultati ​non dimostrano la capacità di un distretto tecnologico di produrre innovazione non posso che prenderne atto, ma ovviamente non mi trova d’accordo”.

Milena Sinigaglia, presidente D.A.Re.

Non paiono esservi però ad oggi prodotti immessi sul mercato. Una delle dottoresse licenziate ha riferito che sta per impugnare il licenziamento con un ricorso in Tribunale. Era necessario licenziare quattro persone? “Non era solo necessario – ribatte la prof – ma indispensabile per la sopravvivenza del Distretto. Come presidente ho ricevuto un chiaro mandato dal Consiglio di Amministrazione, in ordine a una riduzione immediata del costo del personale che, in ogni caso, porterà a risultati apprezzabili solo nel corso dell’anno 2018”.

La prorettora chiarisce l’entità dei crediti che il D.A.Re. vanta con il MIUR: “Ammontano a circa 17 milioni di euro. Molti Distretti tecnologici in Italia sono più o meno nella stessa situazione ovvero vantano crediti, forse non ingenti come il nostro ma certamente di significativa entità, nei confronti del MIUR”. È una situazione recuperabile, o gli esposti dei proff. Del Nobile e Centonze hanno pregiudicato alcuni rapporti tra Ministero e Distretto? Secca la risposta. “Ad oggi non abbiamo ricevuto nessuna comunicazione ufficiale da parte del MIUR, infatti il Consiglio di Amministrazione del D.A.Re. ha deliberato di avviare un’azione di diffida a liquidare le somme accertate, nei confronti dello stesso Ministero”. Sulle dimissioni del dottor Pepe, è dialogante: “Sono presidente del D.A.Re. da gennaio 2016 e, anche se non si tratta di un periodo particolarmente lungo, ho avuto modo di apprezzare la professionalità del dottor Antonio Pepe. Umanamente e affettivamente, sento e sentirò sempre la mancanza del dott. Pepe; tuttavia il D.A.Re. deve andare avanti, nel migliore dei modi possibili. Dobbiamo oltrepassare questa fase delicata per rilanciare la funzionalità e le potenzialità del Distretto. Sarà una fase difficile e potrebbe anche durare a lungo, ma lavoriamo per garantire un futuro a tutti. Un futuro che sia solido, a prescindere dalle scelte personali di ciascuno di noi”.

Di certo per riorganizzare il distretto servirà una struttura più smart. E spiega: “In mancanza di una politica nazionale e/o regionale a sostegno dei distretti, il livello di costo del personale che ho trovato al mio insediamento non era più sostenibile. Stiamo quindi delineando una nuova visione strategica alla quale sarà associata la nuova organizzazione della tecnostruttura del Distretto”. Sul passaggio di testimone da Nardone precisa: “È stato un grande presidente del D.A.Re., sicuramente migliore di me, ma ha guidato il Distretto in un periodo caratterizzato da una politica che guardava ai distretti come strumenti in grado di potenziare competitività e ricerca. In questo momento i distretti devono competere per le risorse al pari di tutte le altre imprese. Si apre, quindi, una nuova fase nella quale il D.A.Re. deve essere ripensato e rilanciato. Proprio in una prospettiva di una maggiore snellezza decisionale e operativa, a maggio 2016, la società ha modificato l’assetto di governance. L’idea è quella di una struttura più leggera e quindi più reattiva”.

Quanto alla presunta liberalità eccessiva nella gestione, concepita per alcuni come una costola della pubblica amministrazione, replica: “Il D.A.Re. ha coordinato e gestito 5 progetti per un valore ​complessivo ​di oltre 34 milioni di euro e finora, nonostante la conclusione delle iniziative progettuali (novembre 2013), il Distretto ha incassato solo parte delle somme spettanti. Il ritardo nella definizione dei progetti, non dipendente da negligenze o inadempimenti ascrivibili alla società, ha comportato per il Distretto l’accollo di rilevanti costi (personale e rinnovo delle polizze fideiussorie), non ragionevolmente comprimibili per garantire l’ordinata prosecuzione delle fasi di approvazione degli stati di avanzamento dei progetti e, più in generale, per preservare il buon esito complessivo delle iniziative progettuali. Adesso, come già sottolineato, portando in dote il rilevante patrimonio di conoscenze e professionalità accumulate in questi anni, il Distretto deve reinventarsi e sono assolutamente certa che sarà capace di farlo​, soprattutto alla luce delle professionalità che ancora risiedono al suo interno e della nuova fase progettuale che, speriamo presto, si riaprirà anche per conto del MIUR”, conclude la prof Sinigaglia.

Gli ultimi sviluppi

Dentro il calderone della spending review del DA.Re. è stato inserito anche il Ce.R.T.A (Centri Regionali per la Tecnologia Agroalimentare), un centro sovraregionale composto da 49 soci pubblici e privati, che è da poco fallito e per il quale è stato nominato un liquidatore unico, che coincide con l’attuale direttore pro tempore del distretto, Giuliano de Seneen. Il 27 giugno scorso se ne è deliberato lo scioglimento con la conseguente messa in liquidazione della società consortile a responsabilità limitata, che aveva lavorato assai bene fino alla conclusione dei diversi progetti, risalenti alla scorsa programmazione europea 2007-2013. Smantellato il capannone di proprietà di Bonassisa su Via Trioia, si è dato avvio al trasferimento e alla procedura di liquidazione con alienazione di tutti i macchinari. Tra gli altri vi sono 2 celle frigorifere, un pre gelatinizzatore e un pastorizzatore per pasta fresca.

Tutto questo mentre è stato emanato, il 30 novembre scorso, un decreto rettorale di sospensione dall’Ufficio e dallo stipendio per il periodo di 4 mesi dalla data del primo dicembre 2017 ai danni del prof Sandro Del Nobile, al quale è fatto divieto di entrare nei suoi uffici e nei laboratori dove lavorano i suoi validi collaboratori. Un gruppo che si è distinto ed è primo per ricerca scientifica nel SAFE, il Dipartimento diretto dal prof Agostino Sevi. Insomma, l’aria è tutt’altro che festiva nel mondo della ricerca Unifg.

Mafia Mattinata, il Comune trema. Scioglimento sempre più possibile: ecco perché

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di FRANCESCO PESANTE

Politici nella masseria del boss, poliziotti che rivelano trame oscure della magistratura in registrazioni, lottizzazioni sospette, interessi criminali sul porto. Gli elementi che potrebbero portare allo scioglimento per mafia del Comune di Mattinata ci sono e sarebbero numerosi. La relazione del prefetto Mariani – che ha fatto propri i riscontri della Commissione d’accesso agli atti – è finita sui tavoli del Ministero dell’Interno. Tra circa un mese arriverà il responso. Il lavoro dei commissari è stato lungo e certosino. Sono serviti sei mesi, rispetto ai tre previsti inizialmente, per portare alla luce tutte le questioni più calde, molte delle quali raccontate da l’Immediato.

Ma i verbali del Comitato sicurezza sono riservati e la relazione top secret. Tutto sta avvenendo nel massimo riserbo ma già emerge chiara la presenza di numerosi riscontri che potrebbero portare allo scioglimento. Mattinata come Monte Sant’Angelo? Staremo a vedere. Dalla Commissione filtra cautela e riservatezza. Dopo l’analisi del prefetto e il parere del Comitato per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, le carte sono finite sul tavolo del competente ministro che dovrebbe interessare della questione il Presidente della Repubblica, depositando la documentazione sui tavoli degli uffici quirinalizi per gli opportuni pareri.

In questi mesi la nostra testata ha pubblicato vari approfondimenti, svelando anche l’esistenza di intercettazioni che coinvolgevano membri dello Stato, come nel caso dell’agente di polizia, D’Apolito che al sindaco Michele Prencipe parlò di incontri tra persone vicine alla vecchia giunta e il boss Antonio “Baffino” Quitadamo nella masseria di quest’ultimo.

Interessi su lottizzazioni

Senza dimenticare le ombre sul porto di Mattinata e la lottizzazione Lamione per la quale appare piuttosto singolare il tentativo di costruire case su un torrente. Una strana pervicacia nel voler modificare a più non posso letti e corsi d’acqua. Il tutto attraverso continue modifiche al perimetro dell’area (con vari – e leggeri – restringimenti) sulla quale edificare. Inoltre in una zona dove è presente una specifica macchia mediterranea e dove sorgono determinate piante, introvabili altrove.

D’altronde in quella valle – a ridosso della caserma dei carabinieri – gli interessi non sono mai mancati. Terreni che varrebbero molti quattrini e sui quali si vuole edificare nonostante i vincoli idrogeologici. I commissari intervenuti per le presunte infiltrazioni criminali hanno posto la loro attenzione anche su questo. Già cinque anni fa, gli interessi del clan locale si erano spostati su quella valle, con tanto di pressioni verso i dirigenti comunali per il mancato rilascio dei permessi. Fece scalpore, all’epoca, l’irruzione di soggetti pregiudicati nelle stanze comunali per convincere chi di dovere a sbloccare le attività.

L’estremo tentativo del sindaco

Di recente il sindaco di Mattinata, Michele Prencipe si è attivato angosciosamente per scongiurare lo scioglimento dell’assise comunale provando a coinvolgere politici influenti che potessero intercedere presso il Ministero dell’Interno, cercando varchi anche presso il Csm. A quanto si apprende, però, quest’ultima notizia è destituita da ogni fondamento.

Ma quello del sindaco aveva tutta l’aria di essere uno scorato e tragico tentativo in extremis per evitare lo scioglimento del comune garganico. Responso finale entro febbraio.

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Mattinata verso scioglimento, fari su lottizzazione Lamione. Il ruolo dei D’Apolito

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Da sinistra, Francesco Santamaria, Libera Scirpoli, Paolo Campo e Antonio D’Apolito

A Mattinata, tra i faldoni analizzati dalla Commissione d’accesso agli atti che potrebbero portare allo scioglimento del Comune, ci sono anche quelli relativi alle zone da edificare. Al vaglio, in modo particolare, la lottizzazione Lamione, fetta di territorio posta a ridosso della caserma dei carabinieri.

L’area interessata si estende su un terreno che presenta una parte centrale attraversata da un fondovalle e da due adiacenti versanti dove si dovrebbero sistemare le costruzioni progettate. Abbiamo già raccontato su questa testata della telenovela che ha caratterizzato quella lottizzazione, contrassegnata da continue modifiche messe in atto pur di edificare su un torrente.

Tra le storture all’esame della Commissione – poi girate al Ministero dell’Interno per l’analisi finale – non sono mancati lunghi approfondimenti sui possibili interessi in quell’area. Durante il lavoro dei commissari è emerso tra i proprietari dei terreni lottizzati in Lamione anche il nome di Antonio D’Apolito, ispettore di polizia nominato nelle scorse ore responsabile polizia giudiziaria della Stradale di Foggia e ritenuto vicino a pezzi del Pd locale. L’uomo compare in una foto in compagnia dell’attuale segretario del partito a Mattinata, Francesco Santamaria, del consigliere regionale di Manfredonia, Paolo Campo e dell’ex segretaria piddina, Libera Scirpoli.

Caserma carabinieri e piantina Lamione

Ma il neo responsabile dell’importante ufficio della Polizia Stradale non è il primo agente finito all’attenzione della Commissione durante l’analisi dei documenti. Prima di lui Bartolomeo D’Apolito (che ha una lontana parentela con Antonio), sotto inchiesta per le presunte pressioni al sindaco di Mattinata, Michele Prencipe.

Come già anticipato da l’Immediato, va segnalato nell’affaire Lamione il coinvolgimento di un terzo D’Apolito, ovvero Lorenzo (anche lui lontano parente dei due agenti di polizia), ingegnere e cognato del primo cittadino. Il professionista figura tra i tecnici incaricati proprio in quella lottizzazione. Ricordiamo, inoltre, che il dirigente dell’ufficio tecnico non volle mai firmare quelle carte prima di essere trasferito altrove.

Veduta di Mattinata

In tutta questa storia, appare quantomeno singolare che si tenti a tutti i costi di far passare un progetto di lottizzazione su un torrente. Una strana pervicacia nel voler modificare a più non posso letti e corsi d’acqua. Il tutto attraverso continue modifiche al perimetro dell’area (con continui – e leggeri – restringimenti) sulla quale edificare. Inoltre in una zona dove è presente una specifica macchia mediterranea e dove sorgono determinate piante, introvabili altrove.

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“Le mani sulla città”, a Foggia il mattone non muore mai. Nuovi palazzi in arrivo: ecco dove

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Via San Severo

E la storia continua, sempre la stessa, sempre gli stessi”, così scrive sui social l’oppositore numero uno dell’amministrazione comunale foggiana, il capogruppo dei Fratelli d’Italia Giuseppe Mainiero, allegando alla famosa locandina del film di Francesco Rosi “Le mani sulla città”, gli hashtag #urbanizzando, #siraschiailbarile e il #ilpugin100giorni. Altro che 100 giorni per l’approvazione del Pug, ne sono passati circa 1300 dall’insediamento del centrodestra a Palazzo di Città, avviatosi ormai al suo ultimo anno di consiliatura, e di Pug neppure l’ombra. Ma non mancano i progetti urbanistici. E non solo grazie al bando “da periferia a periferia”.

Non è un mistero che la maggioranza di Franco Landella, sotto elezioni politiche, stia pensando di arginare l’emergenza abitativa attraverso nuove lottizzazioni edilizie da realizzare al cosiddetto Comparto 28 nei pressi di Via Gandhi.

Le varianti al piano regolatore dovrebbero sorgere da una necessità di opere pubbliche o di insediamenti di interesse collettivo o speciale, ma spesso a Foggia gli interessi privati fondiari si sono tramutati in interesse generale. Anche i nuovi ragionamenti, che coinvolgono i terreni dietro Palazzo di Giustizia e l’ampia area di Via Gandhi, dove sta già realizzando Gino Boscaino, non fanno eccezione.

L’idea nacque nel 2014 ai tempi dell’amministrazione Mongelli. E in piena continuità ritorna oggi dopo più di 3 anni di governo Landella. Il 10 aprile del 2014 il consiglio comunale approvò, infatti, una delibera inerente le “norme urbanistiche finalizzate ad aumentare l’offerta di edilizia residenziale e sociale”, dicendo sì al Piano particolareggiato di Via Gandhi.

La legge regionale dell’ex assessora vendoliana Angela Barbanente prevede che i Comuni possono definire ambiti la cui trasformazione è subordinata alla cessione gratuita da parte dei proprietari, singoli o riuniti in consorzio, di aree o immobili da destinare a edilizia residenziale sociale, in aggiunta alla dotazione minima inderogabile di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi. I Comuni ad alta tensione abitativa come Foggia sono tenuti a procedere all’attuazione degli interventi previsti dalla L. R. n. 12/2008, previa valutazione del fabbisogno di edilizia residenziale pubblica.

All’epoca l’ex sindaco Mongelli sancì che la valutazione del fabbisogno di edilizia residenziale sociale (ERS) fosse pari a 954 alloggi. La situazione non è cambiata oggi. Gli sfrattati e i senza casa non sono diminuiti, anzi. C’è chi chiede programmi speciali all’Arca Capitanata e nuovi investimenti in edilizia pubblica.

Ebbene quel piano particolareggiato potrebbe ovviare alcune problematiche, secondo alcuni supporters dell’Ance, perché apre la possibilità di edificare in zona F, purché i soggetti attuatori siano disposti a “donare” il 70% delle volumetrie per usi pubblici. Il tutto dentro un’area compostasi anche a seguito della formale rinuncia pervenuta al Comune da parte della società “Arianna Costruzioni”.

Nel 2014 nessun imprenditore era apparso interessato all’opzione, ma oggi la crisi dell’edilizia appare lentamente rientrata e forse qualcuno potrebbe decidere di costruire nuovi palazzi con degli alloggi da assegnare all’emergenza abitativa. Sono almeno 5 gli interventi e 5 i soggetti che stanno tenendo in questi giorni fitte riunioni con gli amministratori e con gli esperti di faccende urbanistiche della maggioranza: Corrado Salice, Lillino Galano e il suo socio, gli eredi De Leo e qualche altro. La discussione per il Comparto 28 è in itinere. Si parla di ben 120mila metri cubi di edificato. Una cascata di cemento.

Ma alcuni maggiorenti azzurri più avveduti sono pronti a scommettere che non se ne farà nulla, nonostante i buoni uffici di molti tecnici. “L’operazione è troppo complicata, è più facile far abbattere le vecchie case in centro e ricostruirle”, spiegano.

Intanto l’amministrazione sta tentando anche di risolvere la complicata questione, che concerne la transazione con la Madaga srl. Come si ricorderà l’edile Saverio Normanno, titolare della Madaga srl, aveva realizzato una villetta bifamiliare in Via Regina, che si ritrovò ad essere totalmente soffocata, rimanendo così invenduta, dai manufatti  delle volumetrie disperse della 167 del Consorzio Coop Casa. Normanno ha fatto ricorso e ottenuto la piena vittoria in sede giudiziaria, mentre la Coop a tutt’oggi non ha ancora consegnato i 32 alloggi popolari più le urbanizzazione più i servizi previsti. L’imprenditore ha chiesto al Comune un risarcimento danni pari a 11 milioni, laddove il Comune aprendo un tavolo tecnico ha fatto la sua offerta. Al momento l’amministrazione sembrerebbe orientata a trattare con uno scambio. Ha proposto a Normanno la realizzazione di un vecchio Pirp, il Pirp Croci, tra Via San Severo e Via Candelaro.

Insomma, la popolazione diminuisce, ma il mattone a Foggia non muore mai.

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“Pacchi di soldi” e conflitti con Curci, le carte che inchiodano Sannella. “Continuo ricorso a fondi occulti”

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“Continuo ricorso a forme di finanziamento occulto e promotore dell’attività di riciclaggio. Solo il carcere può evitare la reiterazione del reato”. Con queste parole il gip, Giulio Fanales ha evidenziato il ruolo centrale del patron del Foggia Calcio arrestato stamattina, Fedele Sannella nella gestione dei versamenti illeciti a giocatori e staff del club rossonero. Nelle 46 pagine dell’ordinanza, è ricostruito tutto il sistema dei pagamenti e i ruoli all’interno della società.

Sannella è stato arrestato “perché – si legge nelle carte del giudice -, in concorso con Massimo e Nicola Curci, in tempi diversi e in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, riceveva da Curci Nicola (che l’aveva a sua volta ricevuta da Curci Massimo) la somma complessiva di 378.750 euro e la impiegava attraverso la corresponsione di somme in nero agli atleti, allenatori, procuratori e attraverso vari pagamenti funzionali alla gestione della società calcistica, in tal modo ostacolando l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro. Inoltre Curci Massimo impiegava nel calcio la ulteriore somma di euro 1.600.000,00 provento dei medesimi reati prima indicati”.

IL MANOSCRITTO

“L’appunto manoscritto, sequestrato a carico del Curci Ruggiero Massimo, fornisce, invece, l’elenco degli importi in denaro contante consegnati nelle mani di tale “Fedele” (da intendersi Sannella Fedele), con le date delle relative dazioni, per un importo globale di euro 328.750,00”.

Il 3 maggio 2017 Curci Ruggiero Massimo inviava due sms, tramite l’applicativo Whatsapp, a Dellisanti Roberto Pierre Jean, amministratore delegato della Foggia Calcio s.r.l. Nei messaggi, il Curci Ruggiero Massimo dava atto di “versamenti” (da intendersi regolari) per Euro 1.235.000,00 e di “altri versamenti” (da intendersi in nero) per Euro 328.750,00.

Dalla disamina della contabilità della Esseci s.r.l. (società controllante del Foggia, ndr) è emerso, pertanto, il versamento nelle casse sociali, da parte di Curci Ruggiero Massimo, dell’importo complessivo pari ad Euro 351.000,00, a titolo di “finanziamento soci”, per il periodo compreso tra il 22.06.2015 ed il 10.06.2016, con riguardo alla stagione calcistica 2015/2016″.

LA RETRIBUZIONE IN NERO DEI CALCIATORI

La ricostruzione del gip appare molto dettagliata e fornisce date ed episodi relativi a scambi di denaro: “Il 27 ottobre 2016, Curci Nicola, fratello del Curci Ruggiero Massimo, inviava a quest’ultimo via telefono cellulare alcune fotografie di fogli manoscritti. Tali appunti recavano un elenco di sportivi tesserati con la Foggia Calcio s.r.l., per ciascuno dei quali si indica l’importo di denaro consegnato, con dazione da intendersi avvenuta in contanti, stante l’assenza di ogni evidenza contabile. Il prospetto, peraltro, dà conto anche della provenienza delle somme da “Max Franc Io” (da intendersi Curci Ruggiero Massimo – Sannella Francesco Domenico – Sannella Fedele).

I manoscritti sono redatti su carta intestata della ditta Tamma: si tratta della Francesco Tamma s.p.a., partecipata in via maggioritaria dalla Satel s.r.l., i cui soci sono proprio i fratelli Sannella, Fedele e Francesco Domenico.
Fra i soggetti beneficiari del denaro contante figurano, tra l’altro, i seguenti nomi:⬇️

Curci Ruggiero Massimo, in sede d’interrogatorio di fronte al Pubblico Ministero in data 16 dicembre 17, ha riferito quanto segue. L’appunto in sequestro, intitolato “Contanti soldi dati a Fedele”, proveniva dalla mano del Curci stesso e riportava il denaro da lui corrisposto in contanti a Sannella Fedele, a seguito delle continue pressioni da parte di costui, il quale affermava di necessitare di tali importi per spese relative al Foggia Calcio, quali gli esborsi conseguenti ai lavori presso lo stadio, il pagamento dei fornitori e la periodica corresponsione degli stipendi ai calciatori. Le forti insistenze in questo senso, da parte del Sannella, provocavano anche alcuni litigi fra il medesimo ed il Curci Ruggiero Massimo: costui si cautelava, malgrado le resistenze del Sannella, ottenendo alcune fotografie, scattate dal fratello Curci Nicola e ritraenti i fogli della contabilità delle spese in nero, conservata dal Sannella in un armadietto all’interno della sala destinata alle assemblee della società Foggia Calcio”.

E ancora: “I manoscritti, redatti su carta intestata della ditta Tamma, recanti la dicitura “Max — Franc — Io” ed un elenco di sportivi tesserati con la Foggia Calcio s.r.l., per ciascuno dei quali é indicato un importo di denaro, risultavano redatti da Sannella, da identificarsi nel soggetto indicato come “Io” nella predetta dicitura. Curci Ruggiero Massimo prelevava pressoché mensilmente, dai propri conti correnti, le somme da corrispondere al Sannella, per la maggior parte provento dell’attività professionale volta a consentire a terzi l’evasione fiscale. La consegna materiale del denaro al Sannella avveniva, per lo più, ad opera del Curci Nicola; in casi sporadici, il Curci Ruggiero Massimo vi provvedeva personalmente”.

FAR SPARIRE CONTABILITÀ EXTRABILANCIO

Emblematico il passaggio dell’ordinanza relativo al periodo subito successivo ai controlli delle forze dell’ordine a carico di Curci: “In seguito alla perquisizione subita da Curci Ruggiero Massimo nel mese di maggio dell’anno 2017, Sannella chiedeva informazioni in proposito a Curci Nicola, rivelando successivamente a quest’ultimo di avere fatto sparire tutta la documentazione relativa alla contabilità extrabilancio”.

Curci Nicola, in sede d’interrogatorio di fronte al Pubblico Ministero in data 18 dicembre 2017, ha riferito quanto segue. “Sannella Fedele, asserendo di avere la necessità di denaro per la gestione extrabilancio del Foggia Calcio ed in particolare per le spese di manutenzione ed il pagamento degli allenatori, dei calciatori e dei procuratori, otteneva da Curci Ruggiero Massimo la corresponsione di somme in contanti, con cadenza periodica, per l’anno 2016 ed i primi tre mesi del 2017. Ogni dazione aveva ad oggetto un importo quasi mai inferiore ad Euro 25.000,00, in banconote da Euro 20,00, Euro 50,00, oppure Euro 100,00″.

Nella ricostruzione, il gip scrive ancora: “Curci Nicola riceveva il denaro dal fratello e lo consegnava al Sannella, custodito in una busta con elastico, presso lo stadio, all’interno della stanza destinata ai dirigenti o del locale adibito alle riunioni dei soci. In due occasioni, ragioni di sicurezza suggerivano al Curci Nicola di farsi accompagnare nel viaggio da un amico, F.M., al quale veniva riferito in modo generico l’incombente programmato, ossia la consegna di denaro a Sannella Fedele.

Ogni calciatore sentito, pur avendo escluso di avere mai ricevuto parte della propria retribuzione in una diversa dal bonifico bancario, non era in grado di dare alcun tipo di spiegazione di fronte agli appunti manoscritti di cui sopra, recanti l’elenco degli sportivi tesserati con la Foggia Calcio s.r.l., con l’indicazione per ciascuno dell’importo di denaro consegnato.

L’odierno indagato Sannella sentito dalla Polizia Giudiziaria il 9.11.17 in qualità di persona informata sui fatti, rendeva dichiarazioni a sé favorevoli, come tali certamente utilizzabili in sede. Il Sannella negava di avere in alcuna occasione ricevuto da Curci Ruggiero Massimo somme in contanti, per il finanziamento della Esseci s.r.l. o Calcio s.r.l., ovvero per spese collegate alle stagioni calcistiche, ma non era in grado di dare alcuna spiegazione in merito all’appunto manoscritto, a carico del Curci Ruggiero Massimo, recante l’elenco degli importi in denaro contante consegnati con le date delle relative dazioni, per un importo globale di Euro 328.750,00.

Sannella negava, altresì, di avere in alcun caso effettuato pagamenti in nero in favore di soggetti tesserati della società sportiva Foggia Calcio e di non essere l’autore dei manoscritti, redatti su carta intestata della ditta Tamma, recanti la dicitura “Max Franc Io”. Sannella relegava tali documenti ad una sorta di prospetto previsionale inerente alle spese future, in relazione alla gestione della società sportiva: trattasi di una versione del tutto inverosimile, in quanto viene in evidenza l’indicazione di somme talmente specifiche da essere incompatibili con un quadro meramente progettuale”.

IL REATO

Il gip scrive che “Sannella risponderebbe del reato di autoriciclaggio, per avere tenuto la condotta volta ad ostacolare la provenienza delittuosa del denaro in concorso con Curci Ruggiero Massimo. In altri termini, il Sannella sarebbe chiamato a rispondere del reato di cui all’art. 648 ter.l c.p., quale concorrente estraneo nell’autoriciclaggio commesso da Curci Ruggiero Massimo, titolare della qualifica soggettiva richiesta dalla norma, in quanto autore dei delitti”.

L’ESIGENZA CAUTELARE

Per il gip Fanales “c’è un continuo ricorso a tale forma di finanziamento occulto” da parte di Sannella. “D’altronde, a fronte di un’esigenza così stringente di prosecuzione dell’attività criminosa, non paiono allo stato esistere ostacoli di sorta. Se è vero, infatti, che il Curci Ruggiero Massimo si trova attualmente sottoposto agli arresti domiciliari, è altrettanto vero che il patrimonio accumulato dal predetto a mezzo delle indebite compensazioni risulta ben maggiore rispetto alla somma finora riciclata, con la conseguente alta probabilità di un’ulteriore attività di riciclaggio, ancora una volta posta in essere dal Sannella con l’ausilio del Curci Nicola, tuttora libero. Esiste, dunque, il concreto pericolo di reiterazione del reato.

L’unica misura in grado di contrastare efficacemente un simile pericolo è rappresentata dalla custodia in carcere. Il Sannella avanza continue pretese di consegna periodica del denaro di provenienza delittuosa e tiene personalmente la contabilità delle spese in nero, sostenute grazie al capitale illecito così ottenuto. Egli, dunque, si fa addirittura promotore dell’attività di riciclaggio presso gli autori dei reati tributari. Lo stesso, non appena appreso della perquisizione in corso presso i locali nella disponibilità di Curci Ruggiero Massimo, provvede a trovare un nuovo nascondiglio per la contabilità extrabilancio del Foggia Calcio. Egli, dunque, approfitta di ogni margine di movimento lasciato dall’intervento dell’autorità inquirente per mettere al sicuro gli strumenti necessari alla prosecuzione indisturbata delle operazioni volte al riciclaggio”.

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Tamma, Apulia Felix, pallone: e ora? Parole al miele per Sannella: “Solo chi fa sbaglia”. Fares: “Sereni e tranquilli”

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Il giorno dopo il clamoroso arresto di Fedele Sannella per riciclaggio nell’inchiesta della Procura di Milano, con le foto dei pagamenti, messaggi WhatsApp e la ricostruzione della compagine societaria della C.LM.srl, della Sannella Holding srl e della Esseci srl, detentrice del Foggia Calcio, inseriti nell’ordinanza, al pastificio Tamma in Corso del Mezzogiorno tutto sembra regolare. Forse c’è fin troppa calma. Due tir, uno in entrata e l’altro in uscita, si sono salutati alle ore 12.

Al pastificio

In portineria sono vaghi, se si cerca il fratello, che da almeno un anno guida l’azienda. “C’è solo la Cinquecento di Franco Sannella, non la sua Maserati”. Contattato al telefono, l’imprenditore preferisce non parlare. È in riunione.

In città non sono mancate in queste ore le preoccupazioni per l’impresa molitoria della pasta. Sono circa 50 gli operai sindacalizzati. In azienda il clima è piuttosto sereno, come spiegano a l’Immediato i sindacati. “I due fratelli si sono impegnati tantissimo, i ragazzi con la precedente gestione non prendevano lo stipendio. Invece ora li pagano a tariffa, a ciclo continuo, i Sannella stanno spendendo, si stanno muovendo nell’ottica dello sviluppo. Vogliono investire e creare occupazione”, è il commento del segretario alimentarista Cisl Lorenzo di Varsavia.

Con i Tamma, i dipendenti avevano diversi arretrati, oggi invece possono contare su degli integrativi in base alla produttività, benché siano dei contratti stagionali somministrati, a termine.

Secondo molti, i fatti del Foggia Calcio e le somme di Massimo Curci sono cose “distinte e separate” da Tamma e dalle altre attività dei fratelli Sannella, che negli ultimi 3 anni avevano diversificato molto rispetto al loro settore iniziale. Energie rinnovabili ed edilizia.

I sindacati del resto si relazionano con Franco Sannella, che viene definito “competente e altruista, disponibile verso le persone”, perché “cerca di tutelarle, anche se qualcuno sbaglia”.

“Avrebbe potuto licenziare, perché non erano persone di sua fiducia. E invece non lo ha fatto”, è il commento.

Pare esservi insomma fiducia. Le notizie circolate su una ipotetica cessione e non smentite dal procacciatore d’affari Lucio Fares sono per ora lontane. “Delle nuove trattative per Tamma non ne ho idea proprio. Fra l’altro siamo occupati in altro ora”, osserva Fares, presidente del Foggia Calcio a l’Immediato. Qualche componente del CdA ha annunciato dimissioni dopo questo “scandalo”? “No, aspettiamo con serenità, stiamo sereni e tranquilli. Stiamo calmi fino al 13 febbraio (giorno della pronuncia sul commissariamento del club rossonero, ndr). Dobbiamo vedere un po’ come si evolvono le cose, non sono questi gli argomenti all’ordine del giorno”, conclude.

Da sinistra, Franco Sannella, Fedele Sannella e Lucio Fares

In Fondazione Apulia Felix

Intanto, domani ci sarà un Consiglio di Amministrazione alla Fondazione Apulia Felix in cui si parlerà di Fedele Sannella, vicepresidente della struttura culturale e tra coloro che nel 2012 su impulso dell’allora Rettore Giuliano Volpe hanno voluto “dare un segnale forte alla società locale” in attività da mecenate, incassando anche la convenzione trentennale dal Comune di Foggia per l’Auditorium Santa Chiara.  

I componenti del CdA sono insieme a Volpe, gli imprenditori Giacomo Mescia e Marcello Salvatori e il violinista Dino De Palma, ex compagno della prossima candidata LeU, la direttrice d’orchestra Gianna Fratta.

È il secondo arresto, dopo quello dell’edile Gerardo Biancofiore, di uno dei soci principali della Fondazione, che negli ultimi tempi aveva cercato di allargare, senza riuscirvi, la base societaria. Occorrerà rilanciare. Sembrano lontani i tempi delle convention di scuola d’impresa, del sabato mattina, dal titolo “ I Manager che fecero l’Impresa – Foggia incontra imprenditori di successo”. Nel primo incontro un emozionatissimo Fedele Sannella salutò il grande imprenditore Mario Beretta, titolare al 50% del gruppo Fratelli Beretta.

Le reazioni

Sui social tanti colleghi spendono parole di apprezzamento. “Oggi fare impresa è diventato davvero difficile e complicato. Soprattutto se il successo è arrivato nella massima legalità possibile, perché ci vuole anche tanta fortuna per emergere come imprenditore. Premesso ciò si viene immediatamente avvicinati da personaggi o individui che purtroppo operano in un certo modo, un imprenditore “sano” in quei momenti è completamente abbandonato dal sistema (giustizia) che spesso non aiuta ma addirittura affossa, viste ormai le regole dei giochi. Chi conosce i Sannella sa come si muovono e che persone sono realmente. La magistratura deve svolgere il suo compito”, scrive uno degli ultimi soci che sta realizzando con loro delle palazzine in Via San Severo.

Marco Insalata

Ritiene che i fratelli Sannella abbiano diversificato con troppa accelerazione in settori nei quali non avevano un adeguato know how? A questa domanda Marco Insalata, che insieme al gruppo Trisciuoglio sta operando una diversificazione spinta in più settori, ha risposto con schiettezza alla nostra testata web: “Io sono affettivamente legato a Fedele Sannella e a Franco, quindi sono di parte. Il problema è che solo chi fa può sbagliare, ma qui ci sono tanti che non fanno e che sono capaci solo di guardare e giudicare, solitamente sempre male, fino all’altro giorno mi sembra che erano considerati i migliori invece oggi tutti addosso. Per il resto i soldi sono i loro e saranno anche padroni di investire dove vogliono e come vogliono, oltretutto non mi sembra che anche se neofiti, stessero facendo male. Ci sono tanti ma dico tanti imprenditori e professionisti facoltosi che vivono in sordina regalando poche emozioni al territorio. Comunque io preferisco chi fa”.

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Appalti pilotati a Foggia, 4 i filoni d’indagine. Legale Di Donna tuona: “Notizia coperta da segreto. Chiaro disegno politico”

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di FRANCESCO PESANTE

Uninchiesta della Procura di Foggia tira in ballo l’azienda Ataf. Gli inquirenti avrebbero scoperchiato un sistema di appalti pilotati che coinvolge – secondo le accuse – Massimino Di Donna, padre di Michaela Di Donna e suocero del sindaco Franco Landella, questi ultimi estranei alle indagini. Nelle carte in nostro possesso spuntano 4 filoni: polizze, acquisto mezzi, gestione spazi pubblicitari sui mezzi e servizio impianti antincendio in tre parcheggi della città.

Si parla di modifiche nella gara di aggiudicazione per la stipula della polizza assicurativa RC Auto della flotta aziendale Ataf in favore della Gl Brokers di Giovanni Longobardo. Dicecca e Ferrantino, rispettivamente dg e presidente Ataf, insieme a Longobardo avrebbero “predisposto d’intesa tra loro il contenuto del bando di gara per la stipula della polizza avvalendosi di mezzi fraudolenti, omettendo la necessaria nomina della commissione esaminatrice delle offerte dei vari partecipanti, turbando così la gara”.

Presunti favori anche alla società gestita da Michele Di Maio per il contratto di vendita di 10 autobus a gasolio. Per gli spazi pubblicitari sui mezzi, invece, questo “gruppo di potere”, capeggiato da Di Donna, si sarebbe accordato con Massimo Rendinella, amministratore della Mrc Consulting “a cui sarebbero stati assegnati punteggi sovrastimati riguardo un presunto servizio di grafica offerto dalla società”. In buona sostanza avrebbero fatto “apparire falsamente che l’offerta della società di Di Maio era stata valutata collegialmente da tutti i membri della commissione di gara, mentre in realtà l’aggiudicazione era stata decisa dai soli Dicecca e Ciuffreda”.

Infine la gara pubblica per il servizio di manutenzione degli impianti antincendio dei parcheggi Zuretti, Ginnetto e Vincenzo Russo. Stando alla Procura, in questo caso sarebbe intervenuto proprio Di Donna al fine di affidare illecitamente il servizio alla società di Sergio Giannini che è anche titolare del locale “Tre Archi”, ritenuto dagli inquirenti luogo di ritrovo del gruppo. “Di Donna, Ferrantino, Ciuffreda, Giannini e Damiano sono sottoposti a indagine – si legge –, in concorso tra loro, nelle rispettive qualità Ferrantino di presidente Cda dell’Ataf, Ciuffreda di funzionario Ataf, Giannini di amministratore della Geosolar costruzioni srl e Damiano di amministratore della Euroelettrik, entrambe concorrenti nella gara pubblica per l’affidamento del servizio di manutenzione degli impianti antincendio su indicati e infine Di Donna, nel ruolo di istigatore per l’affidamento illecito del servizio in favore della società di Giannini, mediante collusione, consistita nel concordare d’intesa tra loro l’aggiudicazione della gara in favore della società di Giannini nonché nel predisporre d’intesa il contenuto dell’avviso pubblico, rivolgendo gli inviti per la partecipazione alla gara ad alcune imprese indicate da Giannini, turbando così la regolarità della procedura di gara pubblica”.

Ieri, su disposizione del pm Enrico Infante, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Foggia, la polizia ha effettuato perquisizioni a casa dello stesso Massimino Di Donna ma anche nelle abitazioni di Massimo Dicecca, ex dg Ataf, Raffaele Ferrantino, presidente Ataf, Giovanni Longobardo, Michele Di Maio, Leonardo Ciuffreda, Massimo Rendinella, Marco Damiano e Sergio Giannini. 9 in tutto gli indagati per turbativa d’asta. Secondo la Procura, Di Donna avrebbe avuto un ruolo centrale perché “dagli atti di indagine appare in grado di influire sulle procedure di gara, avvalendosi dei suoi stretti rapporti con il sindaco di Foggia, suo affine”.

Avvocato Curtotti: “Strumentalizzazione politica”

Michele Curtotti

Nota stampa giunta dall’avvocato Michele Curtotti, legale di Di Donna, Giannini e Damiano: “In relazione alle notizie di stampa sulle perquisizioni effettuate per presunti illeciti nella gestione di gare d’appalto della società Ataf SpA, ritengo opportuno, in qualità di difensore, tra gli altri, del presidente dell’azienda, avvocato Raffaele Ferrantino, e del signor Massimo Di Donna, precisare quanto segue: L’unico atto, allo stato, notificato agli indagati, è un provvedimento di perquisizione finalizzato alla ricerca di elementi di prova. È chiaro, quindi, che si tratta di doverosi accertamenti d’indagine, disposti dalla Procura della Repubblica di Foggia con apprezzabile e prudente scrupolo investigativo.

Far diventare tale attività, peraltro coperta da segreto, una “notizia da prima pagina” – strumentalizzando per fini evidentemente politici una notizia di cronaca giudiziaria – è un malvezzo a cui non è possibile abituarsi. È appena il caso di ricordare che, allo stato, non vi è una imputazione cristallizzata, bensì soltanto una ipotesi investigativa che meriterebbe maggior rispetto da parte di quanti sono chiamati al doveroso ma delicato compito di informare l’opinione pubblica.

A tal proposito, nell’evidenziare che tutti gli indagati attendono serenamente gli esiti di tali accertamenti e sono pronti, quando e se sarà necessario, a chiarire le proprie posizioni, devo fortemente stigmatizzare la scelta dell’edizione di Bari del quotidiano La Repubblica – ripresa poi da altre testate giornalistiche locali – di accostare ad una indagine, lo si ribadisce ancora nelle sue fasi iniziali, l’esponente di Forza Italia Michaela Di Donna, del tutto estranea ai fatti”.

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Sorge “un’altra Foggia” nel bel mezzo della campagna. Fitti agevolati e prezzi calmierati al Comparto 28

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Due delibere di Consiglio comunale a Foggia, una del 2014 durante l’amministrazione Mongelli e un’altra del 2017 in piena amministrazione Landella, fanno presagire la possibilità che si possano realizzare nuove edificazioni in Via Gandhi in quello che volgarmente viene chiamato “Comparto 28”.

Sarebbe facile fare ironie, utilizzando la nota canzone ecologista del Molleggiato. “Là dove c’era l’erba ora c’è una città…”, la città nel mezzo della campagna già si vede. I palazzi targati Boscaino e altre imprese già si stagliano. Un edificio del complesso residenziale non è stato ancora realizzato, ma è stato già tutto venduto, come si può verificare chiamando al numero di vendita. Restano solo due appartamenti, ci è stato detto: uno di circa 78 metri, collocato al primo piano, e l’altro più ampio di 140 metri. Prezzo al cliente compratore: 1750 euro al metro quadrato e 1300 euro per il garage.

Sono 5 i progetti presentati in questi mesi da imprenditori e proprietari terrieri alla Giunta e in particolare al sindaco Franco Landella e all’assessore all’Urbanistica Ciccio D’Emilio, che nei prossimi giorni incontreranno una delegazione dell’Ance presieduta da Annj Ramundo per parlare dell’argomento. La settimana scorsa in Via Valentini Vista Franco nella sede di Confindustria gli edili hanno tenuto una riunione per capire il da farsi. Sul tavolo c’è il piano particolareggiato approvato nel 2014 che consente la realizzazione di alcune opere edilizie in zona F secondo i dettami della legge regionale di Angela Barbanente del 21 maggio 2008, n. 12 dal titolo “Norme urbanistiche finalizzate ad aumentare l’offerta di edilizia residenziale sociale”.

Secondo la norma, i proprietari e i soggetti ai quali sia affidata la realizzazione degli interventi di edilizia residenziale sociale devono, sulla base di una apposita convenzione, impegnarsi a cedere gratuitamente al Comune una quota minima del 10 per cento degli alloggi realizzati grazie al surplus di capacità edificatoria e garantire preferibilmente l’affitto o l’affitto con patto di futura vendita dei restanti alloggi di edilizia residenziale sociale a soggetti in possesso dei requisiti per l’accesso a tale tipo di alloggi selezionati da una graduatoria comunale.

Ebbene, a detta di molti edili questa potrebbe essere una boccata d’ossigeno per il settore, oltre che per risolvere definitivamente l’emergenza avitativa in città. I canoni di affitto calmierati per coppie meno abbienti e famiglie in graduatoria non dovrebbero superare i 300 euro, mentre il prezzo finale degli appartamenti dovrebbe aggirarsi intorno ai 1300 euro al metro quadrato.

Come fanno sapere gli edili, si sta discutendo anche del rent to buy, che a Foggia non è mai davvero decollato. I 5 soggetti spingono affinché si approvi il Comparto 28. Dalla loro hanno la delibera nella quale il Consiglio comunale ha favorito la ritipizzazione dell’area identificata al foglio 128 p.lla n 41 della società Zanasi & Moschella s.r.l. Perché per Zanasi e Moschella si è fatta una eccezione? Perché non si opera con la stessa tempistica anche per gli altri?

L’atto qualche mese fa fu ritenuto necessario per avvantaggiare la condizione dei due imprenditori dei quali era stato chiesto il fallimento. Un provvedimento questo, revocato proprio in queste ore dal Tribunale, grazie all’ipotesi di un intervento futuro, che ha ridato fiducia alle banche.

Il suolo oggetto del programma della storica società edile è ubicato nei pressi della Pasticceria Moffa nell’ambito del tessuto cittadino prevalentemente urbanizzato e fa parte di un’ampia area tipizzata dal vigente P.R.G. per la maggiore consistenza come zona “F” – Attrezzature pubbliche di interesse generale – Altre infrastrutture – Nuove – Comparto n.28” e per la minore consistenza parte a zona “SP” – Attrezzature pubbliche di quartiere – Nuove – Aree sportive” e parte a “Viabilità” urbana di previsione e parte a “Viabilità” urbana già realizzata senza la dovuta procedura di espropriazione. Come si legge in delibera,  tutto quel terreno, compreso tra via Einaudi e via Gandhi, è stato oggetto, nell’arco dell’ultimo decennio, di diverse trasformazioni e realizzazioni urbanistiche-edilizie come il Programma Integrato – Legge Gozzini in ditta “Nuova Città”, l’Accordo di programma in ditta “Dragen s.r.l.”, da alcuni interventi edilizi approvati dal SUAP e in forza all’annullamento del silenzio-inadempimento formatosi su istanze di riqualificazione urbanistica, da varianti oggetto di ritipizzazioni approvate da Commissari ad acta a seguito di Sentenze del TAR Puglia, come il ricorso Panniello Rosa o il ricorso Villani Angelo. Aree insomma dove si è già costruito o si sta costruendo appunto.

“A distanza di anni mi rifaccio alla delibera del 2014 nella quale si dice che chi ha i terreni in zona F può fare questo tipo di intervento, non sono uno speculatore. Da mesi nessuno si è degnato di rispondermi, io sono una vittima di questo sistema”, ha detto a l’Immediato uno degli eredi De Leo, l’ingegner Dante De Leo, che è tra i soggetti che possiedono dei suoli nel Comparto 28, ex dirigente ai Lavori Pubblici a Palazzo di Città.

Il sindaco e l’assessore però non se la sentono di dare risposte affermative. “Il piano va omogeneizzato, ciascun progetto deve essere visto nel contesto insieme agli altri. Cosa dicono invece gli imprenditori Ance sull’Housing sociale? Su quello tacciono”, è il commento dei due amministratori.

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Aiutini su WhatsApp per un misero 18, il “disegno criminoso” dietro gli esami all’UniFg

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di FRANCESCO PESANTE

Si parla di “disegno criminoso” nelle carte della Procura di Foggia relative alla chiusura delle indagini per gli esami taroccati nella facoltà di Economia Aziendale a Foggia. Nel mirino degli investigatori, due solutrici (Anna Laura di Biase classe ’74 e Valeria Lucia Russo classe ’71) e tredici studenti foggiani. Un sistema di favori incentrato su WhatsApp, nota chat di messaggi utilizzata durante le prove scritte da alcuni studenti che giravano le tracce ricevendo in cambio le soluzioni. Nei documenti emerge che la di Biase “in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, svolgeva a favore di: Didonna Gianluca, iscritto alla facoltà di Economia Aziendale e Professioni/Consulenza Aziendale dell’Università di Foggia, i quesiti (ricevuti dallo studente tramite l’applicativo WhatsApp) della prova scritta dell’esame di “Matematica Finanziaria”, fissata per il 27 ottobre 2015 consentendo, in tal modo, al Didonna di superare l’esame con il voto complessivo di 28/30”. Favori anche a Vece Marta, iscritta alla facoltà di Economia Aziendale e Professioni/Consulenza Aziendale, dell’Università di Foggia, per risolvere i quesiti dell’esame di “Economia Politica 2” (ricevuti dalla studentessa tramite l’applicativo WhatsApp) sostenuto il 26 ottobre 2015 consentendo, in tal modo, alla candidata di superare l’esame con il voto complessivo di 21/30”.

E ancora: “Russo Giuseppe, iscritto all’Università degli Studi di Foggia, Facoltà di Economia e Commercio” che avrebbe ricevuto “l’aiutino” per la “traccia del compito scritto (ottenuta sempre su WhatsApp) dell’esame di “Matematica Finanziaria I” fissato per il giorno 15 dicembre 2015, consentendo in tal modo al Russo di superare l’esame con il voto complessivo di 30/30”. Tra gli indagati anche “Borgese Giuseppe (figlio dell’ex membro del CdA dell’AMIU a Foggia, Francesco Borgese), iscritto all’Università degli Studi di Foggia, Facoltà di Economia Analisi Economica”. Per lui l’aiuto è giunto per la “traccia del compito scritto (ricevuta nella solita chat) dell’esame di “Economia Industriale” sostenuto il 22 dicembre 2015, consentendo in tal modo al Borgese di superare l’esame con il voto complessivo di 20/30″.

Tra gli indagati, come preannunciato, c’è anche Massimiliano Landella, figlio del sindaco di Foggia. Stando alle carte della Procura, il giovane, “nel corso della prova scritta dell’esame di “Istituzioni di Economia” sostenuta il 26 maggio 2016 presso l’Università degli Studi di Foggia, Corso di Laurea in Economia Aziendale, inviava all’insegnante privata di Biase Anna Laura, tramite l’applicativo WhatsApp, la traccia del compito e riceveva, con la medesima applicazione, la soluzione ai quesiti, presentando in tal modo come suo l’elaborato della predetta prova di esame che superava con il voto complessivo di 18/30”.

Per il primogenito del sindaco spunta anche un altro caso. “Nel corso della prima prova scritta di esonero dell’esame di “Matematica Generale” sostenuta il 12 dicembre 2015 presso l’Università degli Studi di Foggia, Corso di Laurea in Economia Aziendale, Landella inviava all’insegnante privata Russo Valeria, tramite l’applicativo WhatsApp, la traccia del compito e riceveva, con la medesima applicazione, la soluzione ai quesiti, presentando in tal modo come suo l’elaborato della predetta prova che superava con il voto di 14+2”.

L’inchiesta rientra nel filone d’indagine che portò alla sospensione del giudice foggiano, Michele Cristino accusato di favori ad alcuni candidati per il superamento degli esami per dottori commercialisti ed esperti contabili, di recente rinviato a giudizio.

I NOMI

Coinvolte nelle indagini le due insegnanti private, Anna Laura di Biase e Valeria Lucia Russo. Gli studenti sono invece: Gianluca Didonna, Marta Vece, Giuseppe Russo, Giuseppe Borgese, Chiara Panunzio, Paolo Trecca, Maria Laura Salvatore, Francesco Carbone, Ciro Aprile, Massimiliano Landella, Francesca Bruno, Andrea Cancellaro e Giorgia Tufo. In un secondo procedimento sono finiti nel registro degli indagati Adrjiana Vasiljevic, Matteo Armillotta, Mario Salvatore Armillotta, Michele Sorrentino, Rosanna Canelli, Giuseppe Belfiore La Caprio. 

Il comunicato della GDF: “Fenomeno abbastanza diffuso in quella facoltà

La posizione dell’Università: “Tuteleremo studenti che si sacrificano

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Affidamenti sospetti a Mattinata, indagato ex capo Ufficio Tecnico. Occhi puntati sui campi sportivi dei Gentile

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Campi in zona Concezione

Mentre si avvicina la decisione sullo scioglimento o meno del Comune di Mattinata, emergono nuove correlazioni opache nella macchina amministrativa. Guai per l’ex responsabile dell’Ufficio Tecnico, l’architetto Michele Longo, indagato per reati inerenti ad abusi in contratti nell’esercizio delle sue funzioni. Da tempo gli investigatori hanno puntato i riflettori sulla vecchia giunta guidata da Lucio Roberto Prencipe, di cui Longo è stato suo fedele collaboratore, chiamato dallo stesso Prencipe così come avvenne per Franco La Torre (ex vicesindaco di Manfredonia) inserito nell’ufficio staff ma attraverso un contratto ritenuto illegittimo. Vicenda che portò Lucio Roberto Prencipe ad essere condannato in via definitiva nel 2015 dalla Corte dei Conti per danno erariale insieme all’ex vicesindaco Raffaele Prencipe e agli altri membri della giunta, Rosa Pia Ciccone, Antonio Sacco e Raffaele D’Apolito, quest’ultimo figlio dell’ispettore D’Apolito più volte citato dalla nostra testata. L’ex primo cittadino, inoltre, è tuttora sotto processo per falsi in documenti. Per non parlare poi dei progetti di riqualificazione urbana sonoramente bocciati dalla Soprintendenza, e formulati da tecnici di fiducia dello stesso Lucio Roberto Prencipe, il quale, a conti fatti, pare aver preso parecchie cantonate durante la sua amministrazione.

Lucio Roberto Prencipe

Ed ora tocca all’architetto Longo, chiamato in causa per alcuni affidamenti pubblici. Risale al 3 novembre scorso l’avviso di conclusione delle indagini preliminari con nomina del difensore d’ufficio emesso dalla Procura nell’ambito del procedimento penale (n.101/2016 R.G.N.R.) “conseguente a fatti e atti connessi all’espletamento di compiti d’ufficio”.

Sono proprio gli affidamenti pubblici la pietra fondante che portò all’arrivo a Mattinata della Commissione d’accesso agli atti. Appalti sui quali i commissari hanno incentrato gran parte del proprio lavoro. Occhi puntati soprattutto sull’ex giunta ma anche su quella attuale di Michele Prencipe che non avrebbe inciso in maniera radicale a modifiche rispetto alla vecchia gestione.

Presunti favori a persone vicine ai clan locali dietro l’assegnazione di alcuni campi sportivi del paese. Una questione che fu già oggetto di esposti inviati al Prefetto e che accesero l’attenzione degli organi inquirenti sulla “farfalla del Gargano”. “La gestione degli impianti sportivi è tutta in mano alla criminalità organizzata – scrissero -. Il riferimento è ad alcune strutture gestite in paese da persone vicine agli ambienti criminali. Soggetti favoriti da “lavori svolti in economia tra mille varianti e autorizzati dal tecnico di fiducia del sindaco – durante l’amministrazione Lucio Prencipe”. Per un impianto in particolare, “si può notare come la concessione iniziale prevedesse una durata di 30 anni mentre, con artifizi e raggiri è stata portata a 40 anni! Un bonus di 10 anni. Inoltre ci sarebbe dovuta essere una rendicontazione puntuale di tutte le spese fatte dalla società al Comune ma questo non è mai avvenuto”. Circostanze queste che solo chi ha fatto parte dell’ultima giunta poteva conoscere.

L’impianto “in particolare” sarebbe quello in zona Concezione affidato nel 2012 alla società del 30enne Antonio Gentile, figlio di Giovanni Gentile e nipote di Francesco Pio Gentile detto “rampino” o “passaguai”, luogotenente del clan Romito a Mattinata. Proprio i Gentile sono indicati dalla relazione della DIA come egemoni sul territorio mattinatese. Basta dare un’occhiata alle ultime mappe della mafia per averne piena contezza.

Una vera telenovela quella per i campi sportivi in zona Concezione. Durante i lavori si dimise l’ingegner Sacco, forse proprio a causa delle continue varianti richieste dai Gentile ed infine approvate dall’attuale giunta guidata da Michele Prencipe.

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Guerra di mafia a Foggia, pentito riconosce killer di Rocco Dedda. “Oh, si vede tale e quale”

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Erano le 14 e 30 del 23 gennaio 2016 quando due uomini bussarono all’abitazione a piano terra di Rocco Dedda in via Capitanata, rione Candelaro di Foggia. L’uomo aprì la porta ai killer e in pochi attimi venne trucidato con alcuni colpi di pistola sull’uscio di casa sua. Poi gli assassini si dileguarono, bruciando lo scooter al Villaggio Artigiani e allontanandosi a piedi dopo essersi liberati dei caschi. Ma i due furono immortalati dalle telecamere della videosorveglianza. Due anni dopo, però, non sono ancora stati identificati. La polizia chiese alla stampa di diffondere le immagini nella speranza che qualche cittadino potesse fornire elementi utili alle forze dell’ordine. Non è successo.

Uno degli omicidi più cruenti dell’ultima guerra di mafia a Foggia tra i clan Sinesi-Francavilla (di cui Dedda risultava far parte) e i Moretti-Pellegrino-Lanza è ancora avvolto nel mistero. Eppure qualcosa nelle aule giudiziarie comincia a muoversi. Dopo le rivelazioni di Alfonso Capotosto, ultimo pentito foggiano, un tempo braccio destro di Pasquale Moretti, ora è la volta di un malavitoso di Altamura fornire imbeccate agli investigatori.

Il collaboratore di giustizia, Pietro Antonio Nuzzi, 35 anni, ha spiegato ai pm di aver ottenuto importanti informazioni mentre era detenuto nel carcere di Foggia. Dettagli piuttosto specifici sull’omicidio Dedda. Nuzzi avrebbe spiegato e poi verbalizzato che un esponente del clan Moretti, in cella con lui, riconobbe uno dei killer guardando le immagini diffuse dalla polizia alla TV. “Il mio compagno di cella, saltando e ridendo, disse: quello è (nome del presunto assassino, vicino al clan Moretti). Strano che non l’hanno riconosciuto. Come mai non lo arrestano”. Il compagno di cella di Nuzzi avrebbe riconosciuto la persona più esile delle due apparse nel video. L’altro non riuscì a riconoscerlo. Ma di quello più magro “era convinto al 101 per cento. Anche dalla camminata. Oh, si vede tale e quale”. Eppure ad oggi non si è ancora proceduto ad alcun arresto. Le indagini della polizia continuano senza sosta da oltre due anni.

Le carte di “Rodolfo”: per Dedda una fine annunciata?

Il nome di Rocco Dedda (alias “Tempo Zero” e “Sombrero”) è nella recente lista di vittime della guerra di mafia a Foggia, scatenata, da un lato, dalla batteria dei Sinesi-Francavilla della quale “Sombrero” faceva parte, dall’altro lato dai Moretti-Pellegrino-Lanza. Il nome di Dedda spunta più volte nelle 280 pagine dell’ordinanza “Rodolfo” in quanto era incaricato di ritirare la tangente dall’imprenditore della Cereal Sud, Franco Curcelli. E questo dava molto fastidio ai boss rivali Rocco Moretti detto “il porco” e Vincenzo Antonio Pellegrino detto “Capantica” o “Enzino”. Sì perché questi ultimi pretendevano di “strappare” l’imprenditore alla “concorrenza” ottenendo favori e, soprattutto, soldi in via esclusiva. Alla fine si creò un consorzio chiamato “La Nuova Italia” dal quale entrambe le batterie criminali potevano attingere trasformando in lecito l’illecito.

Intercettazione: Franco Curcelli parla alla sua dipendente Assunta detta Claudia Giampietro: “…fammi capire com’è?… che cosa? (recita le parole di Pellegrino, ndr)… Enzì… io già tengo un consorzio che ne devo pagare ancora un altro?… ma di che consorzio stai parlando?… se è quel consorzio che sto pensando io tu non devi più niente a nessuno (dice riportando ancora le frasi di Pellegrino, ndr)… a nessuno!… eh Rocco (Dedda, ndr)? Mo te lo dico mo… niente più a nessuno! Perchè poi se lo so poi, poi hai visto, poi… già iniziava a non parlare più (intende dire che Enzino Pellegrino si è molto alterato con Dedda ordinandogli di non prendere più la tangente estorsiva da Curcelli per conto dei Francavilla, ndr). Già se ne era andato di testa…”

Giampietro: Secondo me si deve far male Rocco in questa situazione

Curcelli: Che me ne strafrega a me

Giampietro: Perché quelli là adesso si sfiammano (si arrabbiano, ndr)… sicuro

Curcelli: Non possono sfiammare… non possono fare niente

Giampietro: Se la prendono con Rocco

Curcelli: Le regole sono quelle

Giampietro: Quali regole… se la prendono con Rocco

Fu proprio l’intervento di Pellegrino a frenare le attività di Rocco Dedda scatenando l’ira di Emiliano Francavilla, deciso a ripristinare quanto prima il pagamento delle tangenti al proprio clan. “Rocco sta cacato sotto… – dice Curcelli alla Giampietro in un’altra intercettazione -. Il messaggio è stato chiaro e forte… Emiliano ha detto a Rocco: Ti levo da mezzo”.

La settima guerra di mafia a Foggia

Il via “alle danze” risale all’autunno del 2015, quando riesplose lo scontro tra Sinesi-Francavilla e Moretti-Pellegrino-Lanza per il “controllo del territorio”.

13 settembre 2015: agguato a Mario Piscopia, 35enne vicino ai Moretti. Ferito mentre rincasava a bordo di un motorino. In due gli spararono in via Manfredonia ma se la cavò.

17 ottobre 2015: agguato sulla circumvallazione ai danni di Vito Bruno Lanza, “u lepre” 62 anni, uno dei capi della batteria Moretti-Pellegrino-Lanza. Lanza fu sorpreso da tre killer che esplosero colpi da una Golf. Il boss era invece a bordo di una utilitaria. Rimase ferito ma evitò la morte. Per quell’agguato furono arrestate due persone: Luigi Biscotti, 40enne nipote del capo-clan Roberto Sinesi detto “lo zio” e Ciro Spinelli, 29 anni, anche lui ritenuto dagli inquirenti appartenente ai Sinesi.

21 novembre 2015: attorno alle 17 in via della Repubblica, Mimmo Falco, 31enne vicino ai Sinesi-Francavilla fu colpito alla schiena da 4 pistolettate ma riuscì a scampare alla morte.

7 gennaio 2016: gambizzato in via Petrucci (rione Candelaro) Michele Bruno, 35enne del clan Moretti.

23 gennaio 2016: alle 14 e 30 in via Capitanata trovò la morte Rocco Dedda sull’uscio della sua abitazione. Responsabili dell’agguato due persone con caschi integrali, giunti sul posto della sparatoria a bordo di una moto.

6 settembre 2016: eclatante agguato al boss Roberto Sinesi, ferito al petto da un colpo d’arma da fuoco. Con lui in auto, la figlia e il nipotino, anche quest’ultimo ferito. L’agguato al rione Candelaro, nel primo pomeriggio. Ben 20 i colpi esplosi da pistole e mitragliette. Bimbo e boss se la cavarono. Sinesi riuscì a superare un delicato intervento chirurgico.

29 ottobre 2016: mattanza nel bar H24 di via San Severo attorno alle 15 e 30. Killer uccisero il 21enne Roberto Tizzano e ferirono l’amico, Roberto Bruno, entrambi vicini ai Moretti. Un terzo soggetto, Giuseppe Albanese, scampò all’agguato. Tra il dicembre 2017 e l’estate 2018, la polizia riuscì ad arrestare i presunti esecutori e mandanti di quell’agguato. Tutti uomini del clan Sinesi-Francavilla, tra i quali Francesco Sinesi, figlio del capomafia Roberto.

Va detto che attualmente sono in cella tutti i maggiori boss dei due clan: ovvero Roberto Sinesi, suo figlio Francesco, Emiliano e Antonello Francavilla, Rocco Moretti e suo figlio Pasquale e infine Vincenzo Antonio Pellegrino.

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Società Foggiana, ecco chi comanda ora. Scalata al potere dei Moretti, sostenuti da camorra e ‘ndrangheta. “Sinesi in difficoltà”

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di FRANCESCO PESANTE

“Il quadro criminale della provincia di Foggia è quello che desta maggiore allarme sociale”. Ad affermarlo, senza mezzi termini, gli uomini della Direzione Investigativa Antimafia nella relazione relativa al primo semestre 2017 e pubblicata in queste ore. “Nel Foggiano – spiegano – andranno fatti più investimenti in termini di personale da impiegare nel dispositivo di contrasto”.

Secondo la DIA, “l’assenza di un organo verticistico condiviso che possa dettare una strategia unitaria determina uno stato di costante fibrillazione all’interno delle singole aree, cui concorrono diversi fattori, tra cui, anche in questo caso, l’abbondanza di giovani leve. Massiccia la presenza di armi come anche il radicato vincolo dei sodalizi con il territorio, che favoriscono un contesto ambientale omertoso e violento, dove continuano a registrarsi efferati omicidi. La provincia resta, infatti, una delle poche realtà segnate dalle consorterie mafiose a non aver fatto registrare la presenza di collaboratori di giustizia e quella con il maggior numero di omicidi non scoperti.

Anche l’area garganica si conferma instabile, in ragione di una serie di variabili che influenzano, da tempo, l’evoluzione del fenomeno, tra cui ricorre la presenza di giovani emergenti, nonché la vicinanza geografica con le realtà mafiose di Foggia e Cerignola. Proprio su Cerignola insistono delle radicate formazioni criminali, la cui solidità è percepibile, oltre che dal consistente numero di affiliati, anche dalla meticolosa organizzazione delle attività illecite, in diversi casi perpetrate fuori regione. Ci si riferisce ai furti e alle rapine realizzati in Emilia Romagna e su cui è stata fatta luce dalla Polizia di Stato nell’ambito dell’operazione “Wine & Cheese”.

Oggi l’Immediato concentra la sua attenzione sulla città di Foggia alla quale la DIA ha dedicato un intero capitolo. Eccolo.

Foggia: due clan ai ferri corti

Come raccontato a più riprese su questa testata, la città di Foggia continua ad essere segnata dalla contrapposizione tra le batterie mafiose dei Sinesi-Francavilla e Moretti-Pellegrino-Lanza. “Le conseguenze – si legge nella relazione -, legate al violento scontro tra le due consorterie – che non ha risparmiato anche elementi apicali e storici della mafia foggiana – non solo hanno avuto effetti interni alla città di Foggia ma potrebbero avere ripercussioni, anche violente, sullo scenario dell’intera provincia. Il rischio che i contrasti tra le consorterie foggiane possano in qualche modo ripercuotersi sul resto della provincia – dove le stesse contano appoggi e sinergie storiche con i differenti sodalizi autoctoni – è un corollario più che potenziale da tenere in considerazione nello sviluppo delle dinamiche criminali della Capitanata.

Tale precarietà, che condiziona gli assetti strutturali, si manifesta nell’incapacità di fronteggiare le criticità conseguenti alla detenzione carceraria dei sodali, ai continui interventi preventivi e repressivi da parte della Magistratura e delle Forze di Polizia e alle sovrapposizioni dei clan nella gestione degli affari illeciti sul territorio, dovute all’assenza di un organo condiviso tra le consorterie mafiose foggiane già federate nella Società.

Per quanto attiene alle dinamiche interne ai clan, il gruppo Sinesi-Francavilla starebbe attraversando un momento di estrema difficoltà: fortemente indebolito e sostanzialmente impossibilitato ad agire per la detenzione dei suoi vertici (come ad esempio lo “zio” Roberto Sinesi ed Emiliano Francavilla, ndr), sembra risentire anche della progressiva mancanza di appoggio da parte dei sodalizi alleati. Anche per tali ragioni l’equilibrio del clan appare messo in discussione ed esposto a riassetti radicali, tali da determinare ripetuti e ciclici contrasti. Nel mese di gennaio proprio una donna di riferimento del clan è stata destinataria, assieme ad altri cinque soggetti, di un’ordinanza di custodia cautelare per furto e ricettazione: al gruppo sono contestati diversi furti perpetrati in città, tra il 2011 e il 2015, in danno di numerosi esercizi commerciali”.

Per la DIA “è in questo contesto fluido ed allo stesso tempo instabile che il clan Moretti-Pellegrino-Lanza tende ad affermarsi sul territorio anche con manifestazioni violente. Una forza operativa che gli deriverebbe dai collegamenti, sempre più stretti, con la consorteria Trisciuoglio-Prencipe-Tolonese e dalla capacità dei referenti del sodalizio di interagire non solo con molti gruppi di San Severo e del Gargano, ma anche calabresi (‘ndrangheta) e campani (camorra)”.

Omicidio Sponsillo

E ancora: “Sotto il profilo dell’azione di contrasto, è rilevante l’operazione “Brothers” del mese di maggio, a seguito della quale l’Arma dei Carabinieri ha proceduto all’arresto di due foggiani (risultati collegati ad esponenti di vertice del clan Moretti-Pellegrino-Lanza) ritenuti responsabili, in concorso, di rapina. In questo scenario complesso non sono mancati, anche nel semestre, degli omicidi eclatanti, come quello di un incensurato, vittima, nel mese di giugno, di un agguato in pieno stile mafioso. L’uomo, apparentemente estraneo a contesti di criminalità organizzata, è stato sorpreso dai sicari nei pressi di un cantiere edile dove era impiegato come guardiano”.

“Sul piano generale – concludono nella relazione -, la criminalità foggiana, oltre a prediligere il racket delle estorsioni con particolare riguardo – come sopra evidenziato – al settore edile, continua ad essere attiva nelle rapine e ad investire negli stupefacenti, contesto in cui interagisce anche con altre realtà criminali della provincia (sanseverese, garganica e cerignolana)”.

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