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Nubili e a disposizione dell’organizzazione criminale per matrimoni fittizi tra Foggia e Marocco. I carabinieri hanno scoperchiato un sistema collaudato tra Nord Africa e Capitanata per far sì che cittadini marocchini ottenessero il permesso di soggiorno in Italia. Giro d’affari tra 7mila e 10mila euro a matrimonio. Circa 2mila euro destinati all’italiano che si metteva a disposizione per le nozze. Anche di più (2500, 3mila) se si trattava di una donna.
Nelle carte dell’operazione “Casablanca” (145 pagine di ordinanza) si parla di “favoreggiamento illegale dell’immigrazione anche con riferimento a ingressi nel territorio dello Stato dello straniero per finalità diverse da quelle in relazione alle quali quest’ultimo abbia presentato richiesta di visto, mediante false attestazioni o producendo documentazione falsa relativa agli effettivi motivi del soggiorno in Italia”. Grande capo del gruppo, Moustafa Boughazi alias Bruno, nato in Marocco nel 1984. Lui e i suoi complici connazionali, Azeddine Khnifri alias Andrea, classe ’87 e Rachid Elaissaoui alias Marco, classe ’82 contattavano a Foggia delle donne nubili alle quali proponevano del denaro per contrarre matrimonio con dei soggetti marocchini in modo da consentire il rilascio del permesso di soggiorno. 19 gli arrestati in “Casablanca”, come raccontato dagli uomini dell’Arma in conferenza stampa. In manette anche alcuni “finti sposi”.
Genesi dell’indagine
Tutto nacque in seguito ad una nota dell’Ambasciata di Rabat pervenuta presso la Procura nella quale si segnalava che una cittadina italiana, di Manfredonia, Elisabetta S., aveva richiesto, in Marocco, un certificato di idoneità matrimoniale di un cittadino marocchino Yassine Bichri mostrando una busta paga apparentemente non veritiera. Episodio che consentì agli inquirenti di ritenere che si trattava di un matrimonio “di comodo”. Al fine di chiarire la vicenda, pertanto, fu ascoltata la donna che confermò di essersi recata in Marocco, nell’aprile 2015, al fine di contrarre matrimonio con un cittadino marocchino.
La manfredoniana fornì una versione dei fatti inizialmente reticente per poi chiarire di essersi recata nel paese africano in quanto le era stata offerta la somma di 2.500 euro per contrarre matrimonio con un cittadino marocchino con il quale si era sentita telefonicamente ma che non aveva mai visto. Elisabetta S. precisò che tale proposta era stata avanzata da Leonardo Rodriquens, suo conoscente, che si era recato presso la sua abitazione e le aveva proposto di contrarre matrimonio col marocchino al fine di consentirgli di acquisire il permesso di soggiorno e permanere in Italia. Rodriquens precisò che si sarebbe occupato lui di ogni incombenza insieme alla sorella Antonella (agli arresti così come il fratello, ndr).
Subito dopo la donna iniziò a ricevere messaggi da tale Larbi che si trovava in Marocco e, inoltre, insieme a Rodriguens si recò a Foggia dove incontrò un cittadino marocchino, che parlava bene l’italiano e che si presentava con il nome di Bruno. Elisabetta S. precisò che Bruno parlava con lei ma che in alcune occasioni si era appartato con Rodriquens con il quale aveva scambiato delle parole in privato. Elisabetta S. iniziò ad avere contatti telefonici anche con Bruno e la settimana successiva si recò a Foggia per firmare dei documenti necessari al rilascio di alcuni certificati utili per recarsi in Marocco ed ottenere i permessi e, in particolare, i suoi certificati anagrafici. La donna, subito dopo, si procurò il passaporto con il denaro che le era stato consegnato da Bruno. Ritirato il passaporto Elisabetta S. ne diede conferma sia a Rodriquens che a Bruno e, pertanto, ricevette il biglietto per recarsi, il 4 maggio 2016, a Casablanca da Napoli. Il giorno prima della partenza la donna incontrò Bruno a Foggia e dall’uomo ottenne una busta con dei documenti, l’originale del biglietto aereo e i soldi necessari per recarsi da Foggia fino a Napoli.
La donna precisò che anche un’altra sua conoscenza, Pina P., sempre di Manfredonia, si era mostrata favorevole a sposarsi con uno sconosciuto di nazionalità marocchina al fine di consentirgli di ottenere il permesso di soggiorno.
Durante il soggiorno in Marocco Elisabetta S. fu ospite di Albi e della sorella ed incontrò un altro cittadino italiano di San Severo, Claudio De Gelidi, che era lì per lo stesso motivo e con le medesime conoscenze. Elisabetta S. si recò in ambasciata a Rabat insieme al ragazzo con il quale doveva contrarre matrimonio ma gli addetti dell’ambasciata accortisi che i documenti erano falsi, rifiutarono il rilascio dei documenti richiesti. La donna precisò di aver consegnato la busta datale il giorno prima da Bruno all’Ambasciata e di non sapere cosa vi fosse al suo interno. In seguito a tali problemi il ragazzo marocchino di nome Larbi pretese di cancellare le foto ed i messaggi occorsi tra loro e, solo in seguito, dopo qualche giorno in Marocco la ragazza fece rientro in Italia con un biglietto pagato proprio dalla sorella di Larbi. Elisabetta S. tornò a Napoli e fece rientro a Manfredonia accompagnata da Matteo P. Subito dopo la donna contattò Bruno pretendendo il recupero del denaro speso per far rientro a Manfredonia, ma quest’ultimo le intimò di non dire nulla e di non parlare e, quindi, di non occuparsi più di tale vicenda.
Al fine di comprovare quanto raccontato da Elisabetta S. venne estrapolata la copia forense del suo cellulare che consentì di individuare le telefonate e le chat intrattenute con i soggetti indagati nei giorni indicati e in tal modo, si ebbe un riscontro oggettivo a quanto dalla donna raccontato.
Accertata la falsità dei documenti prodotti in Ambasciata dalla donna e, in particolare, la busta paga del tutto falsificata, iniziò a profilarsi la possibilità che vi fosse un gruppo di soggetti, a Foggia, i quali contattavano delle donne nubili alle quali proponevano del denaro per contrarre matrimonio con dei soggetti marocchini in modo da consentire il rilascio del permesso di soggiorno.
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La conferenza stampa per l’operazione “Casablanca”
Il ruolo dei fratelli Rodriquens
Leonardo e Antonella Rodriquens “si sono dimostrati – scrive il pm Laura Simeone – i più fidati collaboratori dei cittadini stranieri per reperire, sul territorio di Manfredonia, cittadini italiani disposti a contrarre matriminio dietro compenso di denaro. Essi infatti reclutavano le donne italiane e incontrandosi con Boughazi o con Khnifre fornivano aiuto nel reperire i documenti necessari e nell’organizzare i viaggi, oltre che nel convincere gli italiani a contrarre matrimonio dietro il pagamento di una parte del compenso che, come emerge dalle intercettazioni, essi concordavano con Boughazi”.
“Non ricordo la data del mio matrimonio”
Durante le indagini, venne pizzicato anche il sanseverese Giuliano Paglialonga, 30enne (tra coloro finiti ai domiciliari). Nel verbale delle spontanee dichiarazioni rese alla Polizia Municipale il 18 giugno 2016 da Paglialonga, l’uomo, dopo avere risposto di essere disoccupato e di vivere con i suoi genitori, alla domanda se fosse sposato rispose: “Si, sono sposato con Latifa Himmi, mi sono sposato in Marocco, e non ricordo la data del mio matrimonio”.
Fidanzata vera e moglie falsa
Tra gli arrestati anche il cerignolano Matteo Stranisci, classe ’66. L’uomo accettò, su proposta di Bruno, di fare una residenza fittizia assieme alla marocchina Mina, in maniera da agevolarla nell’ottenimento del permesso di soggiorno. Bruno disse che in un paio di mesi avrebbero risolto tutto e consigliò a Stranisci di scegliere una casa fuori da Foggia e di affacciarsi ogni tanto, quando era libero. Sempre il marocchino aggiunse di non preoccuparsi per i soldi del fitto perché avrebbero pagato tutto “loro”, anche i biglietti del treno per raggiungere casa. Stranisci, però, disse che preferiva portarsi la residenza in un appartamento a Foggia perché aveva già una relazione con un’altra donna foggiana, prima ancora che iniziasse l’affare del matrimonio con Mina.
La cattiva reputazione di “Bruno”
Stranisci raccontò a Bruno che stava avendo dei problemi con il proprietario di casa che non voleva Mina nell’appartamento. Il cerignolano aggiunse che il proprietario di casa era a conoscenza del fatto che Mina si trovava nell’appartamento in quanto c’era Bruno di mezzo e, conoscendolo, non voleva avere “certa gente” a casa sua. Bruno allora gli rispose che doveva resistere un altro po’ e poi gli chiese se Mina gli avesse dato altri soldi. L’italiano rispose che la donna non aveva più pagato nulla e Bruno lo rassicurò dicendo che avrebbe parlato con lei. Stranisci, però, era preoccupato sia perché stava per arrivare la sua vera compagna e non voleva che le due donne stessero assieme, e sia perché, con i problemi che il proprietario di casa gli stava creando, non voleva rimanere ancora una volta senza una casa e senza un lavoro. Per non perdere tutto ciò era disposto anche a rinunciare al resto del compenso pattuito.
Finte convivenze in caso di controlli
In ognuno dei casi accertati dagli investigatori è emersa “la consapevolezza della simulazione del matrimonio da parte degli indagati”. I soggetti arrestati si contattavano per organizzarsi “in caso di controlli delle forze dell’ordine circa l’effettiva condizione di convivenza che non era mai reale e, soprattutto, parlavano esclusivamente e in modo chiaro del compenso pattuito e delle sue modalità di versamento e divisione dello stesso, dimostrando la sussistenza del fine di lucro”.
Per gli inquirenti, “il fulcro di tali attività erano i tre marocchini ai quali tutti si rivolgevano anche per risolvere le questioni attinenti la locazione degli immobili o i documenti. Faccende che venivano risolte dagli stranieri stessi che contattavano direttamente i Comuni competenti”.