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A Foggia la “quarta mafia”: omicidi, stragi e lupare nel focus di TV7

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Focus di TV7, rotocalco del Tg1, sulla mafia foggiana. Ieri sera l’approfondimento dopo quanto accaduto negli ultimi mesi, soprattutto sul Gargano. Filmati e testimonianze su quella che è definita la “quarta mafia”. Forse meno “cinematografica” di altre – come ha detto l’ex questore, Piernicola Silvis nel corso della trasmissione – ma tra le più spietate. In esclusiva TV7 ha trasmesso il video dell’agguato mortale del 21 giugno scorso ad Apricena, dove un commando armato uccise Nicola “mezzo chilo” Ferrelli, 40 anni e suo zio, Antonio Petrella, 54 anni. Nelle immagini si notano tre killer scendere dal proprio veicolo per avvicinarsi al Fiat Doblò – con dentro le vittime – e fare fuoco. Pochi attimi per completare una mattanza. Seguiranno altre morti, come l’omicidio di Matteo Lombardozzi a San Severo il 15 luglio, l’uccisione di Omar Trotta il 27 luglio a Vieste davanti a numerosi turisti in un locale del centro storico e, infine, la strage del 9 agosto a San Marco in Lamis dove trovarono la morte il boss Mario Luciano Romito, suo cognato e due contadini innocenti.

Omicidi, stragi, ma anche lupare bianche. E qui le telecamere si spostano a Mattinata dove da oltre un anno non si hanno notizie del giovane Francesco Armiento.

Il giornalista Alessandro Gaeta con Pierpaolo Fischetti e Luisa Lapomarda

“Dal primo giorno della scomparsa, non c’è stata alcuna speranza – ha detto la madre, Luisa Lapomarda -. Quello che è successo non è giusto. Ci hanno distrutto. Non hanno distrutto solo Francesco ma un’intera famiglia. Ora chiedo che le indagini possano continuare. Non siamo in una metropoli”.

Con lei, il suo avvocato, Pierpaolo Fischetti: “Il nostro territorio è sconcertante. In una popolazione di soli 7mila abitanti contiamo almeno un morto all’anno. Bisogna intervenire al più presto. Noi di certo non abbandoneremo mai nessun campo e nessuna scena, alla ricerca della verità”.

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Strage San Marco, chi ha ucciso il boss Romito? La verità si cela in un video

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Il boss Romito ucciso nelle campagne di San Marco in Lamis

Mario Luciano Romito

Si fa largo l’ipotesi di una guerra tra i Romito e i clan dell’Alto Tavoliere per il controllo del territorio e del traffico di droga. Questo emergerebbe dalle indagini sulla strage del 9 agosto scorso a San Marco in Lamis dove trovarono la morte il super boss Mario Luciano Romito, suo cognato Matteo De Palma e i due contadini innocenti, Luigi e Aurelio Luciani. Elementi di rilievo starebbero venendo fuori dall’analisi del video dell’agguato di Apricena del 21 giugno scorso, quando furono trucidati senza pietà Antonio Petrella, 54 anni e il nipote Nicola Ferrelli, 40 anni mentre erano a bordo di un Fiat Doblò. Due dei tre killer che si notano scendere da una station wagon per fare fuoco contro i due bersagli, sarebbero – stando alla statura e alla stazza – persone riconducibili proprio ai Romito. Luogotenenti del boss attivi soprattutto tra Manfredonia e Mattinata. Uno in particolare, risulterebbe alto oltre il metro e novanta (il primo da sinistra). Quanti sicari del Gargano sono così alti? Davvero pochi.

La morte di Romito, avvenuta sei giorni dopo la sua scarcerazione, sarebbe proprio una risposta all’agguato di Apricena. Il boss potrebbe aver pagato a caro prezzo la sua voglia di espandersi e di riprendere il controllo del traffico di stupefacenti, molto attivo tra Gargano e Albania. D’altronde i Romito dominavano la scena negli anni ’90, gestendo il business “da costa a costa” soprattutto per il contrabbando di sigarette. Secondo i bene informati, il capomafia si stava organizzando per tornare a comandare l’area garganica, favorito dal vuoto di potere a Monte Sant’Angelo e dalla situazione caotica a Vieste, dove è in corso una faida tra vecchie e nuove leve della criminalità locale.

I contadini scambiati per uomini del boss

I fratelli Luciani

Testimoni inconsapevoli o tragico scambio di persone? Sulla morte dei contadini Luigi e Aurelio Luciani il rebus è ancora tutto da sciogliere. Ma nelle ultime ore gli investigatori sembrerebbero propendere per la seconda opzione. I due sarebbero stati scambiati per un’altra coppia di fratelli, sempre sammarchesi, ritenuti luogotenenti di Romito in quella zona del Gargano e che, per puro caso, solevano girare con lo stesso furgone dei due sfortunati agricoltori. Il boss aveva referenti in quasi tutti i paesi dell’area garganica. In particolare a Mattinata, Monte Sant’Angelo e, appunto, San Marco in Lamis. 

“Un vertice unico”

Durante un approfondimento di TV7, rotocalco del Tg1, è stato intervistato anche il commissario di polizia di Manfredonia, Agostino De Paolis. Al giornalista Alessandro Gaeta, De Paolis ha spiegato che sul Gargano ci sarebbero in atto dei “tentativi di unificare i gruppi criminali eliminando determinati ostacoli e controllando, attraverso un vertice unico, tutte le attività illecite e criminali”. Ma per fare questo bisogna “risolvere vecchi contrasti e antiche ruggini”, ha aggiunto il dirigente di polizia.

Concorsopoli, il docente Unifg: “Candidato è mio e deve andare avanti”. Quel legame con Ricucci

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Tra i sette arrestati di oggi sulla “concorsopoli” all’Università, spicca Guglielmo Fransoni (in foto sopra), 53 anni, dal 2008 docente ordinario di Diritto tributario nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Foggia. Nel 2006-2007 è stato presidente del corso di laurea in Consulente del lavoro. Nel biennio 2010-2011 è stato eletto, come rappresentante nel senato accademico dell’Ateneo. Laureato in giurisprudenza oltre che in economia e commercio, l’avvocato d’affari nato a Vibo Valentia e iscritto all’albo di Roma, è stato uno dei più stretti collaboratori del noto immobiliarista, Stefano Ricucci. Nel febbraio 2005 il professore fu bloccato al confine con la Svizzera, a Ponte Chiasso, mentre in compagnia di Luigi Gargiulo, altro stretto collaboratore di Ricucci, cercava di portare in Italia una valigetta piena di titoli e di documenti relativi alle società off shore dell’immobiliarista romano.

Le registrazioni

Dalle registrazioni fatte da uno dei candidati esclusi dal concorso sulla base di precise logiche clientelari, emergerebbe uno spaccato in cui a prevalere è il “do ut des”. In una di queste, il candidato discute con Guglielmo Fransoni, commissario, e col professor Pasquale Russo. Quest’ultimo afferma che “ogni professore aiuta l’altro, perché è chiaro che se il professore di procedura civile dice: ‘Scegliamo il miglior tributarista in assoluto’, rischia che poi il tributarista dice: ‘Scegliamo il miglior processualista in assoluto’ e che quindi…eee…allora tutti quanti hanno convenienza a dire ‘no, certo, il tributarista deve essere il tributarista tuo’ eh, perché così l’altro, il tributarista dice: ‘No, certo, caro collega…egregio…esimio collega, il processual civilista sarà il tuo allievo’ e quindi si aiutano a vicenda”.

In un’altra registrazione, invece, spunta il “vile commercio dei posti”. Fransoni afferma che “non è che si dice ‘è bravo o non è bravo (il candidato, ndr)’…no si dice ‘questo è mio, questo è tuo, questo deve andare avanti’”. Nelle registrazioni, poi, c’è l’analisi del professor Russo relativamente all’esclusione del candidato. Russo spiega che i criteri di selezione sono “del vile commercio dei posti”. Il professor Russo non ha esitato a raccontare che, nel passato, i “principi” invocati dal suo interlocutore “anche lui se li era messi sotto i piedi, avendo favorito” alcuni candidati al posto di quelli più meritevoli, nel tentativo di ottenere, successivamente, l’abilitazione dei candidati a lui riconducibili (“nella speranza poi di poter avere un po’ di spazio per i miei”).

Mafia Mattinata: vogliono edificare su un torrente, l’ombra del clan dietro lottizzazione

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Nuovo capitolo sulla criminalità a Mattinata, dove da oltre tre mesi sono in corso i lavori della Commissione di accesso agli atti. Presunte infiltrazioni criminali potrebbero portare allo scioglimento del Comune come già successo a Monte Sant’Angelo. Tra i faldoni finiti sotto l’analisi dei commissari ci sono anche quelli relativi alle lottizzazioni. Una in modo particolare, per la quale da tempo si starebbe facendo di tutto pur di costruire, modificando progetti in attesa che qualcuno autorizzi a edificare.

Ci sarebbe l’ombra del clan della zona dietro la lottizzazione Lamione. L’area interessata si estende su un terreno che presenta una parte centrale attraversata da un fondovalle e da due adiacenti versanti dove sono sistemate le costruzioni, come nell’immagine sotto. 

Il Comune di Mattinata ha commissionato uno studio per verificare la pericolosità idraulica dell’intero territorio comunale. Risultati dello studio consegnati ufficialmente nel maggio 2016 e che presentavano questa situazione.

Successivamente, nel novembre 2016, sono state presentate delle tavole sostitutive, dove la situazione di rischio è stata così modificata.

C’è il sospetto che la situazione di rischio sia stata modificata senza alcuna richiesta e senza giustificazioni perché, nel primo studio del maggio 2016, interessava alcuni edifici della lottizzazione e quindi la stessa non avrebbe potuto avere parere favorevole dall’Autorità di Bacino.

Da segnalare che i tecnici incaricati dal Comune, nello stesso periodo di espletamento dell’incarico comunale, hanno effettuato prestazioni professionali per conto dei lottizzanti tra cui figura l’ingegnere Lorenzo d’Apolito, cognato dell’attuale sindaco, Michele Prencipe. Il dirigente dell’ufficio tecnico precedente non ha mai voluto firmare quelle carte ma poi è stato trasferito altrove.

Appare quantomeno singolare che si tenti a tutti i costi di far passare un progetto di lottizzazione su un torrente. Una strana pervicacia nel voler modificare a più non posso letti e corsi d’acqua. Il tutto attraverso continue modifiche al perimetro dell’area (con continui – e leggeri – restringimenti) sulla quale edificare. Inoltre in una zona dove è presente una specifica macchia mediterranea e dove sorgono determinate piante, introvabili altrove. 

D’altronde in quella valle – a ridosso della caserma dei carabinieri – gli interessi non sono mai mancati. Terreni che varrebbero molti quattrini e sui quali si vuole edificare nonostante i vincoli idrogeologici. Inoltre non si sarebbe tenuto conto della particolarità della zona, dove – come detto – sboccerebbe una pianta rara. I commissari intervenuti per le presunte infiltrazioni criminali hanno chiesto conto anche di questo. Già cinque anni fa, gli interessi del clan locale si spostarono su quella valle, con tanto di pressioni verso i dirigenti comunali per il mancato rilascio dei permessi. Fece scalpore, all’epoca, l’irruzione di soggetti pregiudicati nelle stanze comunali per convincere chi di dovere a sbloccare le attività.

Farmaci dopanti smerciati in pub e bar, testimonianze e intercettazioni di “Spartacus”

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Liste di clienti, rendiconti, bar e pub di Foggia dove mostrare i farmaci illegali. “Un mondo particolare dove circola di tutto”, le parole del pm Laronga per descrivere l’ambiente del culturismo nel capoluogo dauno. Dalle carte dell’operazione Spartacus spunta nel dettaglio il business messo in piedi dai 4 uomini arrestati la scorsa settimana da polizia e Guardia di Finanza: Maurizio Caricchia, Domenico Bruno, Gianfranco Abazia e Jonata Rinaldi, i primi tre foggiani, il quarto di Manfredonia.

Nell’ordinanza le parole di Domenico Bruno: “Circa 4 anni fa ho conosciuto in palestra Maurizio Caricchia. Ero a conoscenza che faceva uso e commercializzava sostanze dopanti, mi ha chiesto di aiutarlo nel procacciare altri atleti che avessero bisogno di queste sostanze per la preparazione a gare di body builing. Io sono riuscito a segnalargli 10 persone”. 

“Poi, dopo la morte di Racano, Caricchia ha cominciato a temere qualche perquisizione. Pertanto a fine maggio 2016 mi chiese il piacere di custodire i farmaci dopanti che smerciava tra i quali ci sono quelli rinvenuti nel mio locale. Successivamente Caricchia riuscì a convincermi dicendo che nella peggiore delle ipotesi sarebbero venuti solo a casa mia e non negli altri locali che sono nella mia disponibilità”.

E ancora: “Facevo da tramite tra Caricchia e i richiedenti ai quali ho consegnato le sostanze e loro mi elargivano il dovuto che poi consegnavo a Caricchia. Ricordo che i farmaci li andavo a prelevare nel bar di Caricchia”.

Frase di un culturista intercettata il 25 aprile del 2016: “Caricchia è venuto da me e mi disse: ‘ti serve il testosterone ad acqua?’” Poi lo stesso culturista, testimone nell’inchiesta Spartacus, ha rivelato di sapere che Caricchia da “tanti anni gravita nel mondo dei body builder e che fa uso e vende sostanze anabolizzanti”.

15 maggio 2016, Caricchia con un borsone in compagnia di Vincenzo Dattoli (arrestato in flagranza il 10 giugno 2016) sul retro di un ristorante in Calabria. Il foggiano poi uscì col borsone completamente vuoto. In un marsupio di Caricchia la scritta: “Vincenzo 1500 euro”, la somma che in quel momento possedeva l’indagato.

Nella testimonianza di un culturista si fa riferimento anche ad Abazia: “Conosco Gianfranco Abazia perché ho frequentato qualche volta il pub che lui gestisce a Foggia. Mi propose l’acquisto di sostanze dopanti. Quando raggiunsi la cassa nel suo pub, una sera, per pagare, mi mostrò alcuni farmaci dopanti che conservava all’interno di un frigorifero e in particolare fiale per la crescita di muscoli”. 

Su Abazia pesano anche le 13 schede di allenamento e 6 di alimentazione rinvenute dagli investigatori nonché un sms inviato a persona estranea all’inchiesta: “Prodotti arrivati, domani puoi venirli a ritirare al pub”. Per Jonata Rinaldi, manfredoniano, “parlano da soli i diversi luoghi di rinvenimento di sostanze dopanti, a cominciare dalla palestra da lui gestita”.

Il gip scrive di un “lungo elenco di medicinali rinvenuti all’esito delle perquisizioni eseguite rispettivamente nei confronti di Caricchia, nella sua abitazione e in un garage di via Ruggiero Grieco di pertinenza di un familiare. Di Domenico Bruno presso la sua abitazione e in un garage/palestra di via Natola di proprietà di un familiare. Di Gianfranco Abazia presso la sua abitazione. Infine, di Jonata Rinaldi presso due suoi appartamenti, un’auto e presso la palestra ‘Sport Village’ da lui gestita”.

Omertà e sangue sul Gargano, il focus di Nemo. A Mattinata esplode caso Pd

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Trocchia aggredito

Dal pentito Antonio Niro che si rifiutò di uccidere il pm Gatti per conto della Società Foggiana passando per la mafia a Mattinata, fino alla strage di San Marco in Lamis. Senza dimenticare la parentela del segretario del Pd mattinatese, Libera Scirpoli, sorella del pregiudicato Francesco Scirpoli. Tutti temi dibattuti da mesi in esclusiva su l’Immediato e finiti ora – finalmente è il caso di dire – alla ribalta nazionale. Merito dell’attenzione che la trasmissione di Rai 2 “Nemo” ha dedicato alla provincia di Foggia sulla scorta degli approfondimenti di questa testata. Ieri sera il focus del giornalista Nello Trocchia che in estate giunse sul Gargano per un servizio sulle infiltrazioni criminali a Mattinata (dove è presente la commissione d’accesso agli atti). Proprio quel giorno a Vieste fu ucciso il giovane Omar Trotta nel suo ristorante “L’antica bruschetta”. Per quell’episodio il giornalista si recò in fretta nella “capitale del Gargano” dove sul luogo del delitto fu “accolto” malamente da un individuo che si scagliò contro Trocchia, aggredendolo con calci e spintoni. Nel servizio si vede parte della colluttazione.

Trocchia intercetta in auto Scirpoli e Gentile, quest’ultimo alla guida

Un focus nudo e crudo su quanto pubblicato da mesi dalla nostra testata in splendida solitudine. Trocchia ha raccontato anche le estorsioni di Antonio Quitadamo detto “Baffino” verso un uomo originario di Monte Sant’Angelo che acquistò una masseria a Mattinata per passare l’estate in un territorio “gestito” dal malavitoso. La vittima, residente in Germania, denunciò “Baffino” e quest’ultimo, dopo un breve periodo di latitanza, si è consegnato di recente ai carabinieri. Di assoluto rilievo, poi, l’incontro tra il giornalista e Francesco Scirpoli, intercettato mentre era in auto con Francesco Pio Gentile (detto rampinopassaguai), entrambi pregiudicati, arrestati lo scorso anno nell’operazione “Ariete”. I due, ritenuti dalle forze dell’ordine luogotenenti del clan Romito su Mattinata, hanno evitato le domande del cronista, dileguandosi dopo un breve scambio di battute. A Mattinata, inoltre, non è mancata la struggente testimonianza di Luisa Lapomarda, madre di Francesco Armiento, il giovane vittima di lupara bianca lo scorso anno. “Mio figlio è morto. E credo sia stato ucciso subito. Sono quasi certa che abbia sofferto prima di morire e che io sia stata l’ultima persona alla quale ha pensato. Quando si sta per morire l’ultima parola è per la mamma”. 

Gli arrestati nell’operazione Ariete

“La mafia garganica più uccide e meno se ne parla”, il titolo del servizio di Trocchia. Non ne parlano nemmeno i residenti – sempre più omertosi – sentiti da Trocchia. “Ma quale mafia!” dice qualcuno. “Non esiste nessuna mafia qua”, replica qualche altro. Una ragazza aggiunge: “È comodo stare zitti”. Non ne esce bene nemmeno il sindaco Michele Prencipe: “Su Mattinata la mafia a livello comunale pesa niente (eppure c’è la commissione d’accesso agli atti, ndr). Lupara bianca? Ne sono scomparsi di ragazzi anche prima di Armiento”. “Ma quella è mafia!”, gli risponde Trocchia. “Beh, si…” la replica imbarazzata del primo cittadino.

La chiosa finale, però, è del giornalista e scrittore Aldo Cazzullo, ospite negli studi di “Nemo”. A fine servizio dice perentorio: “Se fossi Matteo Renzi, domani mattina cambierei il segretario del Pd di Mattinata”.

La base in via Fini a Foggia e il vigilante infedele. Intercettazioni di “Last Day”

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Il “chiosco”, così veniva indicato il luogo degli incontri dalla banda di rapinatori sgominata nell’operazione “Last Day”. Un manufatto in muratura e in lamiera gestito da Antonio De Sandi in via Fini a Foggia (traversa di viale Ofanto), utilizzato – si legge sulla maxi ordinanza di quasi 700 pagine – per tenere summit e stringere accordi tra gli indagati e una pletora di ‘operai’ che nel gergo dell’organizzazione criminale fa riferimento a soggetti rapinatori utilizzati per le fasi operative dei singoli colpi da compiere.

La guardia giurata detto “la ragazza”

Ciro De Falco, guardia giurata della Cosmopol di Avellino. Gli inquirenti hanno ipotizzato che egli debba essere identificato come “la ragazza” della quale alcuni indagati parlano al telefono, riferendosi ad un basista che passerebbe informazioni utili circa i possibili “bersagli” delle rapine, in particolare – secondo l’accusa – “comunicando gli spostamenti, i tragitti, gli orari dei veicoli poi presi di mira dalla banda, il denaro di volta in volta trasportato, consigli su come eludere, inibire o aggirare i sistemi di sicurezza adottati dalla Cosmopol”. Riferimenti alla “ragazza” sono contenuti soprattutto nelle conversazioni tra due dei capi della banda, Angelo Carbone e Domenico Cocco.  

I capi: Carbone, Cocco e De Sandi

Proprio Carbone e Cocco sono i due che coordinavano le attività degli associati (qui tutte le foto degli arrestati) e tenevano i contatti col finanziatore Salvatore Della Ratta, con la guardia giurata “infedele” De Falco, con Pasquale Pecorella e con gli albanesi Huqi e Sallaku in occasione del viaggio a Verona e in Germania.

Di primo piano il ruolo anche del foggiano De Sandi che gestiva il chiosco dove si svolgevano i summit. Dopo l’arresto di Carbone sarebbe stato De Sandi a prendere in mano la situazione allacciando contatti con le persone necessarie ai fini del colpo in Germania. In particolare Pecorella e Della Ratta. De Sandi si occupava anche del reclutamento, soprattuto nel territorio di Cerignola.

Intercettazioni

“Una volta che tengo i soldi mi addormento coi soldi. Ma dobbiamo trovare una casa, un posto tranquillo, cioè chi ci viene a portare il mangiare. Che noi non usciamo da là”. A parlare Angelo Carbone, ignaro di essere intercettato dalle microspie della polizia. L’uomo, foggiano, capo dell’organizzazione, già pensava al futuro. Al periodo subito successivo al grande colpo in Germania. 20 milioni di euro, davvero tanti soldi coi quali “sognare” un futuro radioso. Magari dopo un periodo di esilio all’estero. 

Prima della “rapina del secolo”, la banda colpì anche l’Unicredit di Foggia. Bottino intorno ai 64mila euro. Per quell’episodio fu subito arrestato Sabino Di Canosa, 20enne cerignolano, ritenuto esecutore materiale. Ma i soldi non vennero mai recuperati. Quella rapina fu organizzata proprio nel chiosco di De Sandi che in un’intercettazione si lamentò del risultato in quanto i malviventi avrebbero dovuto intascare almeno 180mila euro, e non gli “appena” 64mila. “La banca che ho fatto fare era meglio non l’avessi mai fatta fare. Il lavoro non è andato come doveva andare. Da 180 sono usciti 64mila euro”.

300mila tonnellate di rifiuti seppellite con tecnica “sandwich”. “Vicino a terreni coltivati”

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di MICHELE CIRULLI

Terreni inquinati e da bonificare. Sotto le distese di verde, proprio di fianco a campi coltivati e da cui nascono prodotti da commercializzare, sono stati depositati rifiuti solidi urbani. Le 147 pagine della relazione tecnica del consulente Pasquale Scapicchio, incaricato dai pm Giuseppe Gatti e Renato Nitti nell’ambito dell’inchiesta giudiziaria Black Land, è stata esibita la settimana scorsa nell’ultima udienza del filone foggiano. Circa 300 mila tonnellate di rifiuti nel sottosuolo interrati con la tecnica del “sandwich”, ricalcando un modello già noto e largamente utilizzato dai clan dei Casalesi, come già spiegato dal collaboratore di giustizia Carmine Schiavone prima di morire.

Grandi buchi, alcuni dei quali superano anche i 12 metri di profondità, e poi strati di rifiuti coperti da terra. E poi ancora rifiuti e terra fino a raggiungere la superficie. Mentre il filone barese dell’inchiesta è giunto in Cassazione, dove sono state confermate le due assoluzioni e le restanti condanne a carico di 7 persone, il filone foggiano – nel quale figurano le aziende accusate di aver guadagnato ingiustamente ingenti somme di denaro dal mancato trattamento dell’immondizia sversata illegalmente-  continua pericolosamente a correre sul filo della prescrizione, anche se si è registrata una leggera accelerata con un calendario straordinario di udienze.

Resta però lo scottante tema delle bonifiche, il vero grande interrogativo di una inchiesta che nel 2014 fece scalpore toccando in maniera più sostanziosa le città di Cerignola, Ordona, Apricena. “L’interramento di rifiuti nei siti in oggetto di indagine è stato effettuato in zone che non avrebbero dovuto e potuto essere adibite a ciò, non essendo assolutamente idonee allo scopo e peraltro immediatamente adiacenti a zone agricole coltivate. Tutte le considerazioni elencate – scrive Scapicchio- portano alla necessità di provvedere in tempi rapidi alla bonifica dei luoghi, onde limitare l’impatto ambientale derivante dallo stazionamento ulteriore dei rifiuti in situazioni assolutamente non idonee”.

Oltre i limiti consentiti per legge gli idrocarburi e tricloroetano. Solo che dal 2014, quando è scoppiata l’inchiesta Black Land, in località Cavallerizza ad Ordona e nella zona Diga Capacciotti a Cerignola, dove sono stati ritrovati i maggiori scarichi illegali, la bonifica non è ancora partita. La prescrizione è di destinare quell’immondizia interrata “a discariche per rifiuti (non) pericolosi o a impianti di trattamento termico” o agli inceneritori. Quando tre anni fa i carabinieri del NOE sono giunti nelle cave di proprietà di Gerio Ciaffa (Ordona) e Antonio Pelullo (Cerignola) hanno trovato rifiuti solidi urbani non differenziati, “freschi, interrati da poco per i quali il processo di decomposizione non è ancora o è appena iniziato”.

Ma non solo, perché nel secondo strato, dai 4 metri di profondità in giù, sono stati scoperti RSU “in avanzato stato di decomposizione” perché interrati da più tempo: “aspetto nerastro ed estremamente maleodoranti”, ma soprattutto “caratterizzati dalla presenza di valori di TOC (Carbonio Organico Totale) elevati”. A coprire i vari strati “terreni e sabbie” che “presentano valori analitici superiori ai limiti delle concentrazioni soglia di contaminazione”. L’inquinamento dei terreni, molti dei quali a contatto con campi regolarmente coltivati, “è stato determinato dallo scarico e dall’interramento delle due tipologie di rifiuto descritte”. Ossia dai nuovi (e che nel frattempo sono andati incontro a processi di decomposizione) e i “vecchi” rifiuti.

Nelle viscere della terra è stato ritrovato di tutto:  oggetti in plastica, tubi di gomma, materiali di scarto edili, pneumatici, ma non sempre è stato possibile andare “a fondo”: oltre i 12 metri, difatti, “per ragioni di sicurezza, nelle condizioni di scavo non è stato possibile scendere a profondità maggiori: elevato sarebbe stato il rischio di eventuali crolli”, scrive Scapicchio nella sua relazione tecnica consegnata ai sostituti procuratori Nitti e Gatti. Le attività di carotaggio sono partite già all’indomani del ritrovamento delle discariche abusive in cui l’organizzazione di Ciaffa & Co. ha  nascosto circa 300 mila tonnellate di immondizia per una estensione pari a oltre 11 campi di calcio. La consulenza di Scapicchio, già impegnato per i rilievi in un altro grave delitto ambientale dauno, quello di Giardinetto, esprime una necessità impellente: bonificare le aree le inquinate.

Cassazione conferma condanne e assoluzioni 

Scoppiata nel marzo del 2014, l’inchiesta Black Land servì a definire il traffico illecito di rifiuti tra Campania e Capitanata. Un’organizzazione piramidale, con il dominus Gerio Ciaffa a governare spostamenti, cave, a raccordarsi con aziende di Avellino e Salerno. Insieme a lui Pasquale Del Grosso, brutalmente assassinato nel gennaio dello stesso anno: a processo non ci è mai arrivato perché il suo corpo è stato ritrovato carbonizzato all’interno della sua auto, nell’agro di Ascoli Satriano.

L’inchiesta giudiziaria ha imboccato due filoni: quello barese, giunto in Cassazione, e che ad oggi ha portato a due assoluzioni e condanne da 2 a 4 anni per gli altri imputati; quello foggiano, invece, sembra essere ancora in alto mare. Nelle 150 pagine di sentenza, il gip Marco Galesi racconta gli intrecci della organizzazione individuando in Gerio Ciaffa e Pasquale Del Grosso le menti dell’attività criminale. A corroborare la tesi anche “la dichiarazione pienamente (seppur sinteticamente) confessoria rilasciata da Gerio Ciaffa” in persona.  I rifiuti speciali, prodotti in diversi comuni delle province di Salerno e Caserta, dopo essere stati trasportati nei siti di stoccaggio della ‘Sele Ambiente’ di Battipaglia (Salerno) e della Ilside di Bellona (Caserta) venivano gestiti secondo uno schema così suddiviso: i rifiuti della frazione umida venivano dapprima conferiti all’impianto di compostaggio della Biocompost Irpino di Bisaccia (Avellino), quindi, senza subire alcun trattamento, accompagnati da falsa documentazione, venivano trasportati e gestiti come se si trattasse di ammendante, per essere definitivamente smaltiti mediante ‘tombamento’ in un enorme cratere ricadente su un area agricola a Ordona, gestita dall’Edil C., dove vi era una autorizzazione al ripristino ambientale. Gli automezzi camminavano “sicuri”, perchè sulle documentazioni (Ddt), scrive Galesi, gli scarti illegali risultavano “trasformati magicamente in compost”. I rifiuti della frazione secca venivano, invece, conferiti alla Spazio Verde Plus di Carapelle, sempre in Capitanata, e, dopo essere stati trasportati in un capannone di stoccaggio in località ‘Santa Cecilietta’ di Foggia, venivano sversati illecitamente in aree diverse in Puglia, Campania, Basilicata e Molise. La base operativa era la Ecoball Bat in Carapelle. Tra i componenti della organizzazione anche una persona segnalata dal pentito Carmine Schiavone nella black list presentata nel 1997 alla commissione parlamentare sulle ecomafie.

A costituirsi parte civile sono stati i comuni interessati dagli sversamenti (Cerignola e Ordona in primis) e la SIA srl, che dal mancato trattamento dell’immondizia avrebbe ottenuto minori introiti. La società partecipata del Consorzio di Igiene Ambientale aveva chiesto un indennizzo di 15 milioni di euro, solo che secondo i giudici della prima sezione penale non sono state ritenute più ammissibili le istanze di parte civile presentate da WWF Foggia, ENPA, Centro Studi Naturalistici CSN e, appunto, del Consorzio di Igiene Ambientale Foggia 4, che per conto dei Reali Siti, Cerignola e i tre paesi della BAT (Margherita di Savoia, Trinitapoli e San Ferdinando di Puglia) organizza il sistema di raccolta e smaltimento di rifiuti solidi urbani. A godere della provvisionale da 20 mila euro stabilita dalla Corte saranno i Comuni di Ordona, Apricena, Trani, Carapelle, Cerignola e la società agricola Castel Pagano srl, con risarcimenti che successivamente saranno valutati in apposito procedimenti civile. Secondo prime stime, per bonificare le aree servirebbero almeno 30 milioni di euro.


La cupola che tiene in scacco Foggia. “Imprenditori sottomessi alla mafia”

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di FRANCESCO PESANTE

Omertà, denunce inesistenti e persino rassegnazione. Lo spaccato della provincia di Foggia dato dal Consiglio superiore della magistratura appare sconfortante. Nella risoluzione approvata mercoledì all’unanimità, il Csm parla degli imprenditori locali in “atteggiamento di volontaria sottomissione al fenomeno mafioso”. In buona sostanza sarebbero le stesse vittime a cercare “in prima persona i soggetti appartenenti alla Società Foggiana e alla mafia garganica anticipando le ‘richieste’ dei malavitosi”.

L’omertà è dilagante, come le denunce “pressoché inesistenti” da parte dei cittadini. Problemi che vanno a complicare le indagini. L’80% dei delitti mafiosi, dagli anni ’80 ad oggi, come abbiamo accennato ieri, “sono ancora irrisolti”.
La Società Foggiana viene equiparata al “familismo mafioso” della ‘ndrangheta ma senza tralasciare lati moderni del crimine come la “vocazione agli affari e la capacità di infiltrarsi in settori come il turismo, l’edilizia e l’agricoltura”. La pubblica amministrazione sarebbe costantemente nel mirino delle organizzazioni mafiose locali.

Csm che non esclude l’ipotesi che possa potenziarsi una possibile cupola che tenga dentro Società Foggiana, mafia garganica e criminalità del Basso Tavoliere soprattutto per il controllo del traffico di droga con l’Albania, in decisa ascesa negli ultimi mesi.

Approvata la risoluzione sugli uffici giudiziari di Foggia e Bari

Nella seduta del 18 ottobre 2017 il plenum ha approvato una risoluzione che analizza la situazione degli uffici giudiziari di Foggia e Bari. La delibera si colloca nell’ambito dell’azione consiliare in materia di criminalità organizzata e fa seguito alla missione della Sesta commissione a Bari e Foggia, che – dopo i gravi episodi criminali verificatisi nello scorso agosto nel Gargano – si è recata in Puglia per acquisire i dati necessari per un intervento consiliare di supporto agli uffici giudiziari.

Al centro, Legnini vicepresidente del Csm durante la visita a Foggia

Nello specifico la risoluzione analizza compiutamente i fenomeni criminali che caratterizzano la provincia di Foggia, sia con riferimento alle tipologie delittuose “tipiche” delle diverse aree, sia con riguardo alle numerose associazioni delittuose che vi operano. Quanto ai reati, è emerso che quelli di maggiore impatto sono usura, estorsione, delitti connessi al traffico di stupefacenti e di armi, rapina, ricettazione, riciclaggio, caporalato. Ramificazioni della criminalità organizzata sono state riscontrate anche nei settori degli appalti pubblici, dell’edilizia e della tutela ambientale. Quanto, invece, alle organizzazioni criminali che operano sul territorio, è stata constatata l’esistenza di numerosi gruppi, spesso in cruenta lotta fra loro. Sulla base del contesto così descritto, la risoluzione procede ad esaminare la situazione delle attività di contrasto delle forze di polizia e della magistratura, rilevando che quest’ultima è impegnata nella celebrazione di un elevato numero di procedimenti penali, aventi ad oggetto sia reati riconducibili a fattispecie associative (delitti che, molto spesso, implicano la celebrazione di impegnativi maxiprocessi), sia reati non aventi tale connotazione. In parallelo, si registra un notevole incremento di procedimenti volti all’applicazione di misure di prevenzione patrimoniale.

Ciò posto, la delibera registra una serie di criticità, relative all’edilizia giudiziaria e agli organici dei magistrati e del personale amministrativo. Con riferimento al primo profilo, è emersa una situazione di disagio legata alla obsolescenza delle strutture, che rendono complessa la celebrazione dei processi, sia per la difficoltà di reperire aule adeguate alla celebrazione di maxiprocessi, sia per la vetustà degli immobili stessi. Con riferimento agli organici, è emersa una strutturale carenza di magistrati, che rende anch’essa difficile sia la celebrazione dei processi, sia la costituzione di sezioni specializzate in materia di prevenzione.

Sulla base di tale analisi, il CSM ha elaborato una serie di interventi. In primo luogo, la delibera ribadisce la necessità di un forte raccordo operativo – in fase investigativa – tra la DDA e le varie procure, sia attraverso il coordinamento, sia individuando modelli organizzativi che prevedano una stabile presenza di magistrati della DDA presso i singoli uffici, anche con il ricorso all’istituto dell’applicazione.

Quanto alla carenza degli organici, un primo intervento è già stato effettuato attraverso l’assegnazione delle sedi ai magistrati in tirocinio del D.M. 2017, che andranno a coprire molte delle vacanze. Sono stati difatti assegnati 7 posti al Tribunale di Foggia, 1 alla relativa sezione lavoro e 4 alla procura; a Bari, invece, sono andati 2 posti al Tribunale e 4 alla sezione lavoro.

Altre soluzioni possono consistere in pubblicazioni straordinarie, applicazioni extradistrettuali, nonché nella possibilità di chiedere al Ministero della Giustizia di garantire, attraverso il c.d. posticipato possesso, la contemporaneità fra trasferimenti in entrata e trasferimenti in uscita, così da limitare al massimo le scoperture.

Quanto alla riscontrata necessità di formazione specifica per la trattazione dei procedimenti di criminalità organizzata, che possa condurre alla necessaria specializzazione dei magistrati, è necessario che – attraverso la Scuola superiore (cui la delibera si rivolge) – si incentivi una offerta formativa mirata, anche con riferimento al procedimento di prevenzione. Quanto, infine, all’edilizia giudiziaria, il Consiglio si è attivato, attraverso il Comitato paritetico, con il Ministero della Giustizia, per individuare le migliori e urgenti soluzioni. Il testo completo della delibera sarà disponibile nei prossimi giorni nella sezione del sito che raccoglie le principali delibere e risoluzioni della Sesta commissione.

Guerra per il nuovo parcheggio in Fiera, balla un appalto da oltre 13 milioni

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di MOLLY CLAUDS

Guerra di carte, di diffide e di accessi agli atti negati all’Ente Fiera, dopo la proposta di aggiudicazione dell’appalto di gara del parcheggio, indicato con la dicitura “nuove infrastrutture a servizio del Quartiere fieristico di Foggia”, per un importo complessivo di oltre 13 milioni di euro.

Due associazioni temporanee di imprese, rispettivamente la seconda classificata, Edilalta e la quarta, l’Ati HR composto dai foggiani Immobiliare Darc srl, Gami Impianti srl e Termo Edil Gallo srl, hanno fatto richiesta di accesso agli atti, ma si sono viste rispondere picche dal Rup (responsabile unico procedimento), Raimondo Ursitti. “Ostensione negata”, scrivono nelle loro lagnanze al commissario straordinario, l’ingegner Potito Belgioioso.

Ad essere sotto osservazione dei due raggruppamenti, sconfitti dall’Ati Ctm del gruppo Insalata-Trisciuoglio-Di Carlo, sono gli score assegnati per l’offerta tecnica, per la quale Ctm ha sbaragliato i concorrenti, raggiungendo 69,159 punti su 75 contro i 61,838 di HR. Quest’ultima però aveva presentato un ribasso che gli ha consentito di ottenere un punteggio di 13,306 all’offerta economica contro i 9,244 dei vincitori provvisori.

Sono almeno due le contestazioni, che porteranno i secondi classificati a fare il consueto ricorso al Tar, immancabile negli appalti pubblici e a ritardare e postdatare così l’avvio dei lavori in Corso del Mezzogiorno. La prima concerne i CAM, ossia i Criteri Minimi Ambientali, che nella progettazione messa a bando seguono una norma, ma che ai tempi della gara, primavera 2017, erano stati già rinnovati da una nuova legislazione nazionale antisismica. Cosa si fa? I partecipanti devono seguire la vecchia legge o devono adeguare i CAM alla nuova normativa? Stando alle regole degli appalti pubblici, ogni progetto viene realizzato secondo le norme vigenti all’epoca della sua approvazione. E l’ultima approvazione del parking fieristico risale al dicembre 2015. Non c’è retroattività. Tuttavia l’Ente Fiera, dopo un quesito di una delle imprese gareggianti, ha chiesto un parere all’Anac, fornendo a Raffaele Cantone le risposte ottenute dal Ministero dei Trasporti. Le imprese hanno redatto i loro progetti rispettando la precedente norma, ma la stazione appaltante ha permesso loro di aggiungere dettagli qualificanti al loro progetto sui CAM, da valutare discrezionalmente in sede di commissione giudicante. C’è chi quindi ha presentato pilastri e un calcestruzzo già rispettoso delle nuove norme ecosostenibili, benché non fosse necessario adeguarvisi. Con quali criteri matematici la commissione ha valutato queste opzioni? Questo il nodo su cui vogliono chiarezza Edilalta e HR, che hanno fatto richiesta anche del carteggio tra Ente Fiera, Anac e Ministero.

La seconda obiezione, che potrebbe diventare la materia corposa del ricorso, invece riguarda le migliorie. Secondo le valutazioni di HR, i punti che dividono il suo progetto da quello di Ctm sono tutti concentrati nelle migliorie presentate da Insalata&co. I vincitori della gara hanno presentato delle migliorie legate alla funzionalità di Corso del Mezzogiorno, hanno cioè aggiunto due rotatorie, disegnate sì dalla direzione dei lavori dello studio Cavaliere&associati nelle tavole tecniche del bando, ma non comprese nell’appalto.

Procediamo step by step. L’offerta tecnica pesava 75 su 100, di cui un massimo di 30 punti assegnati ai criteri ambientali minimi, un massimo di 35 alla qualità tecnica delle soluzioni proposte per l’esecuzione dei lavori e 10 alla manutenzione programmata. Nel disciplinare tutto è sancito con enorme chiarezza.

All’interno dei 35 punti del pregio tecnico, ribattezzato in gergo tecnico “beauty contest”, le migliorie progettuali e la valorizzazione estetica del parcheggio valevano 12, un peso non enorme, ma importante perché si spiega “è interesse dell’Ente appaltante acquisire eventuali miglioramenti delle caratteristiche strutturali dell’opera”. Ctm risulta prima per gli standard di sicurezza e durabilità, con i suoi sistemi antisismici, ma sia HR, che si è avvalsa della progettazione di uno studio milanese noto per Expo e il bosco verticale di Stefano Boeri, sia Edilalta hanno superato i vincitori in diversi parziali. Meno che nelle migliorie aggiuntive, le rotatorie appunto.

Le offerte migliorative aventi ad oggetto l’esecuzione di lavorazioni non contemplate in progetto, ma comunque ritenute utili al miglioramento della funzionalità degli interventi progettati, saranno valutate purché le stesse non determinino, a pena di non attribuzione punteggio, l’obbligo di riacquisizione di pareri e/o autorizzazioni, a meno degli aspetti di natura strutturale”, si legge nel disciplinare. E qui emerge il punto di scontro. Le rotatorie sarebbero sprovviste delle autorizzazioni del Comune di Foggia, perché non presenti nel Pums, pertanto non avrebbero dovuto determinare alcun punteggio positivo. Ma sono state valutate oppure no? L’interrogativo resta aperto. Fonti interne alla Fiera assicurano che non è stato assegnato alcun punteggio alle rotatorie, ma non si può appurarlo, dal momento che il Rup ha negato i verbali delle sedute della commissione giudicante, scegliendo di non consegnare gli atti. Dalla sua, del resto, ha il nuovo Codice degli Appalti, che recita: “Fatta salva la disciplina prevista dal presente codice per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, il diritto di accesso è differito in relazione alle offerte, fino all’aggiudicazione”, recita l’articolo 53 alla lettera c. Tuttavia con questo atteggiamento il Rup sta diffondendo sospetti e rumors nel mondo edile.

L’oro di Corso del Mezzogiorno, tutti gli interessi sull’area a sud di Foggia. Oltre la monnezza…

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di ANTONELLA SOCCIO

Oggi è domenica e c’è divieto di conferimento dei rifiuti nei cassonetti dell’Amiu a Foggia, dove continua lo “scarica barile” sulle responsabilità della perdita del palazzotto di Corso del Mezzogiorno andato all’asta e aggiudicato alla Cermico energia srl, di proprietà di due socie, titolare una al 51% e l’altra al 49%, un capitale sociale di 10.000 euro ed iscritta dal 2008 alla Camera di Commercio, con sede a Foggia.

Il Comune di Foggia, pur avendo due rappresentanti nel CdA di Amiu Puglia, ha addossato le colpe del flop immobiliare alla governance barese, appellandosi anche al sindaco di Bari Antonio Decaro. Quello che preoccupa, secondo le indiscrezioni, sono i possibili utilizzi che la Cermico energia potrebbe immaginare per l’area e per l’edificio. La zona è tipizzata come attività produttiva, ma nulla vieta di pensare, che con almeno un mezzo milione in più di plusvalore rispetto al prezzo di aggiudicazione all’asta, la società possa voler realizzare altro. D’altronde Corso del Mezzogiorno, con la riqualificazione del Lidl e del McDonald’s drive away di prossima apertura, il cambio di destinazione d’uso urbanistico assegnato alla Meridiana, il prossimo parcheggio fieristico e le opzioni bloccate delle aree dei mulini e della centrale ortofrutticola, entrambi di proprietà di due stakeholders foggiani dalla imponente liquidità, sta diventando in breve tempo una zona di grosso valore commerciale ed urbanistico residenziale. Se anche le due socie vorranno mantenere la sede dell’azienda di nettezza urbana, quanto costerà all’Amiu fittare i locali che erano propri?

Circolano intanto le prime bozze di convenzione tra il Comune di Foggia e l’Amiu Puglia per il tanto atteso contratto di servizio definitivo. Stando ai rumors tornerebbero le cooperative di spazzamento. Già nelle scorse settimane, le persone sulle spazzatrici meccaniche dalle 22 iniziali sarebbero arrivate a 37. Più personale dunque, mentre proseguono i problemi a Passo Breccioso all’impianto di biostabilizzazione, che accoglie dalle 380 alle 450 tonnellate di rifiuti a cella al giorno.

“L’impianto serve ora solo Foggia e provincia, ma quando chiuderà Deliceto non ce la farà, ecco perché hanno secretato i dati di Deliceto. Lo stesso Gianfranco Grandaliano tace ma dopo 2 anni alla guida dell’agenzia non può far finta di niente, si campa alla giornata, ma le prospettive sono nere”, è il commento di Giorgio Cislaghi del circolo Che Guevara al nostro net journal.

Non è un mistero che con la rottura del trituratore a Passo Breccioso, molti camion di rifiuti siano rimasti in fila in attesa di poter scaricare. Così come non è un mistero nei Cinque Reali Siti che da Cerignola cumuli di rifiuti stazionino in un’area intermedia anche tre giorni prima di arrivare al biostabilizzatore, che non riesce a trattare tutta la monnezza in arrivo. I disagi aumentano ad inizio settimana, quando l’Amiu Puglia, dopo la domenica di stop, dalla mezzanotte comincia a svuotare i cassonetti foggiani. Il lunedì non arriva niente da Cerignola, perché il biostabilizzatore deve far spazio al +50% di rifiuti indifferenziati delle famiglie del capoluogo.

Marcello Sciagura

Ieri l’eletto comunale Marcello Sciagura ha partecipato all’importante incontro tenutosi a Campi Bisenzio sulle comunità e Comuni che hanno aderito alla strategia rifiuti zero. 270 realtà di varia grandezza. Il consigliere osserva, deluso: “Foggia su mia mozione il 29 maggio 2017 ha aderito alla strategia rifiuti zero. A questa manifestazione presenti i sindaci di Parma (Pizzarotti), il sindaco di Livorno (Filippo Nogarin) gli assessori all’ambiente di Roma di Treviso e tantissimi altri comuni presenti. Assente il sindaco e anche l’assessore all’Ambiente del Comune di Foggia, Francesco Morese. Si è parlato di gestione di rifiuti a 360 gradi. Poi ci si meraviglia se Amiu e il Comune di Bari boicottano il Comune di Foggia che ha perso all’asta la sede centrale dell’ex deposito ed uffici dell’Amica. L’invito al sindaco di Foggia lo ha consegnato direttamente il sottoscritto”. E rivolto a Landella: “Sindaco, aveva detto che avrebbe mandato qualcuno in rappresentanza del Comune, purtroppo altra occasione persa per imparare qualcosa di concreto per il futuro della città”.

Tempio crematorio e cappelle chiuse, come cambia il cimitero di Foggia

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di ANTONELLA SOCCIO

Clima semi estivo quest’oggi per quanti hanno salutato i propri cari al cimitero e hanno depositato dei fiori sulle tombe abbellite per la festività di Ognissanti e dei Defunti, del 1 e del 2 novembre. Questa mattina il traffico era piuttosto regolare, massiccia è la presenza dei vigili urbani, coordinati dal tenente Macario. Almeno 12 le unità collocate nei diversi svincoli, fino alla tangenziale, per garantire un flusso continuo, circolare e a senso unico. 

Procedono spediti i lavori per il tempio crematorio della società di gestione PFC dei fratelli Trisciuoglio e Insalata nell’ala dell’ampliamento del camposanto. Già alla fine di novembre arriverà il forno che sarà installato nei locali progettati dall’ingegner Francesco Paolo Corbo. “Stiamo cercando di migliorare la viabilità interna ed esterna, la gente ha apprezzato il percorso principale, che si può percorrere grazie alla navetta. In questi giorni la navetta è fissa per agevolare le persone che hanno problemi di mobilità, essa non ha una sosta, lo spostamento è continuo. La maggior parte delle persone viene nella zona nuova”, spiega a l’Immediato Franco Trisciuoglio, uno degli imprenditori di Progetto Finanza Capitanata. 

Sembrano scomparse anche le lagnanze sul guano e sulla mancanza di igiene sui davanzali delle cappelle, benché non manchino piccoli vandalismi, come i furti dei ciclamini e delle piante delle aiuole e alcune inciviltà nei bagni pubblici. 20 i dipendenti di PFC, con un cantiere a cielo aperto perenne e vitale a dispetto del luogo funerario. “Lamentele non ce ne sono, noi stiamo cercando di fare il nostro meglio, abbiamo un camion permanente per la pulizia del cimitero”, rimarca Trisciuoglio. In questi mesi, dopo la delibera che ha dato il via all’ampliamento, sono state realizzate ben 7 cappelle per le diverse confraternite e congregazioni. Il consumo di suolo sarà compensato dalla costruzione di cappelle gentilizie negli spazi attualmente vuoti. 

Un lotto di terreno per una cappella da 10-15 loculi e 10 ossari costa 23mila euro. A differenza del passato, quando veniva data ampia libertà stilistica ai propri tempietti, ci sono solo due modelli edilizi: in pietra di Apricena e in mattoncini. Chi realizza la propria cappella paga al momento del decesso del familiare solo la tumulazione. “All’inizio abbiamo avuto più richieste per le cappelle private, ora c’è un arresto. Di sicuro dovremo trovare altri moduli per le tombe, la cittadinanza richiede cappelle chiuse, ma non possiamo certo svilupparle in altezza”, conclude l’imprenditore. 

Una cosa è certa: l’efficienza esterna c’è solo all’interno della recinzione, nella silenziosa e decorosa area nuova, provvista di un ottimo parcheggio attrezzato. Gli altri due ingressi sono ancora alla mercé dei parcheggiatori abusivi. Due ragazzini rom in meno di mezz’ora avevano guadagnato stamattina già 20 euro, come hanno confidato loro stessi.  

Teatro del Fuoco nel limbo, desolato e senza strategia. Lontani i tempi dei 170 spettacoli all’anno

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di ANTONELLA SOCCIO

Mentre è stato inaugurato il nuovo Auditorium del Conservatorio Umberto Giordano, un contenitore luminoso che si aggiunge agli altri spazi culturali cittadini disponibile, sta per partire la nuova stagione teatrale del Teatro comunale e in zona sarà riaperta la sede della Cgil con la bellissima riqualificazione che sarà presentata alla città il prossimo 4 novembre, resta nell’ombra la strategia per il Teatro del Fuoco, di proprietà della Provincia per quel che concerne il patrimonio immobiliare, ma non più affare di Palazzo Dogana, per quel che attiene alle funzioni fondamentali degli enti di secondo livello. La Cultura è con la Riforma Delrio, come è noto, una funzione propria dell’Ente regionale. Se per la Biblioteca provinciale Magna Capitana, con l’assegnazione del personale alla Regione Puglia e la partecipazione al bando delle community library, è visibile il disegno dei diversi livelli amministrativi, per il bel teatro voluto dal compianto presidente Antonio Pellegrino non sembrano esservi buone nuove. Sono lontani i tempi in cui il teatro ospitava ben 170 spettacoli all’anno, lontane le stagioni, dal 2000 al 2005, in cui la programmazione era organizzata dalla Fondazione Giordano.

In questi anni, ci si è avvalsi del prezzario politico per affittare lo spazio. 800 euro al giorno e 400 euro per l’utilizzo del teatro a mezza giornata. Con l’amministrazione Miglio, si è anche usciti dalla quota di partecipazione al Teatro Pubblico Pugliese per un risparmio netto di circa 100mila euro. Il teatro sopravvive con soli due dipendenti e grazie alla rassegna dell’imprenditore culturale Mario Savino, alla sua quarta stagione con “Foggia a teatro”, che quest’anno porterà in città Carlo Buccirosso e Maria Nazionale il prossimo 24 novembre con “Il Pomo della discordia” e molti altri show tra cui si segnala “Appunti di viaggio” con Lina Sastri il 16 marzo 2018.

A poco sono valse le visite al Ministero in questi mesi. Il Teatro del Fuoco resta nel limbo, nonostante gli interessamenti del Comune di Foggia e dell’assessorato alla Cultura di Anna Paola Giuliani, che si era candidata ad una gestione del contenitore. Il presidente Miglio intende trattenerlo alla Provincia come ha confermato. L’idea per ora solo carezzata è quella di un ampliamento degli obiettivi della Promodaunia. Pochi spettacoli e matinee al Teatro del Fuoco, ma non mancano i lavori pubblici e le spese per l’immobile, che resta un gioiello architettonico per la Capitanata.

Come risulta dai documenti della valutazione della performance e dagli allegati di controllo di gestione che ciascun dirigente ha conferito al presidente Francesco Miglio, nel 2016 sono stati stanziati ben 250mila euro per il completamento dell’area esterna del Teatro del Fuoco. I lavori non sono ancora completati, le ditte stanno ancora lavorando in questi giorni agli impianti e all’illuminazione esterna del contenitore. L’Unione delle Province in un ultimo suo atto ha invitato il Governo a realizzare un rapporto nuovo con le Regioni, un rapporto, che consenta il rispetto del principio di coordinamento di finanza pubblica nell’esercizio delle funzioni di carattere non fondamentale conferite.

Nelle scorse settimane si è reso necessario acquisire anche il servizio di pulizia degli stabili adibiti ad uffici provinciali, Biblioteca Provinciale e Teatro del Fuoco per assicurare la continuità del servizio di pulizia per un periodo di tre mesi in attesa della definizione, in corso con la Regione Puglia, della competenza in ordine alla gestione degli immobili destinati a sede di uffici regionali o di competenza regionale. L’importo trimestrale a base d’asta era pari a 70.936,08 euro di cui 64.093,17 da assoggettare a ribasso, la gara è stata aggiudicata dalla Edilverde srl con sede in San Severo alla via Teresa Masselli.

Mattinata, un paese senza videosorveglianza. Paradosso di un Comune in odore di mafia

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di FRANCESCO PESANTE

Niente videosorveglianza sul corso principale di Mattinata. È questo lo strano caso della “farfalla del Gargano”, già nell’occhio del ciclone per la presenza della Commissione d’accesso agli atti a Palazzo di Città che potrebbe portare allo scioglimento del Comune per infiltrazioni criminali. A questo si aggiunge l’assenza di adeguate misure di sicurezza, ormai diffuse in numerose realtà ma non presenti nel centro garganico. Per una situazione che ormai si protrae dal 2015, in buona sostanza da quasi tre anni. Giova a qualcuno non monitorare corso Matino, ovvero la principale arteria del paese? Una strada dove, tra le altre cose, non mancano attività riconducibili a boss locali. Come ad esempio un circolo, luogo di ritrovo di pregiudicati. Lo stesso circolo dove il 26 gennaio 2016, attorno alle 18e30, due uomini incappucciati fecero irruzione coi kalashnikov per poi fuggire senza esplodere colpi. Forse un avvertimento per uno in particolare dei presenti in quel momento nel locale, Francesco Pio Gentile detto “rampino” o “passaguai”, ritenuto luogotenente del clan Romito. Gentile fuggì da una finestra fratturandosi una gamba. Gli uomini armati, invece, si allontanarono poco dopo a bordo di una berlina scura. Un episodio tuttora avvolto nel mistero.

Nel riquadro, Notarangelo

Eppure la videosorveglianza continua a mancare e questo resta un rebus per le forze dell’ordine (impossibilitate ad indagare al meglio) e per la stessa Commissione d’accesso agli atti. Per la questione delle telecamere si è ancora in attesa di una gara d’appalto più volte annunciata dall’amministrazione ma ancora in fase di stallo. Sono passati, come detto, tre anni. Nessuna vigilanza, quindi, per gli ingressi principali del paese (corso Matino attraversa tutta Mattinata, ndr) dove – ad uno di questi – vi era anche il parcheggio dei pullman. Stando ai rumors, gli autobus di linea dovevano essere dirottati nel piazzale del genero di Franco Notarangelo detto “Natale”, pregiudicato ritenuto vicino al clan Romito. Progetto saltato solo per questioni tecniche di viabilità. Non per la volontà dei soggetti in atto. Stesso discorso per i veicoli dell’azienda dei rifiuti Tecneco (attiva a Mattinata e Monte Sant’Angelo), alcuni dei quali già presenti in quel parcheggio qualche settimana fa. Due camion della spazzatura appaiono nelle foto inviate alla stampa dai carabinieri forestali, proprio nel giorno del sequestro dell’area.

Dalle indagini degli uomini dell’Arma è emerso che le opere erano state realizzate in assenza di autorizzazione paesaggistica, del permesso di costruire e in assenza del nullaosta dell’ente Parco. Nel parcheggio erano presenti al momento della “visita” dei militari, anche 5 autocarri e 25 roulottes a titolo oneroso. Accertate, infine, diverse opere illecite costituite da un piazzale per una superficie di 4000 metri quadri e diverse tettoie utilizzate per rimessaggio autocarri e caravan.

Gli sms che hanno incastrato Biancofiore. “Ti prego non stare sempre arrabbiato con me”

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di MICHELE CIRULLI

Ad aggravare la posizione di Gerardo Biancofiore, il presidente dell’ANCE Puglia arrestato il 31 ottobre per induzione alla corruzione, ci sono degli sms e dei messaggi su Telegram che l’imprenditore avrebbe mandato non solo al sindaco di Cerignola, Franco Metta, di cui avrebbe voluto ammorbidire la posizione rispetto all’appalto del VI lotto di discarica, ma che ha inviato anche a Rocco Bonassisa, il socio dell’ATI creata per manifestare interesse rispetto ai lavori.

L’appuntamento. Bonassisa, Biancofiore e Metta avrebbero dovuto incontrarsi il 14 dicembre 2016. La settimana prima, però, precisamente il 7 dicembre, Bonassisa si presenta in Comune con un pacco di biscotti “imbottiti”. Prima di entrare a Palazzo di Città, incontra un presunto emissario di Biancofiore. “Tonino” gli consegna il pacco con i soldi. Bonassisa entra in Comune. Metta, che lo conosceva per motivi professionali, lo chiama per nome e gli fa notare che l’appuntamento era fissato alla settimana successiva. “Non ti preoccupare, volevo solo farti gli auguri di Natale”, aggiunge Bonassisa. Che gli allunga la scatola di biscotti natalizi.

La scoperta. Nella stanza del sindaco ci sono il capo di gabinetto Salvatore Amato, l’assessore allo Sport Carlo Dercole, Metta e la sua segretaria particolare, Ilda Cuocci. Dercole, su invito di Metta, apre la scatola di biscotti e fa la scoperta: una bustina con dentro del denaro: la prima è una banconota da 500 euro. Metta, “andato su tutte le furie” decide di chiamare la polizia e i carabinieri.

Le telefonate. Metta cerca di chiamare Bonassisa sul suo cellulare, ma non riesce a recuperare il numero. Così avverte il presidente del consiglio di amministrazione di SIA, Giuseppe Devenuto, e l’allora direttore generale Michele Centola. Dal primo recupera anche il recapito telefico di Bonassisa, che in un primo momento non risponde. Dunque contestualmente la chiamata a polizia e carabinieri. Dopo qualche ora Bonassisa richiama Metta, che lo accusa.

Gli sms di Biancofiore a Metta. Dopo chiamate senza risposta, intorno alle 15:30 del 7 dicembre, è Biancofiore a chiamare Metta, che gli contesta il contenuto dei “biscotti alla crema”. Biancofiore non sembra sorpreso. A qualche minuto dalla telefonata, al sindaco arriva il primo sms del presidente dell’Ance: “Scusami Franco io rientro lunedì che posso fare? Grazie”. Metta risponde seccamente: “Nulla”. Biancofiore replica: “Ti prego non stare sempre arrabbiato con me”. Dopo un’ora, intorno alle 16:30, Biancofiore scrive nuovamente a Metta: “Scusa Franco, mi scuso se vuoi rientro da Milano, non sono tranquillo. Dimmi tu”. Sono questi gli sms che aggravano la posizione di Gerardo Biancofiore, che davanti ai pm ha sostenuto di non sapere nulla della presunta mazzetta nei biscotti. A smentirlo, secondo l’accusa, anche altri messaggi condivisi con il socio Rocco Bonassisa, a cui il presidente ANCE imputa anche l’idea di partecipare al progetto di finanza per la costruzione del VI lotto.

Il progetto. I due – Biancofiore e Bonassisa – avevano manifestato informalmente la loro intenzione di sottoporre al consiglio amministrazione di SIA e al consorzio presieduto dal Metta una proposta di finanza di progetto per la realizzazione e successiva gestione del sesto lotto della discarica di rifiuti urbani, da realizzarsi presso l’impianto SIA, in contrada Forcone-Cafiero; il Metta aveva invitato i due a rappresentare la loro intenzione in forma scritta e a indirizzarla al consiglio di amministrazione di SIA, come in effetti era avvenuto. In effetti di lì a qualche giorno il presidente e il direttore generale di SIA avevano sottoposto al Metta una manifestazione di interesse a formulare la proposta nei termini informalmente comunicati al Metta, proveniente da una costituenda associazione temporanea di imprese di cui avrebbero fatto parte l’azienda del Bonassisa, quella del Biancofiore e un terzo soggetto. Tale richiesta era stata sottoposta dal Metta al consiglio di amministrazione di SIA e all’assemblea dei sindaci del consorzio, che unanimemente avevano autorizzato la presentazione della proposta; tuttavia, su richiesta formale del Metta, il consiglio di amministrazione di SIA e l’assemblea avevano deciso di avviare trattative con diversi istituti bancari allo scopo di accedere al credito e realizzare direttamente il sesto lotto senza ricorrere a privati; era stata predisposta tutta la documentazione necessaria a ottenere il mutuo bancario.

La versione di Bonassisa. Ai magistrati, invece, Bonassisa ha riferito che sarebbe stato proprio Biancofiore a spingere per l’ingresso nel business dei rifiuti ed inoltre avrebbe pressato per “omaggiare” il sindaco con un regalo da 30/40 mila euro per ammorbidirlo anche su eventuali progetti futuri. La zona di Cerignola, riferisce Bonassisa ai magistrati, per lui è sempre stata off limits a causa della criminalità: ma ad assicurargli che tutto sarebbe andato per il verso giusto, aggiunge, è lo stesso Biancofiore. Da come quest’ultimo parlava, riferisce Bonassisa ai magistrati, sembrava che tra Biancofiore e Metta stesso vi fosse già un accordo. Smentito poi nel giorno della consegna della mazzetta.

Gli altri sms tra Bonassisa e Biancofiore. Quando il 7 dicembre, intorno alle 15:30, dopo aver lasciato i biscotti a Cerignola (ore 14:10), Bonassisa ritorna a Troia e prende in mano il cellulare, si accorge di alcune chiamate senza risposta. Ricompone il numero e dall’altra parte c’è Metta, che ha appena scoperto il contenuto della scatola di biscotti: “Ma sei pazzo? Con chi ti credi di avere a che fare”, grida l’avvocato dall’altra parte del telefono. Alle 15:10 del 7 dicembre, Gerardo Biancofiore invia un messaggio a Rocco Bonassisa: “Tutto ok?”, gli chiede. Dall’altra parte la risposta è negativa: “Per niente!! Devi tornare URGENTEMENTE!!!!”. “Cioè, cosa è successo? Cosa ti ha detto?”, incalza Biancofiore. Bonassisa replica di “aver fatto”, ma che Metta lo ha chiamato subito dopo incavolato “come una bestia”, apostrofandolo come “pazzo”. Prima di concludere: “Devi mettere pezze… ma subito a mio avviso prima torni e parli e più speranze abbiamo di mettere una pezza”.


Ataf è una polveriera. Soste selvagge e parchimetri divelti tra le ragioni della crisi

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di ANTONELLA SOCCIO

Sesta intimidazione in meno di tre anni per il presidente e neo direttore dell’Ataf (l’azienda dei trasporti foggiana) Raffaele Ferrantino, al quale nella tarda serata di mercoledì 1 novembre hanno bruciato la macchina. L’incendio è doloso, secondo i primi accertamenti dei Vigili del Fuoco.

A marzo il legale aveva ricevuto un pacco con una testa d’agnello mozzata e prima ancora una bomba carta sotto la sua abitazione, dei proiettili e dei necrologi.  Questa mattina i dipendenti dell’Ataf presenti al Nodo intermodale e in sede al Villaggio Artigiani si sono detti sorpresi dell’accaduto. Alcuni hanno dichiarato addirittura di aver appreso la notizia solo dai media, molte ore dopo. Sindacati, autisti, amministrativi e meccanici hanno espresso la loro solidarietà singolarmente nei confronti di Ferrantino, ma il clima in azienda è tutt’altro che favorevole. Il rilevante peso della rateazione del debito pregresso sta comportando la messa in atto di una serie di azioni da parte dell’azienda, che stanno influendo pesantemente sulle retribuzioni dei lavoratori.

Nei giorni scorsi, infatti, c’è stato l’ennesimo blocco degli scatti di anzianità del contratto nazionale, che prevede delle rivalutazioni dei parametri economici per ciascun lavoratore. In media ai dipendenti non è stato riconosciuto un aumento di circa 100 euro in busta paga. Una decurtazione questa, che va ad aggiungersi a quella dei circa 650mila euro, che ancora mancano nelle tasche del personale Ataf e che il sindaco Franco Landella aveva promesso di corrispondere entro l’inizio del 2017.

Nel bilancio 

Dalla relazione del CdA aziendale sul bilancio 2016 emergono numerosi punti di scontro tra le risorse umane e la governance Ataf. Il Comune di Foggia è assegnatario di “servizi minimi” automobilistici, pari a 3.844.296 aut.km/anno, oggetto del contratto di servizio sottoscritto con l’Ataf SpA in data 14.11.2003, con scadenza il 31.12.2012, termine poi esteso al giugno del 2018. La proroga ha consentito ad ATAF anche l’attribuzione delle quote relative alle agevolazioni per i disabili ex art. 30 della L.R. 18/2002 e il trasferimento delle risorse rivenienti dalla L.R. 45/2013 pari a 703.948 euro di incremento del corrispettivo annuo del Contratto di Servizio, portandolo a 8.882.274 euro.

Questa somma però nel 2016 è stata intaccata dalla minore percorrenza chilometrica, dovuta all’insufficienza del parco autobus. “Nel 2016 i ricavi del traffico hanno avuto una flessione dovuta sia alla riduzione del servizio erogato a causa dell’insufficienza del parco mezzi sia anche alla non efficace azione di verifica da parte del personale preposto, e che ha indotto l’azienda ad attivare un potenziamento del servizio di verifica dei titoli di viaggio”, si legge.

La flotta aziendale è sottodimensionata di almeno 15 mezzi. E la riduzione del corrispettivo 2016 le per minori percorrenze causate dalla scarsità del parco autobus è pari a ben 115.774 euro. Da qui la nota richiesta del CdA Ataf di adesione al Cotrap, una scelta che porta diritti alla gare d’ambito dei servizi su gomma e che apre la strada ai soci del Consorzio regionale.

Sosta tariffata, dai 4 milioni previsti con l’ex amministratore unico Nino Mazzamurro a 2,5 milioni scarsi 

Drammatico lo stato dell’arte della sosta tariffata. La flessione del 2014 rispetto al 2013 era stata del -11%, con una successiva stabilizzazione del 2015.  La situazione dei ricavi della sosta, pur essendo stato invertito il trend di flessione, è critica e sconta un forte sottodimensionamento delle entrate rispetto alle possibilità minime, anche in confronto ad altre realtà limitrofe e analoghe. Apcoa guadagnerebbe molto di più a San Severo o Cerignola. Quali sono i motivi di un tale flop? È presto detto. Circa il 50% degli automobilisti parcheggia in divieto di sosta: la diffusione dei comportamenti in violazione del Codice della Strada causa non solo un posteggio selvaggio, ma un minore introito per l’azienda. Altra questione critica è quella del parziale mancato adeguamento all’inflazione dei corrispettivi dei contratti di servizio del trasporto (TPL, agevolazioni tariffarie, accordo di programma e scuolabus) secondo le previsioni di legge. E ancora, l’assenza di manutenzione degli stalli e dei parchimetri. In molte zone i totem della sosta sono stati divelti e mai più riposizionati. Un caso per tutti, la parte iniziale di Viale Giotto a pagamento, dove ormai nessuno paga più. E per l’assenza delle strisce blu e per quella del parchimetro, sparito.

I sospetti 

Non sono pochi coloro che pensano che l’atto intimidatorio, come per l’ex direttore Massimo Dicecca, potrebbe arrivare da un dipendente sospeso, benché fonti interne all’Ufficio del personale aziendale diretto dalla dottoressa Piarullo, asseriscano che non ci sono stati provvedimenti disciplinari significativi nell’ultimo periodo.

A detta dei lavoratori però ci sono state nelle ultime settimane delle sospensioni per assenteismo. Una delle quali abbastanza grave. D’altronde gli animi sono poco sereni. La direzione affidata all’avvocato Ferrantino non è stata per niente mandata giù in azienda. C’è chi sperava in una valorizzazione delle risorse tecniche interne. Il presidente è solo un avvocato, mentre nel primo avviso pubblico si richiedeva insieme alla laurea in ingegneria 20 anni di esperienza nel settore dei trasporti.

A tutt’oggi manca un piano industriale in azienda

Vincenzo Cataneo

“Piena solidarietà al presidente Raffaele Ferrantino – rimarca a l’Immediato, Vincenzo Cataneo della Fast -. In Ataf non c’è cattiva gente, ma le nostre preoccupazioni riguardano la gestione dell’azienda. I chilometri in meno effettuati sono causa della flotta non adeguata. C’è da evidenziare che, nel corso del 2016, l’azienda, in dipendenza del blocco dei finanziamenti relativi al rinnovo del parco autobus e della conseguente obsolescenza di detto parco, ha erogato circa 50.108 km di servizio in meno rispetto alle previsioni del Contratto di Servizio TPL, minore percorrenza che, al netto della franchigia del 3%, ha comportato, un minore ricavo nell’anno pari a € 115.774 a valere su detto CdS 2016. Se tali minori corrispettivi si sommano a quelli del 2013 (412.000€), del 2014 (258.000€) e del 2015 (140.610€), tutti dovuti alla carenza di autobus (ripetutamente segnalata dall’azienda e, differentemente dalla generalità delle altre realtà comunali, non adeguatamente affrontata), si vede come sia stata ormai raggiunta una perdita di circa 0,9ML€, importo questo che, da solo, sarebbe bastato ad acquisire ben 20 autobus usati in buone condizioni (che avrebbero consentito all’azienda di garantire la sostenibilità di un adeguato livello di servizio alla cittadinanza almeno per 2-3 anni)”.

Oggetti sacri e foto di defunti, il mondo (anche macabro) dei collezionisti fuorilegge di reperti

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di FRANCESCO PESANTE

Un mondo torbido, costituito da gente senza scrupoli, dietro i traffici di reperti archeologici in provincia di Foggia. La nostra gola profonda ci ha condotto alla scoperta di un business imponente che tiene dentro ladruncoli, disperati e cinici liberi professionisti. A scoperchiare una parte di questi traffici ci ha pensato la Guardia di Finanza nell’ambito dell’operazione “Sacra Reliquia”, grazie alla quale sono stati recuperati numerosi pezzi della storia della Capitanata e non solo. I finanzieri hanno infatti ritrovato persino una pantofola appartenente al papa beato Innocenzo XI. Mentre è tuttora avvolta nel mistero la sorte di una preziosa tela pittorica risalente al 1600, sottratta diversi anni fa da una chiesa rurale di Palazzo d’Ascoli in agro di Ascoli Satriano. La GdF ha recuperato solo la cornice.

Un avvocato civilista di Cerignola conserverebbe grossa parte dei reperti, ottenuti da un cliente – secondo le accuse – come “paga” per i suoi servigi (soprattutto lettere e ingiunzioni di pagamento). Un “collezionista fuorilegge” – come lo hanno definito i finanzieri – che avrebbe circuìto il proprio assistito pur di riempire la propria abitazione di pezzi pregiati e armi da guerra storiche. Durante l’operazione “Sacra Reliquia”, i berretti verdi hanno recuperato anche un antico registro dei primi del Novecento, contenente diversi documenti nonché una busta bianca con all’interno alcuni volumetti sacri e diverse foto in bianco e nero di provenienza illecita derivanti da un furto eseguito presso la masseria “Ammiraglio da Zara” in agro di Ordona, di proprietà di una famiglia di Foggia.

Appoggiata al muro, la cornice della tela scomparsa

Ladri su commissione

Tombaroli del Basso Tavoliere, in modo particolare, e piccoli malviventi, negli anni hanno saccheggiato masserie, palazzi storici ma anche appartamenti a caccia di reperti preziosi, alcuni del valore di migliaia di euro. Furti eseguiti anche da cittadini stranieri come il rumeno M.F. e l’albanese B.V., arrestati dai carabinieri tempo fa. Proprio B.V. fu ammanettato dai militari per un tentato furto presso la cappella di un antico confessionale. Sarebbe stato lo stesso albanese, stando alla gola profonda, ad aver portato via anche la tela raffigurante sui lati, un sole e una luna con al centro un crocifisso, mentre la cornice aveva sui bordi delle piccole lampadine, forse aggiunte successivamente.

La pantofola da 6mila euro

Un autentico mistero resta la provenienza della pantofola di Innocenzo XI sulla quale si attendono comunicazioni del Vaticano circa l’autenticità del reperto, anche se non ci sarebbero dubbi. Non si esclude possa essere giunta tre le mani delle persone arrestate nell’operazione “Sacra Reliquia”, dopo contrattazione con un antiquario di Foggia che avrebbe assegnato alla pantofola un valore attorno ai 6mila euro.

Le foto post-mortem

Nella disponibilità dei “collezionisti fuorilegge” ci sarebbero persino foto di persone defunte, rubate in vecchie abitazioni della provincia di Foggia. Era un’antica tradizione quella di fotografare i propri cari estinti seduti su letti, poltrone o divani per poi conservarne le immagini. Il defunto era rappresentato insieme ai suoi parenti, come in una normale foto di famiglia, seduto o in piedi, anche con gli occhi aperti. I bambini morti erano spesso sulle ginocchia dei loro genitori o circondati da altri bambini vivi. Nei primi del Novecento il tempo di posa per una fotografia durava fino a mezz’ora, periodo durante il quale la famiglia intera doveva rimanere immobile e sostenere il defunto, il che necessitava anche di un certo coraggio. Scatti che rappresentavano dei veri e propri affetti di famiglia che persone senza scrupoli hanno portato via per ragioni al momento oscure.

Moretti, “il boss stempiato e taciturno”. Quell’incontro con la vittima di racket in via Telesforo

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Foto d’archivio relativa ad un’operazione dei carabinieri contro il clan Moretti

di FRANCESCO PESANTE

Emergono nuovi particolari sulla tentata estorsione che ha portato agli arresti il boss della mafia foggiana, Rocco Moretti e il suo sodale, Domenico Valentini. Vittima un imprenditore agricolo, bersaglio di numerose intimidazioni, ricevute da uomini del clan Moretti-Pellegrino-Lanza e dallo stesso capomafia. Il boss e Valentini compaiono in due episodi tra quelli avvenuti da dicembre 2015 a ottobre 2017. Secondo quanto ricostruito dall’accusa, nella primavera del 2016, dopo la scarcerazione di Moretti nell’ambito del processo “Cronos”, l’imprenditore taglieggiato fu avvicinato in via Telesforo a Foggia da un gruppetto di persone. Sei o forse sette individui. Tra questi anche il boss che rimase in silenzio. A parlare ci pensò un uomo che disse di chiamarsi Francesco. Alla vittima riferì che le persone presenti in quel momento erano tutte membri della batteria Sinesi-Francavilla-Moretti (strano modo di presentarsi vista la storica rivalità tra i Sinesi-Francavilla e i Moretti-Pellegrino-Lanza, ndr), aggiungendo che nessuno era interessato alla contro-proposta dell’imprenditore di assumere personale vicino ai clan in sostituzione della richiesta di denaro.

Da sinistra, Moretti e Valentini

La volontà del boss era chiara e sempre la stessa: intascare 200mila euro dalla vittima “per lavorare tranquillo” e intimando l’ottenimento immediato di un primo acconto da 50mila euro. Nell’atto di accusa, Moretti viene descritto come “un uomo di circa 60 anni (è nato nel ’50, ndr), stempiato, che ascoltava ma non parlava”. Durante quell’incontro, Francesco si rivolse più volte al capomafia per manifestare disappunto verso la controproposta della vittima, chiamando “zio” la persona con pochi capelli e taciturna. Per l’accusa “lo zio” era proprio il boss, Rocco Moretti.

Domenico Valentini, invece, sarebbe il proprietario del telefonino dal quale partì una chiamata all’imprenditore a inizio 2016, per fissare un incontro nel quale ribadire alla vittima di rinunciare all’acquisto di alcuni terreni a Borgo Incoronata oppure versare nelle casse del clan, 200mila euro. L’incubo dell’imprenditore si è protratto fino a inizio ottobre di quest’anno, quando i carabinieri hanno raggiunto e arrestato Moretti e Valentini.

Romito? “Una bomba atomica”. Le carte che inchiodano i boss del Gargano

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di FRANCESCO PESANTE

C’erano tutti i maggiori boss del Gargano nel piano d’assalto al portavalori IVRI tra Mattinata e Vieste, all’altezza di Vignanotica. L’operazione Ariete svelò l’esistenza di un progetto – fallito nel novembre 2015 grazie alla prontezza dei carabinieri – coordinato da Mario Luciano Romito, boss di Manfredonia ucciso nella strage di San Marco in Lamis, il 9 agosto scorso, e dal suo luogotenente a Mattinata, Francesco Scirpoli. Cimici in auto, conversazioni telefoniche captate, summit malavitosi e quant’altro. Un “romanzo” di circa 300 pagine per comprendere meglio i rapporti contigui tra pezzi da novanta della mala garganica appartenenti ai clan Romito e Quitadamo. Non ci sono solo Manfredonia, Mattinata e Vieste tra i territori bazzicati dal gruppo di fuoco. Uno dei quartieri generali della banda era ad Apricena, ad evidenziare contatti e interessi del boss anche nell’Alto Tavoliere.

Ricordiamo che il tribunale della libertà, accogliendo l’intervento della Suprema Corte di Cassazione che ha ritenuto quanto raccolto dal pm Rosa Pensa sufficiente a configurare pienamente il delitto tentato, ha riformulato le proprie valutazioni e, sulla figura di Andrea Quitadamo (baffino junior), ha ravvisato le esigenze cautelari cui è stato sottoposto poche settimane fa. Un segnale importante che rafforza il quadro accusatorio e quindi il lavoro della magistratura. Per tutti gli indagati si è in attesa di sentenza.

Romito e Scirpoli studiano il territorio

Durante un’indagine per tentata estorsione, gli inquirenti posizionarono cimici a bordo dei veicoli di Scirpoli. Dalle intercettazioni ambientali e telefoniche, emerse che l’uomo stava progettando di compiere un assalto armato a un portavalori insieme a Mario Luciano Romito. Coadiuvati da un nutrito gruppo di complici. Una rapina organizzata in ogni dettaglio: armi, uso di esplosivi, mezzi pesanti, la pala meccanica da utilizzare a mo’ di ariete (da qui il nome dell’operazione) e, infine, l’individuazione delle vie di fuga.

Romito e Scirpoli ideatori, Francesco Pio Gentile (altro luogotenente del boss a Mattinata) a fornire le auto ed effettuare verifiche sui luoghi con lo stesso Scirpoli. Antonio Quitadamo detto “Baffino”, tra coloro incaricati di avvertire gli altri della presenza di forze dell’ordine in borghese. Quitadamo, inoltre, aveva a disposizione una masseria (luogo di riunioni) in prossimità della zona dell’assalto. Proprio dopo aver lasciato la campagna di “Baffino” dopo un breve summit, Scirpoli e Romito imboccarono la SP 53 con direzione Mattinata-Vieste per andare ad analizzare i luoghi dell’assalto.

Romito: “Si è buono qua perché quando arriva nella curva si deve fermare per forza… No qua invece no, sta pieno pieno (si riferisce alla vegetazione presente), ora ti faccio vedere io dove puoi mettere la macchina”.

Scirpoli: “Io quando ho fatto qua (si riferisce alla rapina a un furgone di sigarette nel 2009), se tu ti devi portare un altro (riferito al sequestro di qualche vigilante), a questo punto se ne devono venire con noi”.

Romito: “Fanno passare un minuto e si mettono, fermano la macchina e poi… ci danno na’ botta… bum bum!”. Secondo il giudice Corvino che firma l’ordinanza si capisce che il boss riferisce a Scirpoli che per fermare il portavalori devono cogliere di sorpresa l’autista e gli devono sparare contro. “Già da queste prime battute emerge lampante l’elevata pericolosità dei soggetti coinvolti”, si legge sull’ordinanza.

Durante un altro summit, fu Luigi Ferro, luogotenente di Romito a San Marco in Lamis, ad esprimersi sul progetto d’assalto: “Questa è la zona più bella che c’è – riferendosi al luogo individuato per il colpo -. Una volta sparati a questi, stanno con le mani così, faccio saltare le dita (ride)”.

La base ad Apricena

Nella cava riconducibile alla Interambiente Radatti di Apricena, in zona San Sabino, località Tre Santi, furono ritrovate, il 22 marzo 2016, armi, munizioni e una sega circolare per tagliare il metallo, nonché droga. “Ariete” ha dimostrato che durante la fase di studio dell’assalto al portavalori, Romito e soci si recavano spesso in quella zona per “bonificare” i mezzi dalle cimici e sistemare gli ultimi dettagli prima di entrare in azione. Romito e Scirpoli rimossero tutti gli adesivi di un Fiat Scudo di proprietà della Interambiente Radatti per muoversi indisturbati e con un veicolo “non riconoscibile”.

La presenza di Romito nell’Alto Tavoliere era piuttosto frequente. Oltre alla sede della ditta Interambiente Radatti, il boss si recava in quella zona anche per “svago”. Un giorno chiamò al telefono una donna, presumibilmente una prostituta, secondo il gip, alla quale chiese un incontro. La donna, rumena, si trovava a Poggio Imperiale e avrebbe richiamato Romito non appena giunta ad Apricena. Inoltre il boss era ai domiciliari con autorizzazione ad assentarsi dalla detenzione per sei ore al giorno per cure mediche ma evase in svariate occasioni.

“Noi siamo dell’ISIS”

Summit tra Romito, Scirpoli, “Baffino” Quitadamo e Michele Silvestri. Così Romito: “Comunque adesso dovete essere tutti realisti… dovete dire tutti la verità adesso… quando succede un fatto… e dicono che è sempre… incomprensibile… come mi sta succedendo ora a me… che è a me il fatto… incomprensibile…” Scirpoli: “Non l’abbiamo detto mai…” Romito: “…incomprensibiledate sempre la colpa a me…” (ndr: si riferisce al fatto che i carabinieri lo seguivano).

Romito: “Facessero subito… se devono fare qualcosa… basta che ci fanno sapere una sera prima… così una volta che ci siamo messi latitanti… abbiamo risolto… Noi siamo dell’ISIS… Stanno male le cose… Che facciamo, ci affiliamo all’ISIS o… incomprensibile… lascia perdere”.

Informare la “concorrenza”

Emerse con chiarezza, stando all’ascolto delle telefonate, che Scirpoli, Romito e Gentile s’incontrarono a Mattinata per un vertice finalizzato a pianificare l’assalto al portavalori e a informare altri esponenti di spicco del mondo criminale locale come Pasquale “fic sicc” Ricucci.

La scoperta della microspia

Nell’auto Fiat Grande Punto, Scirpoli era in compagnia di Gentile. Ad un certo punto si sentì il rumore di un rilevatore di frequenze in grado di segnalare la presenza di eventuali microfoni per la captazione di comunicazioni ambientali.

Gentile: “Eh!… e mica ti hanno chiamato! Non ti hanno chiamato” (Gentile sostiene che se Scirpoli non ha ricevuto nessuna chiamata in questo istante e il rilevatore di frequenze suona vuol dire che c’è un microfono in auto)

Scirpoli: “Com’è ha suonato”

Gentile: “Eh… mamma mia”

L’auto è ferma davanti al garage di Scirpoli; si sente il rumore del rilevatore di frequenze e fruscio forte nei pressi del microfono (tipico di quando si tasta la parte circostante). Nel frattempo Scirpoli e Gentile parlano con voce molto bassa. Ad un certo punto il rumore del rilevatore si intensifica e i due scoppiano a ridere…

Scirpoli: “Ahahah… eccola li!.. ahahah”

(Scirpoli chiama Gentile che nel frattempo si è allontanato un attimo perché ha ricevuto una telefonata)… “Vieni qua vieni… trema trema…. no che fai là…”

Gentile: “Stai zitto… fai fare a me…”

Scirpoli: “Come devi aprire…”

Gentile: “Aspetta…”

Scirpoli: “E che cos’è questo coso qua”

Si sente uno dei due che dice a voce bassissima “la prende dalla batteria”… riferendosi all’alimentazione dell’apparecchiatura per la captazione di conversazioni ambientali.

In seguito Gentile si lamentò per il fatto che i controlli delle forze dell’ordine erano troppi. “Non si può più andare avanti”. Scirpoli, invece, affermò che tutti questi problemi li stavano avendo presumibilmente per colpa di Mario Luciano Romito, definito una “Bomba Atomica”. “Il problema è quello lì. Noi siamo stati assolti, non è che mo ci mettono la microspia oh! Così metti la microspia?! E che cazzo facciamo! È il fatto di quello… quello è una bomba atomica… come esce… mamma mia!”

Sentenze pilotate per favorire Casa Sollievo, la corruzione all’ombra di San Pio

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Cocomazzi (seduto) e Orlandi

di IULA E PESANTE

“Vedi il figurone che hai fatto con Crupi, mo’ vedi quanti soldi ti recuperi là! Su… con due sentenze favorevoli!”. Non aveva dubbi l’allora capo del reparto contenzioso dell’Agenzia delle Entrate di Manfredonia, Salvatore Cocomazzi, nel sottolineare i vantaggi che avrebbe avuto Casa Sollievo della Sofferenza grazie al “sistema” messo in piedi per pilotare le sentenze delle commissioni tributarie in cambio di “mazzette”.  In due occasioni (nel 2013 e nel 2015) risultano presunte corruzioni per veicolare in favore dell’ospedale di San Pio procedimenti tributari. Così si scopre che nel 2013 “Nicola Cardellino, segretario della sezione 25 della commissione tributaria di Foggia, riceveva indebitamente da Cocomazzi, all’epoca capo reparto del contezioso presso l’Agenzia dell’Entrate di Manfredonia, la somma di 1.000 euro in cambio di rassicurazioni in ordine all’esito del giudizio favorevole all’appellante“, ovvero la fondazione. Altre 5mila 500 euro sarebbero state pagate illecitamente per “sensibilizzare” altri soggetti della commissione tributaria. Medesimo giro di tangenti ci sarebbe stato anche nel 2015: circa 1.500 euro sarebbero state date da Cardellino a Cocomazzi per agevolare Adriana Benigno, segretaria del giudice Lorenzo Nicastro (nel registro degli indagati, ndr), ex pm e assessore regionale all’Ambiente della Giunta Vendola, il quale le aveva affidato il fascicolo col presunto scopo di “deciderne e di redigere la relativa motivazione”.

Due sono i contenziosi che interessano la Casa Sollievo, rispetto ai quali sono emersi accordi correttivi funzionali a orientarne la definizione in senso favorevole al contribuente, il quale in entrambi i casi era difeso da Gianluca Orlandi. Nel primo caso, l’appello è stato definito in senso favorevole al contribuente con sentenza della sezione 26 della commissione tributaria regionale di bari, sezione distaccata di Foggia: giudice relatore Antonio Merra, presidente Matteo Solimando, l’altro giudice Antonio Cerase. Stando all’ordinanza dell’operazione “Giustizia Privata”, le sentenze della commissione tributaria erano direttamente scritte da personale amministrativo. Un particolare rivelato nell’interrogatorio di un dipendente della commissione, Nicola Cardellino. “Quando arrivava un nuovo cliente (…) mi recavo nello studio per concordare il da farsi (…) Quando viene da me la persona che vuole essere aiutata mi segnala la pratica, io prendo tempo per guardarla e studiarmi il fascicolo. Una volta capito che il contribuente può ottenere un provvedimento favorevole, o procedo prima all’assegnazione senza alcun criterio se non quello del collegio favorevole, oppure più raramente prima dell’assegnazione chiedo al giudice amico se vuole o può prendere in carico il fascicolo”. L’indagato racconta che “in più occasioni per conto di questi giudici ho scritto personalmente i provvedimenti sia quelli per i quali avevo interesse sia quelli per i quali lo stesso giudice mi chiedeva un parere o un aiuto”. Gli inquirenti, oltre alle intercettazioni e alle riprese video, hanno spulciato nelle agende degli indagati. Qui si leggono annotazioni precise, dal tenore inequivocabile: “Cardellino € 1.000 (casa sollievo)”. Il giro di denaro, secondo gli indagati, sarebbe servito a “sensibilizzare” le pratiche in commissione.

Orlandi e Cocomazzi vengono intercettati nella reception dell’albergo Santa Maria delle Grazie di San Giovanni. L’incontro sarebbe servito a Cocomazzi “per riscuotere il compenso per il suo interessamento in un contenzioso”. I due discutono a lungo, facendo riferimento al precedente procedimento. “Già l’altra volta… – dice quest’ultimo – sai come ha funzionato, la sentenza l’altra volta l’ho fatta io l’ho fatta”, evidenziando che “la vittoria in due controversie sicuramente aumenterà l’apprezzamento di Orlandi presso i vertici dell’ente”. “Sei contento almeno o no? – prosegue – Vedi il figurone che hai fatto con Crupi (direttore generale di Casa Sollievo, NdR), mo’ vedi quanti soldi ti recuperi là! Su… con due sentenze favorevoli!”, precisando: “Le sentenze favorevoli te le ho fatte io, oh!”. Nei messaggi WhatsApp tra Cardellino e Cocomazzi viene utilizzato anche un linguaggio borsistico: “Il gioco in borsa è andato secondo quanto sperato: quotazioni azioni Di Maggio + 1200 – quotazioni Casa S. +2250”.

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